Ho studiato matematica fino alle dieci e mezza di ieri sera. Non ce la faccio, è più forte di me, la matematica non è proprio il mio forte, e spesso mi domando come sia stata così sciocca da scegliere di frequentare il Liceo Scientifico. Ma oggi ce la devo fare. Non devo permettermi un solo errore.-Buongiorno- La voce di Reby interrompe le mie paranoie.
-Ciao buongiorno.- la mia voce risuona sottilissima.
-Paura eh?- domanda ridendo.
-Mi credi se ti dico che mi sto cagando in mano?-sospiro.
-Mi credi se ti dico che provo la stessa cosa?- scoppiamo a ridere all'unisono.
Reby è una ragazza dai mille colori. Un arcobaleno, si potrebbe definire. Una ragazza dalle molteplici sfumature. E forse in questo mi assomiglia. Non lo so. Sua madre è americana, infatti in inglese è l'asso nella manica della classe. Ma in matematica è peggio di me.
-Ciao nuova!- qualcuno su una moto mi saluta con la mano.
Lo riconosco.
-Ciao Francesco.- sorrido timidamente. Mi fa uno strano effetto questo ragazzo, e io non capisco il perché. Mi fa cenno di avvicinarmi.
-Senti un po'- si toglie il casco- ma quanta voglia hai di fare una cosa pazza?- lo guardo con un punto interrogativo.
-Dipende dalla cosa pazza.- rispondo.
-Sali?- domanda alzando il sopracciglio.
-Mi stai chiedendo di saltare il compito di matematica?
-Se proprio vogliamo chiamarlo così. Si.- mi porge il casco.
Forse avrei dovuto dirgli di no, avrei dovuto allontanarmi e andare via. Voltargli le spalle, però, sarebbe stato come rinunciare a quello che voglio.
Lui mi prende, mi prende tanto, fisicamente, mentalmente, caratterialmente. E non so cosa mi sta succedendo, so che potrei farmi del male, so che potrei illudermi di nuovo, so che potrei soffrire, ma so anche che adesso, ora come ora, potrei scoppiare a piangere dalla felicità, potrei farlo a momenti.
Francesco. Io non lo so spiegare cosa mi provoca, so che è bello, è bello da morire. Prendo il casco dalle sue mani, salgo sul motorino e mi avvinghio a lui e ai suoi fianchi sotto gli occhi di tutti. E per una volta mi sento diversa, mi sento speciale. Il vento tra i capelli, l'aria fin dentro i polmoni. La città scorre veloce per quel poco in cui riesco a tenere gli occhi aperti. Mi sento leggera e libera. E per un attimo ho il pensiero che papà si fosse sentito così mentre gli angeli lo portavano in cielo. Che stupida che sono, vero? Mio padre è morto, non c'è più, non tornerà mai più, è vero, ma che male c'è a immaginarmelo accanto. Magari adesso lui sarebbe stato a casa tranquillo e poi quando sarei tornata mi avrebbe dato due sberle per aver marinato la scuola, mi avrebbe messa in punizione, poi io gli avrei detto che ero con un ragazzo sulla moto e lui si sarebbe ingelosito. Ma non succederà, non succederà nulla di tutto questo. Perché mio padre non c'è e non ci sarà, oggi, domani, tra un mese, tra un anno, non ci sarà mai.
-Siamo arrivati!- abbassa il cavalletto e si leva il casco poi mi fissa quasi sconvolto- piangi perché hai marinato la scuola? Non mi dire.
-No, tranquillo. Bibo.- tendo a sottolineare quel nome per sdrammatizzare. Odio dover raccontare della mia vita, di me, di mio padre. Odio dover affrontare questi argomenti soprattutto se mi fanno piangere. Odio piangere specialmente di fronte alle persone.
-Concedo solo a te di chiamarmi così, chiaro? Ritieniti fortunata.
-Che onore.- sorrido- dove mi hai portato?- domando poi curiosa.
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Tra il cielo e il mare.
Fantasy-Davvero non capisci? La tua curiosità ha rovinato tutto, tutto quello che c'era di bello tra me e te, ora siamo condannati per sempre. -Condannati? -Per l'eternità- un brivido mi percuote. -Non mi importa- ribatto decisa. -No?- sembra sorpreso. -Co...