Capitolo 5

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Sono un tipo ansioso io. Anche quando non c'è motivo per esserlo, io mi sento come intrappolata, ferma, immobile e mi convinco che non ci sono soluzioni in merito quando in realtà quella più semplice ce l'ho proprio a portata di mano.

Rilassarsi. Cammino avanti e indietro per la camera come se fossi un automa. Ho ancora tempo, posso ripensarci, posso tornare indietro. No. Sarebbe da stupidi, e io non sono stupida. Vero? Cammino per la stanza e ad ogni passo cambio idea. 'Lo faccio.' 'Non lo faccio.' 'Ma si, lo faccio.' 'No è inutile, non lo faccio.'

-Sei pronta?- i passi pesanti di mia madre risuonano nella camera. La guardo fisso negli occhi senza accennare parola. La risposta è qui, la sento, ce l'ho sulla punta della lingua, vuole uscire ma non è semplice. È come quando la prof ti fa la domanda da un milione di dollari, quella su Leopardi che hai studiato fino allo sfinimento, fino alle undici di sera, quella domanda a cui eri preparatissima, perché sentivi che te l'avrebbe fatta, lo sapevi, e ti eri preparata così bene. Ecco la domanda. Vuoto. Buio. Nero. Non ricordi più nulla, e ti senti inutile. Tutto quello studio buttato via, perché la risposta ce l'hai ma non ti viene. Ed è strano, insomma una cosa o ce l'hai o non ce l'hai. No? Una volta mi hanno detto che è tutta una questione psicologica, forse avevano ragione.

-Sbrigati o farai tardi.- mia madre sembra non accorgersi della mia incertezza e dei miei dubbi e questa cosa mi irrita; una madre dovrebbe avere quella specie di sesto senso, insomma dovrebbe capirlo quando stai male e vorresti solo piangere per sfogarti un po'.

Prendo il borsone, cammino quasi come un robot, quei soldatini che il nonno voleva regalarmi da piccola pensando che fossi un maschio o cosa. Arrivo fuori la mia ipotetica scuola di danza, e per come me l'ero immaginata rimango sorpresa. Mi trovo davanti ad una grossa saracinesca con un meraviglioso disegno, un paio di scarpette da ballo e una scritta "DanceAcademy". Sarà chiuso? Per un attimo ci spero, e non so perché mi succede, ma vorrei che tutto questo finisse.

-Sei nuova?- una voce alle mie spalle getta via la mia inutile speranza. Mi volto e mi ritrovo davanti un ragazzo alto, muscoloso, i capelli neri e gli occhi marroni scurissimi.

-Si, si vede così tanto?- domando sorridendo.

-È che sei venuta in anticipo, qui nessuno viene in anticipo. Ecco.- apre la saracinesca e mi fa segno di entrare.- ti mostro le nostre sale. Ah scusami, io sono Edoardo.- mi tende la mano, gliela stringo.

-E io sono Chiara.

-Questa è la sala di classico.- entro e un brivido mi fa vibrare, mi viene quasi la pelle d'oca, sfioro la sbarra con le dita e mi sembra che non ci sia niente in grado di farmi sentire meglio in questo momento, niente che possa superare questa mia voglia di fare e di vivere, una volta mi hanno detto che io ero fatta per questo, ero destinata a ballare per il resto della vita, che non c'era niente che sapessi fare meglio.

Dopo la morte di papà mi avevano quasi supplicato di ricominciare, avevano fatto qualsiasi cosa per convincermi, addirittura vennero a casa mia per chiedermelo ma io rifiutai senza nemmeno pensarci. Pensavo che avrei fatto un grande torto a mio padre eppure era quello che lui più desiderava, e sono stata una sciocca a perdermi tutto questo.

Ogni giorno ci illudiamo che quello che facciamo è giusto, quando in realtà dovremmo imparare tutti un po' dagli altri, dovremmo imparare ad accettarci per quello che siamo, per i nostri errori, per i nostri gesti incompresi, dovremmo imparare ad accettare gli sguardi che non tornano indietro, le domande senza risposta, l'assenza delle persone che più ami, dovremmo imparare a convivere con quello che ci è stato dato, i nostri difetti, le nostre incomprensioni, i nostri modi di fare. Dovremmo imparare dalla diversità degli altri.

Un giorno lessi su un libro una frase: l'altro ci è prezioso nella misura in cui ci è diverso. È un po' come se fossero due grandezze direttamente proporzionali. Più una persona è diversa, più si possono riscoprire in essa cose quasi inimmaginabili. Penso che l'altro sia in realtà lo specchio della proprio persona.

