Il bambino dagli occhi di cioccolato fuso correva veloce e scalzo.
I piedi affondavano ritmicamente nell'erba alta, i capelli nerissimi rilucevano al riverbero caldo del giorno consumato. Correva e rideva, agitando le mani, come in una danza tribale vecchia di millenni.
- Non mi prendi, non mi prendi! – cantilenava, col fiato corto.
Il lupo, enorme e col pelo mosso dallo zefiro profumato di menta, lo inseguiva, le zanne sfoderate in un ghigno divertito, si teneva qualche falcata indietro, fingendosi lento ed affaticato.
Il bambino, arrivato alla rupe, si voltò per controllare la distanza che lo separava dal suo inseguitore e questo, con un balzo fulmineo atterrò su di lui, facendolo rotolare sulla terra nera. Sporse il muso verso il ventre scoperto dalla maglietta, macchiata di erba ed imbrattata di terra, ed il piccolo rise di gusto solleticato dal naso umido dell'animale. Poi, afferratone il pelo della collottola, con un guizzo, gli saltò in groppa, come un grillo su di un filo d'erba.
- Corri! – ordinò, - Fammi vedere quanto sei veloce, lupo ... - continuò, stringendosi al suo collo con tutta la sua piccola forza.
Il lupo guaì, accondiscendendo, e si lanciò in una corsa folle, in una rocambolesca giostra verso la radura.
Ella se ne stava sdraiata sull'erba, tra fiori di lavanda ed erba profumata; il viso di latte rivolto al cielo blu chiaro, striato di rosa tramonto, e gli occhi chiusi, ascoltando il ritmo flebile e cadenzato del vento.
- Mamma ... - la chiamò il piccolo Quileute, ancora a qualche metro da lei. Il lupo puntò le zampe anteriori nella terra, facendone saltare alcune zolle nere e, disarcionato il suo cavaliere, lo fece rotolare sul suolo, schiacciando erba ed fiori.
Divertito corse verso di lei, le si sdraiò accanto bocconi, il viso rotondo tra le manine ed i piedi in aria.
- L'ho cavalcato, mamma, gli ho stretto il pelo forte e l'ho cavalcato! – si pavoneggiò, con una buffa smorfia.
- J.J. , quante volte devo dirti che non devi? E' pericoloso ... - lo ammonì severa, tirandosi su e puntellandosi sui gomiti per poterlo guardare negli occhi.
- Tu lo facevi sempre, quando avevi la mia età ... – disse dispettoso. – Me lo ha detto papà ... - continuò, fiero di essere abbastanza grande da conoscere il suo segreto.
- Jacob! – lo richiamò, quasi fosse lui il bambino da rimproverare.
Il giovane le sorrise ammaliatore, mentre si avvicinava, allacciando i calzoncini che aveva indossato dopo essere mutato; aprì i palmi delle mani, come a scusarsi, e scrollò le spalle. Si piegò in avanti, catturò, con mani sicure, il bambino e se lo portò, a testa in giù con una capriola, sulla schiena, come fosse fatto d'aria.
Continuò a sorridere dispettoso alla sua donna, ancora sdraiata su quel letto d'erba, fino a che una voglia prepotente di baciarla, risalì dal centro dello stomaco fino alle labbra scure.
Quando Jacob l'aveva incontrata, per la prima volta, pochi minuti dopo essere nata, aveva sentito che il mondo, da allora in poi, sarebbe nato nei suoi occhi, esattamente come il sole si leva ad oriente. Quando poi, anni dopo, l'aveva guardata, quella notte di Natale a Denali, donna perfetta e frutto maturato, aveva capito che il mondo sarebbe nato sempre nei suoi occhi, ma che sarebbe annegato nel suo corpo, proprio come il sole che fonde, nella linea dell'orizzonte, il cielo ed il mare.
