Capitolo 1

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BUONA LETTURA!

Quando un mese fa la mamma ha deciso che ci saremmo trasferite mi è crollato quasi il mondo addosso.

"Si torna alle origini" mi aveva detto e ancora adesso ho l'impressione che l'unica cosa che voglia in realtà sia solo fuggire dal ricordo di papà. Lei è così fragile, sapevo che non ce l'avrebbe fatta a sopportare tutto questo dolore, a sopportare le notti insonni, gli incubi, il bruciore negli occhi, il sorriso della gente sconosciuta e i "mi dispiace" di tutte quelle persone che fingono di essere dispiaciute sul serio.

Ma loro che ne sanno? Che ne sanno di quante volte ho pianto guardando quella foto sul comodino, quante volte ho dovuto fare forza a mia madre cercando di convincerla del fatto che papà c'è e ci sarà sempre.

Loro che ne sanno di quante volte ho sognato un suo abbraccio, il suo bacio della buonanotte, e quante volte, per questo, mi sono svegliata nel bel mezzo della notte e ho affondato il viso nel cuscino dopo aver realizzato che non era vero. Loro che ne sanno?

Loro non sanno che ogni giorno mi sveglio prima e mentre vado a scuola mi fermo a guardare il mare, proprio come faceva lui prima di andare a lavorare.
Diceva che lo rilassava restare a fissare l'infinito azzurro del cielo e del mare messi insieme, divisi semplicemente da un sottile filo chiamato orizzonte.

Nel mare vedeva riflessi i sogni e le paure delle persone, diceva che nel mare lui riscopriva se stesso.

Ecco perché sono qui, qui a guardare per l'ultima volta questo azzurro immenso, seduta sulla riva con la mano accarezzo la sabbia morbida mentre le onde si scagliano dolci sulla battigia sfiorando i miei piedi.

Rimango immobile sentendo su ogni pezzo di pelle la brezza marina soffice e sottile che lenta mi sposta i capelli mossi. Alzo la testa e nonostante gli occhi siano accecati dalla luce profonda del sole riesco a vedere uno stormo di gabbiani che vola libero nel cielo cercando di scovare qua e là qualche pesciolino nel mare. Mi volto a fissare perfettamente nella mente ogni minimo particolare del paesaggio, come per fotografare tutto per non dimenticarlo mai.

-Chiara dobbiamo andare.- la voce sottile della mamma mi fa sussultare. Ma non mi muovo. Rimango immobile, seduta a fissare l'orizzonte. Sento la sua mano poggiarsi sulla mia spalla. Un brivido mi percuote la colonna vertebrale. Mi scosto. Ha le mani fredde. Ghiacciate. Ma soprattutto ha gli occhi spenti e quando mi volto a guardarla un senso di angoscia pervade il mio cuore.

-E' davvero quello vuoi mamma?- la voce mi esce rotta ed esile, come se quelle parole venissero fuori senza la mia volontà. La fisso perdendomi nel vuoto dei suoi occhi neri e profondi.

Lei non risponde, si guarda intorno e dopo aver assodato che nessuno ci sta osservando si siede accanto a me cominciando a giocare con qualche ricciolo dei miei capelli. Lo faceva sempre quando ero piccola, prima di addormentarmi, la sera, si sedeva accanto a me nel letto e giocava con i miei capelli. Mi raccontava che era uno di quei modi per allontanare via gli incubi. Io mi convincevo che funzionasse e la lasciavo fare, abbandonando me stessa a quelle dolci coccole che solo una madre sa fare. Ho sempre pensato che in realtà lo facesse per allontanare i suoi di incubi, sono certa che avrebbe desiderato con tutto il cuore una vita migliore di quella che ci aveva destinato il fato.

-A volte non ti resta altra scelta. Ti rendi conto che una cosa fa troppo male e cerchi in tutti i modi di allontanare il tuo dolore. Tutto qua. Non prenderla come voglia di scappare o di fuggire, prendila piuttosto come voglia di stare bene e di tornare a vivere.

Mia madre è sempre stata apparentemente una donna forte ma che in realtà cerca di nascondere le proprie debolezza costruendo un muro intorno a sé. Ma si sa che poi , arrivati ad un certo punto, non ce la fai più e tutto quello che hai dentro scoppia distruggendo anche il più forte dei muri.

-Non voglio dimenticare tutto questo mamma. Questa è la vita di papà, è anche la vita mia e anche la tua- una lacrima mi riga il viso, e dopo di essa una, poi ancora un'altra e un'altra ancora.

Sento le braccia di mia madre cingermi i fianchi e stringermi forte a sé, ho la testa poggiata sul suo addome e riesco perfettamente a sentire il battito del suo cuore.