Basta guardarsi negli occhi degli altri per vedere come si è realmente, e ti riscoprirai un giorno bella, un giorno simpatica, un giorno noiosa, un giorno sarai fantastica e poi il giorno dopo sarai inutile, si, inutile. Ed è forse questo il bello, essere tante cose ma racchiuse in una sola.

Come il sole, ed i suoi infiniti raggi. Il fulcro: te. I raggi: te negli occhi degli altri. Strano a dirsi vero? Eppure è così.

-Allora, che te ne pare?- Edoardo mi viene dietro mentre cammino per la sala.

-E'tutto bellissimo, davvero.- ho gli occhi lucidi, pieni di gioia.

-Quindi sarai una nostra prossima allieva?- rimango immobile come se quella domanda mia avesse, in qualche modo, spiazzata e non capisco perché.

Una parte di me vorrebbe rispondere "Certo, non vedo l'ora." L'altra, beh, l'altra è sempre un po' più forte.

-Non lo so, ci penserò.- abbasso lo sguardo, quasi impaurita.

-D'accordo- apre la porta- la scuola è sempre aperta, sappilo.

Cammino sollevata e fiera, anche se forse non dovrei esserlo. Perché ho rinunciato di nuovo? Perché non riesco mai a gestire la mia vita, le mie cose? E perché mi sento così bene adesso? Cammino verso il parco e quando arrivo mi siedo su una panchina vuota, proprio di fronte alla fontana schizzante. A volte mi piacerebbe essere proprio come quegli schizzi, ogni goccia di acqua vola ed è libera di posarsi dove vuole, è imprevedibile, perché non si sa mai dove andrà a finire. Già, sarebbe bello essere così, essere liberi e svincolati dal passato, liberi di poterci posare ovunque vogliamo, senza essere né giudicati né tantomeno disprezzati.

-Ciao!- una voce alle mie spalle mi fa sobbalzare, la riconosco.

-Ciao Francesco.- sorrido e non so perché ho l'impressione di sembrare una perfetta idiota mentre lo faccio- sei qui con tua sorella?

-Sorella? Quale sorella?- mi guarda con un'espressione interrogativo.

-Non hai una sorella?- l'ennesima figura poco gradevole.

-No- ride.

-Ma, allora, quella bambina, quella con cui stavi l'altro giorno, chi è?- scoppia a ridere non appena termino la domanda.

-Si chiama Gioia, ha 7 anni, mia madre si prendeva cura di sua sorella Stella prima di morire, così ho deciso di aiutarla, è abbastanza sola, il padre è in prigione e vivono entrambe con la nonna, ma Stella è sempre troppo occupata per prendersene cura.- mi riesce difficile staccare gli occhi dai suoi, mi guarda e non capisco come possa, il suo sguardo, entrarmi fin dentro le ossa. Brucia, brucia forte. È un fuoco che sale piano e divora tutto quello che trova, ogni organo, ogni vena, ogni pezzo di pelle. Caldo. Ho caldo. Lui è così diverso da me, eppure siamo così simili. Entrambi apparentemente così soli. Così bisognosi di qualcuno da poter abbracciare, da poter stringere forte.

-Scusami ma ora devo proprio andare.- raccoglie una rosa da terra, era lì proprio sotto di noi, al centro di quella circonferenza che mi stringe il cuore, ma tanto forte da far tremare tutto intorno a me.

Me la porge:- La vedi questa? Questa sarà il nostro piccolo segreto, questa rosa l'ha fatta cadere Cupido, proprio in mezzo a noi. Ti rappresenta, tu sei speciale proprio come questa rosa.

Rimango estasiata di fronte a quelle parole, nell'udire un suono così dolce e melodioso. Mi sembra quasi un angelo, forse lo è davvero. Quegli occhi dorati mi fanno venire i brividi, mi fanno gelare il sangue, mi fanno sussultare sguardo dopo sguardo.

La rosa gli scivola dalle mani, mi abbasso per recuperarla e quale non è la mia meraviglia nell'alzare lo sguardo e vedere che non c'era nessun altro in quel posto che non ero io. Ero sola.

Mi guardo intorno nell'attesa di scorgere seppur minimamente e da lontano l'ombra di quel ragazzo. E per un istante ho la vaga impressione che quel ragazzo sia stato semplicemente frutto della mia immaginazione.

Torno a sedermi e quella rosa tra le mani mi sembra il dono più bello che Dio avesse potuto donarmi.

Tra il cielo e il mare.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora