La lupa zoppicò faticosamente verso la figura immobile di Renesmee.
Le si accucciò ai piedi, con il pelo arruffato dallo scontro e il respiro claudicante.
La ragazza si piegò sulle ginocchia, affondò la mano nella folta pelliccia, fino a che il palmo toccò la pelle. Carezzò delicatamente e, con fare quasi materno, le sussurrò all'orecchio: - Sapevo che non mi avresti lasciata sola in quest'impresa folle ... Sapevo che saresti stata più giudiziosa di me! -La lupa sfregò il muso contro l'altro palmo; il naso umido lo solleticò, innescando una fila di ricordi, dolce e morbida, di tutti gli anni di bambina trascorsi insieme a lei e a Jacob e una preghiera di salvezza vibrò tanto accorata dentro al suo petto, che il bambino nella sua pancia si mosse, scuotendone le pareti.
Jacob era lì, a pochi metri di distanza, il suo corpo di lupo, massiccio e potente, si muoveva lento, in attesa di scagliarsi contro il suo avversario.
Gli occhi rossi del vampiro lo scrutavano alla stessa maniera.
Nella frazione infinitesimale di un secondo, all'unisono saettarono l'uno verso l'altro, scontrandosi a mezz'aria.
Le zanne del lupo strapparono la carne del vampiro, sulla giugulare, lungo la scapola e il braccio, nel primo tentativo di afferragli il collo. Demetri ricadde al suolo in piedi, con l'agilità di un felino, refrattario al colpo infertogli, sogghignando per il fallimento dell'altro.I movimenti del lupo erano ancora legnosi, come se i residui dei sedativi somministrati lo avvelenassero ancora. Ma la rabbia per l'attentato alla propria vita, a quella di tutti coloro che amava, era talmente rinvigorente da fargli ribollire il sangue e irrobustire la volontà di vendetta.
Ringhiò, scoprì i denti e balzò sul vampiro, determinato a chiudere la partita.Sullo scranno del trono Aro continuava immobile a fissare Carlise, quasi in attesa che fosse lui a muoversi per primo.
Avevano condiviso secoli di soprusi e sangue, attraversato la storia, talvolta stando solo a guardare, talvolta modificandone il corso, sempre avvolti dalle tenebre.
Ma Carlise era sempre stato diverso, assoggettato al sangue sì, come gli altri, ma con dentro agli occhi una vena di sofferenza per quella sua natura imposta e definitiva.
Aro aveva sempre saputo fin dall'inizio della loro fratellanza che un giorno, l'altro sarebbe diventato un ribelle, che sarebbero finiti così, come i gladiatori nell'arena; e sapeva pure che, nonostante non si nutrisse di sangue umano, come la sua natura imponeva, egli era il più forte.Era di certo quello che dei due sarebbe sopravvissuto.
In battaglia talvolta, non è questione di forza, ma piuttosto di ardore, di volontà feroce che le proprie convinzioni sopravvivano, anche alla propria morte.
Carlise, i Cullen, i lupi non lottavano per sé stessi, per rimanere in vita, ma per salvare ciò in cui credevano, ciò che amavano e questo faceva di loro dei vincitori, comunque andasse la guerra.
Per questo aveva lasciato che il clan vivesse delle proprie regole, di proposito aveva procrastinato il confronto finale, fino al giorno in cui aveva saputo del bambino, figlio del lupo e della mezza vampira.
Quel concepimento non era solo un evento straordinario, come era stato a suo tempo quello di Renesmee, era più una promessa, una minacciosa anteprima di una sua eventuale fine.
Come fu per Erode, terrorizzato dall'avvento di un re più grande, Aro non poteva fare altro che sopprimere l'embrione della propria sconfitta.
Quel bambino, rappresentava l'accettazione che, forse, un giorno, una nuova specie, divina, sovrannaturale e soprattutto più potente della propria, proliferasse.
E con esso, un nuovo re, una nuova dinastia!
Si passò la lingua sui canini, ne lisciò le punte e gli volò addosso, con la furia delle tempeste.