"It gets under your shirt,
Like a dagger at work.
The first cut is the deepest,
But the rest still flipping hurt".Ero ancora stranita e più che confusa, dopo aver "parlato" con quel ragazzo, ma ciò non mi impedì di incamminarmi a passo svelto verso il luogo in cui avevo lasciato le mie cose, per poi cercare di arrivare alla mia camera a un orario decente. Per fortuna riuscii nel mio intento senza troppi intoppi, ma con ancora l'immagine di quegli occhi nella mente. Mi sembrava quasi di averli già visti in precedenza, ma era altamente improbabile, perché ero certa che mi sarei ricordata di una persona così antipatica e scontrosa. Infilai le chiavi nella toppa e le girai un paio di volte, prima di poter entrare in una stanza piccola e modesta. C'era un muro pieno di scaffali in legno sulla sinistra e una scrivania dello stesso materiale - con due sedie accostate a essa - sotto questi ultimi. A fianco alla scrivania, ad almeno un metro di distanza, c'era un'altra porta, che supposi essere il bagno. C'era un letto, sempre in legno, a castello, con delle trapunte colorate con varie fantasie sul materasso, addossato al muro di fronte a me. Vicino al letto vi era un comodino, disposto accanto a un guardaroba e una cassettiera. Il comodino era proprio sotto una finestra che dava su un prato enorme, pieno di alberelli e panchine. Nell'angolo sinistro della camera vi era una ragazza bruna, con dei capelli a caschetto bagnati e spettinati e un fisico magro e slanciato, in punta di piedi, intenta a sistemare una bacheca di sughero sulla parte di muro tra la scrivania e gli scaffali. Mi chiusi la porta alle spalle, e il rumore fece in modo che la mia coinquilina si voltasse di scatto, allarmata. Le feci un cenno con la mano libera e mi diressi verso il letto di sotto, per poi buttarmici a peso morto sopra, dopo essermi sfilata lo zainetto dalle spalle e averlo lasciato per terra con valigia e giubbino. Non sapevo se a lei sarebbe andato bene il fatto di dormire sopra, ma in quel frangente non me ne curai più di tanto. Mi portai entrambe le mani sul viso e me lo massaggiai, riposando gli occhi per un po'.
"Ciao! Io sono Lindsay. Lindsay Casey" una voce squillante mi fece sobbalzare e riaprire gli occhi di scatto.
"Celeste Sullivan" mormorai, con scarso interesse, senza neppure guardarla, prendendo il cellulare da una delle tasche posteriori dei jeans per mandare un messaggio a mamma e papà e rassicurarli, dicendo loro che ero giunta a destinazione sana e salva - sai anche tu quanto mamma può essere paranoica e apprensiva, in determinate situazioni.
Sentii gli occhi della tipa puntati addosso durante tutto il tempo che impiegai per comporre l'SMS, ma la ignorai comunque, alzandomi, poi, per disfare la mia valigia. La vidi con la coda dell'occhio scrollare le spalle e andarsi a prendere un asciugamano per i capelli in quello che poi appurai essere effettivamente il bagno.
"Ma no! Maledizione, non è possibile!" mi lamentai, passandomi gli indumenti tra le mani e incominciando già ad autocommiserarmi, dopo essermi accorta di aver preso il bagaglio sbagliato.
"Qualcosa non va?" la santarellina sopraggiunse dal bagno di corsa e mi si avvicinò.
Rimescolai i panni fra loro, incasinai tutto, ma non c'era niente da fare: avevo preso quella che mi aveva preparato la mamma. Quella piena di giacche, pantaloni e gonne eleganti, tailleur e décolleté. Scossi la testa e mi risedetti sul letto, nella speranza che, se avessi chiamato Colin, sarebbe tornato indietro con il mio bagaglio. Telefonai più e più volte, ma non rispose mai. Non ritenevo potesse essere possibile. Ma non mi diedi per vinta. Non potevo farlo. Cercai delle forbicine per unghie in quell'orrenda valigia dello stesso dannato colore della mia, e, una volta trovate, cominciai a tagliuzzare tutto quello che potevo, nel vano tentativo di migliorare la situazione. Grugnii, frustrata, quando realizzai che non mi avrebbe portata a niente - e, soprattutto, che quelle forbici non tagliavano neanche l'aria. Mi rigettai sul duro materasso, nella speranza che fosse solo un brutto sogno, e mi coprii il viso con le mani. La tipa - che, fino a quel momento, aveva osservato tutta la scena senza fiatare - prese posto al mio fianco (me ne accorsi perché il materasso si abbassò sotto il suo peso), e mi mise una mano su una spalla. Separai le dita delle mani che avevo sugli occhi per vederla meglio, e la fissai, in attesa.
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Celeste - La miglior cosa che non ho mai avuto
RomanceNon stavano insieme, e non avrebbero mai potuto. Non avrebbero mai dovuto. Era scritto dall'inizio che un loro "noi" non sarebbe per niente stato destinato a esistere. Eppure non se ne importarono. Non se ne importarono e sfidarono il destino, convi...