La visione di Renesmee procurò agli occhi di Jacob uno spasmo, come a chi non vede la luce da tempo e per questo non riesce più a sopportarla.
La sua bellezza, la sua presenza straordinaria lo feriva in quel momento funesto, come in tutti gli altri momenti della propria esistenza.
Dal giorno che ella aveva aperto i propri occhi su quelli di Jacob, a soli pochi istanti di vita, l'amore che gli era nato in corpo era stato così forte e devastante, da aprirgli il petto in due, da spazzargli via dalla mente ogni altro valore.
L'aveva svuotato e riempito in un solo sguardo ed egli si era trovato all'istante rinnovato senza scampo; si era scoperto tradito da tutte quelle vane certezze che la vita gli aveva propinato fino a quel momento, pieno solo di lei, della sua essenza magica e indispensabile.
In quell'ora di prigionia, l'incantesimo si ripeteva con la stessa potenza, con la cattiveria di un invasore, di un dominatore o di un dio pagano, che non ammette distrazioni alla propria devozione.
Perché l'amore che lo legava a lei era la salvezza dentro il tormento; la felicità dopo lo sgomento; l'esaltazione che si scioglie nella pace placida delle certezze.
La resurrezione e la vita eterna.
Un sorriso leggero, quasi impercettibile, si mosse sulle sue belle labbra brune; i tagli e le screpolature che le imbruttivano si attutirono sotto il riflesso della propria pienezza; le pupille si dilatarono, come quelle di un gatto nel buio, alla completa conquista di quella immagine.
Renesmee ricambiò con una dolcezza candida e avvolgente; con lo stesso squilibrio, come se, anche per lei, il buio avesse perso ogni potere, nell'istante in cui i loro sguardi si erano fusi.
Ogni altro riverbero intorno si spense, illuminando ad uno la figura dell'altra, come fossero i due attori principali sulla ribalta.
Entrambi erano lì, vivi, determinati, di nuovo forti nella coscienza dell'altro; di nuovo aggrovigliati nei legacci imprescindibili del loro amore.
Jacob sembrava una di quelle statue bronzee, annerite dall'aria e dal tempo, i ginocchi sul pavimento e il torso ruotato verso di lei, prostrato, ma fiero. Era visibilmente provato, la pelle sporca, qualche tumefazione sparsa sul corpo e il collo livido e ancora segnato dalla stretta del vampiro.
Il lupo non c'era più: Renesmee comprese che per qualche strana ragione era scomparso e davanti a lei rimaneva solo un uomo, mortale e fragile, in balia di un assassino.
Era lei, Renesmee, per la prima volta, la più forte: mezza mortale, mezza vampira, con la punta dei canini che premeva sulle labbra, il veleno che le risaliva acido per la gola e nel ventre l'ancora della sua umanità.
In tutta la sua vita, Jacob era stato il suo protettore, la roccia sicura a cui appigliarsi, la fune nella caduta; il suo salvatore, nei giochi spericolati di una bambina che non poteva ferirsi, nelle corse forsennate, nella caccia per i boschi; era stato fonte serena di pace quando il suo corpo e la sua mente crescevano in fretta e il mondo intorno rimaneva uguale; guida e conforto, forza e certezza in ogni scompiglio.
Era giunto però un momento che nessuno avrebbe mai creduto possibile: il giorno in cui Jacob, da protettore sarebbe diventato dono da proteggere. Era giunto per Renesmee il giorno in cui avrebbe dedicato a lui tutta la sua forza e gli ultimi brandelli della sua immortalità, arrischiando il ventre pieno, davanti ai mostri sanguinari che un tempo le avevano fatto paura e dai quali era stata salvata.
Avanzò lentamente, con gli occhi sempre puntati in quelli di lui, con un desiderio di toccarlo e far passare attraverso le dita la rassicurazione che ce l'avrebbero fatta in un modo o in un altro; mai come in quel momento desiderò di poter mettere a frutto il proprio dono.