Eppure, nonostante l'amore ed il desiderio forti, come vento e tempesta, ed inesauribili come cielo e stelle, mai Renesmee gli era sembrata più desiderabile, fondamentale, vitale, come dall'istante in cui aveva scelto la vita.
L'aveva venerata mentre il suo corpo di statua cambiava: il ventre che si riempiva, i seni che divenivano floridi ed i fianchi che si addolcivano; l'aveva sorretta, mentre con gli occhi serrati ed i pugni chiusi urlava per il dolore lancinante che le lacerava la carne al passaggio della nuova vita, e poi aveva pianto con lei, felice, stringendo il loro bambino. Il cuore gli si era riempito all'immagine della sua donna che lo nutriva al seno o lo riscaldava teneramente tre le braccia dolci.
Ed ancora, l'aveva guardata stupito e commosso stringersi nelle sue enormi felpe, le gambe incrociate sul tappeto davanti al camino acceso o cercare frescura con i piedi nudi nell'acqua gelida del torrente per la calura estiva.
L'aveva amata, ogni giorno di più, perché aveva scelto di essere carne feconda e fragile, sangue caldo e fluente ed infine anima incarnata e benedetta. E l'aveva fatto per lui, soltanto per lui.
La vita, aveva sempre pensato Jacob, non è una retta, punto d'origine e corsa verso l'infinito, piuttosto è, rimuginava sui suoi rudimenti di geometria, un segmento, principio e fine, il germogliare e l'accartocciarsi della foglia, l'aprirsi ed il chiudersi del fiore.
Posò il piccolo a terra, gli scompigliò i capelli lisci e lunghi fin sulle spalle, e, con una pacca sul sederino, lo spinse a giocare con i soffioni ed il vento.
Le si sdraiò accanto, poggiandosi su di un gomito, e, con la mano libera, le sfiorò il viso ancora imbronciato.
- Sai che non voglio che lo facciate ... - ripeté lei.
- Sei invidiosa, di' la verità ... - la provocò, chino su di lei, le labbra a pochi millimetri, il respiro a lambirle la pelle che si accendeva al suo passaggio. – Vorresti farlo ancora: salire sulla groppa del lupo, afferragli il pelo e spronarlo a correre ... veloce e sicuro, come il vento ... - sussurrò al suo orecchio languidamente, mentre le dita della mano, ad una ad una, le tormentavano le labbra perché le schiudesse per accoglierle.
- No! – esalò, poco convincente, alla continua, sommessa e sensuale invasione di Jacob.
- Peccato! – terminò, staccandosi dispettoso e ricadendo di lato sull'erba.
- Sarebbe pericoloso ... adesso – mormorò, cercando di camuffare il languore caldo che la voce sussurrata, la pelle liscia e le dita di lui le avevano insinuato nello stomaco.
Jacob si riscosse, aprì gli occhi e si voltò di scatto verso Renesmee, come se uno spillo acuminato lo avesse punto all'improvviso. Le puntò addosso uno sguardo inquisitore, mentre lei continuava a fingersi distratta.
- Che significa ... "adesso"? – la interrogò, inspirando più forte, mentre un vago presentimento si prendeva cervello, anima e muscoli.
Renesme scrollò le spalle, velando un sorriso e continuando a tenere gli occhi chiusi ed il viso rivolto verso il cielo.
- Renesmee? – insistette, riportandosi su di lei con tutto il suo corpo.
La giovane non rispose, scoprì il ventre dalla blusa carminio che indossava e sospirò: - Sarà femmina ... Alice ne è sicura! – rivelò compassata.
- Ness ... - sospirò, con un soffio a svuotargli i polmoni.
- Rassegnati, Jacob Black ... questa volta il nome lo scelgo io! –
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Bentrovate!
Ho aggiunto questo capitolo, che nell'altro sito in cui scrivo, chiudeva Love and Darkness.
A questo seguirà l'ultimo capitolo.
Un bacio a tutte e apresto.