BUM, BUM, BUM.

Sembra quasi una ninna nanna.

BUM, BUM, BUM.

Chiudo gli occhi.

BUM, BUM, BUM.

È una di quelle sensazioni che ti rubano il cuore, ti senti sicura e protetta come un soldato, durante la più grande delle guerre, è protetto da un enorme scudo di ferro.
Ed è così che mi difendo dalla guerra che mi porto dentro, la battaglia del mio cuore, di quello di mia madre. Vittima e protettrice.

-Non potremmo mai dimenticare tutto questo. Hai ragione tu, questa è la nostra vita e ci apparterrà per sempre. Qualsiasi cosa accada. Ora però andiamo, torniamo a casa. Si torna alle origini.- si alza e mi tende la mano.

-Mamma credi che saremo felici?- le stringo la mano fredda e mi alzo. La fisso aspettando una sua risposta.

-Si, saremo felici. Di nuovo.

Cammino lentamente e passo dopo passo assaporo ogni singolo dettaglio. Rivivo, impronta dopo impronta, tutti quei momenti vissuti in questa piccola città. Mi ritrovo così, in un istante, davanti l'albero che tutte le mattine, quando ero piccola, rimanevo a fissare con papà. Ricordo che una volta gli dissi che desideravo costruirci una casetta. "La prossima volta" mi diceva e io lo ascoltavo ed ogni giorno aspettavo con ansia quel momento. Tutte le mattina speravo che papà mi portasse davanti l'albero e mi dicesse "Chiara oggi costruiamo la nostra casetta", e tutte le mattine rimanevo delusa quando mi portava nella strada opposta. Guardavo da lontano quell'alberello sottile e mi domandavo perché non mi accontentava. Ero piccola. Non potevo sapere che era illegale e illecito.

-Chiara prendi la tua valigia, altrimenti finisce che perdiamo il traghetto- ritorno alla realtà guardandomi intorno.

Sono arrivata a casa senza nemmeno rendermene conto. Salgo lentamente le scale poggiando la mano sul muro come se avessi paura di cadere o scivolare. Prendo la mia valigia azzurra guardo la mia stanza per l'ultima volta.

Penso che l'unica cosa che vorrei fare in questo momento in realtà sia vedere Emanuele per un secondo, un solo istante, guardare quei suoi occhi neri e perdermi nel suo sorriso. Vorrei gettarmi su di lui, tra le sue braccia e vorrei che lui mi stringesse tanto forte da farmi mancare il fiato. Mi sentivo così bene quando stavamo insieme, camminavamo l'uno stretto all'altro e mi sentivo così piccola accanto a lui. Il gigante buono. Così era soprannominato. Ed era effettivamente così, lui era buono e lo è tutt'ora, ne sono certa.

Mi domando spesso per quale motivo sia finita, mi sembrava tutto perfetto, forse troppo. Il gigante buono e la bambina. Bella storia no?! Lo amavo davvero io, lo amavo come un bimbo ama il suo orsacchiotto, lo amavo come si ama un fiore, lo amavo perché la miglior cosa esistente in natura, il mio miracolo, Dio l'aveva creato per me ed era mio, solo mio.

Avrei fatto qualsiasi cosa per lui ma evidentemente tutto questo non era ricambiato, forse per lui ero solo un passatempo, un gioco, un qualcosa senza alcun senso. Fa male questo. Fa male troppo. Tutto. Non potrò mai dimenticare i momenti passati con lui e penso non ci sia cosa peggiore che restare intrappolata nella rete dei ricordi. Lui ha rappresentato una parte di me, quella migliore, quella ragazza con le lacrime incastrate tra i denti, quella che sorride con il cuore in gola, quella ragazza timida e impacciata, quella con i capelli arruffati e gli occhi stracolmi di sogni e speranze. Io non ho paura del passato, certo, rivivere quei momenti fa male ma io vado avanti.

Adesso, mai come ora, ho bisogno solo di essere felice, di sorridere, ma sorridere sul serio, senza fingere, senza dover dire "sto bene" quando in realtà vorrei piangere e stare in silenzio.

Il motore dell'auto distoglie i miei pensieri. Appoggio la testa al finestrino e chiudo gli occhi. Una lacrima salata scorre lenta tracciando un piccolo solco sul mio viso. Questa è l'ultima volta che piango, penso. Non so cosa mi aspetta, forse gioia, forse ancora altro dolore e altra sofferenza.

Forse.

Troppi 'forse' e poche risposte, poche certezze. Troppo poche. Poche per me, per chiunque, poche per tutti. Io non lo so cosa mi aspetta ma forse nemmeno voglio saperlo.

Tra il cielo e il mare.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora