Il grande salone era illuminato dalla luce scintillante di enormi lampadari, tanto forte da fa pensare che il giorno fosse penetrato nonostante i drappi alle finestre.
In fondo ad esso, su di una pedana di marmo, era collocato uno scranno di legno, rivestito di foglia d'oro, e un morbido velluto rosso, come sangue, ne rivestiva l'imbottitura.
Aveva tutta l'aria di essere una sala del trono.
Passò le dita ruvide sulla faccia e stropicciò gli occhi, mentre un fruscio elegante di stoffa serpeggiò nella sala, fino a spegnersi completamente giunto al centro.
Riaprì gli occhi e, nonostante fosse ancora destabilizzato, un mezzo sorriso gli colorò il viso.
- Dovevo immaginare che dietro questa accoglienza così amichevole e calorosa ci potessi essere solo tu, maledetto succhia sangue bastardo! -
Un ringhio di bestia salì per la gola della fanciulla bionda. La pelle di alabastro divenne ancora più eterea esaltata dal rosso rubino dei suoi occhi.
"Dolore" comandò la sua mente e la carne del lupo divenne preda indifesa di un rostro che lo afferrò allo stomaco, facendolo inginocchiare.
Aro lentamente sollevò la destra perché Jane arrestasse il supplizio.
- Vi ha mancato di rispetto, signore! - si giustificò, ma in un istante le punte acuminate di dolore cessarono, lasciandolo indolensito e completamente disorientato.
- Le bestie, mia cara, hanno bisogno di un padrone intransigente e dal polso fermo, ma al contempo amorevole. - le spiegò con la voce pacata, come di un padre alla figlia. - Da' loro il tempo necessario, ed esse ti leccheranno i piedi, senza chiedere nulla in cambio. -
- Col cazzo! - ansimò, Jacob ancora con le ginocchia sul pavimento e lacrime di dolore che gli ingombravano gli occhi, - Tu sarai il mio padrone quando sarò morto e comunque non prima di aver provato a staccarti la testa a morsi! - lo minacciò spavaldo, tirando su la faccia in una smorfia di scherno.
Jacob era sempre stato un soldato; uno di quelli che si gettano nella mischia, che vendono cara la pelle, prima di arrendersi alla sconfitta e non certo per i geni del lupo. Essere forte, determinato, quasi aggressivo, glielo aveva insegnato la vita sin da bambino, sin dal giorno in cui gli aveva tolto Sara. Nessun dolore, nessuna delusione, da allora erano state capaci di abbatterlo. Anzi gli avevano forgiato il carattere, come il fuoco incandescente fa con i metalli.
- Temo che dovrai rivedere le tue teorie ... - aggiunse, con lo stesso sorriso di prima, strafottente e fastidioso.
- Io non ho fretta! - gli fece notare il vampiro, avvicinandosi a lui elegante e lento. - Tra non molto sarai tu stesso a chiamarmi "Signore" ... - aggiunse in un sibilo agghiacciante, - Del resto, la libertà non vale quanto la vita di chi ami! -
- Che significa? - chiese, mentre l'altro si allontanava senza degnarlo di alcuna risposta. - Che significa, ho detto? - ripeté.
La voce venne fuori come un ruggito, rabbiosa, aggressiva, potente, tanto che per un attimo Jacob sentì la gola, i muscoli del petto, i nervi delle cosce prendere fuoco, come se il lupo si stesse risvegliando.
Ma la sua forza durò un attimo soltanto.
Il calore della trasformazione sfumò, come vapore, la rabbia serpeggiò lungo le braccia, fino ad estinguersi sulla punta delle dita; divenne paura, terrore per Renesmee e il loro bambino, per i suoi fratelli e per i Cullen.
Quel maledetto aveva preso lui e l'avrebbe usato come un'esca viva per prendere tutti gli altri.
Ma quello che più gli faceva paura era la certezza che ciascuno di loro si sarebbe sacrificato per salvarlo; che ciascuno, antichi nemici compresi, avrebbe dato la propria vita in cambio della sua.
Tremò e sentì il petto indolenzirsi per un'apprensione insopportabile, contro la quale non poteva nulla se non pregare.
E così fece.
Pregò che Edward Cullen tenesse lontana sua figlia dal pericolo, che la proteggesse, magari con i suoi antiquati, insopportabili divieti, per i quali lo aveva irriso e detestato. Pregò perché la tenesse al caldo e al sicuro.
Avrebbe sopportato qualunque cosa, pure di morire sotto i denti di quei mostri senz'anima, purché la donna che amava gli sopravvivesse, con suo figlio in grembo.
Calò la testa, in attesa della risposta che non tardò ad arrivare, ancora più sibillina.
- Tempo al tempo! Te l'ho detto: io non ho fretta! -