29. Training Wheels

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"Love everything you do, when you call
Me fucking dumb for the stupid shit I do.
Wanna ride my bike with you fully
Undressed, no training wheels left for you".

Quella notte, inutile dirlo, non riuscii a chiudere occhio. Le tue parole seguitavano a fluttuare nella mia mente senza darmi tregua. Era estenuante, e mi sembrava di impazzire. Parigi. Avevo fatto una ricerca, mi ero documentata: distava cinquemilacinquecento e trentatré chilometri da Boston. Al solo pensiero mi si stringeva lo stomaco. Avevo osservato così a lungo il soffitto della mia stanza - seppure fosse buio pesto, e l'unica luce che illuminava la camera fosse quella dei lampioni in strada, che si rinfrangeva sui vetri delle finestre, e quella dell'orologio digitale sul mio comodino (che, per l'esattezza, segnava le tre di mattina) -, che avevo addirittura contato le stelle della galassia che vi avevo disegnato sopra. Solo che, arrivata a duecento, mi ero scocciata e ci avevo rinunciato. Nella casa regnava il silenzio. Tu ronfavi beatamente, al mio fianco, persa in chissà quale fantasia onirica di cui non potevo entrare a far parte. La porta era chiusa, ma non facevo altro che pensare che Peter distava solo un corridoio da me. E un corridoio era tutt'altra cosa, rispetto a cinquemila e passa chilometri. E, poi, cavolo, Peter. Qualche ora prima ci avevo fatto l'amore per la prima volta, mannaggia. E, sebbene sospettassi che quella fosse stata davvero la sua prima volta in assoluto, a dispetto di quello che lui e Mike ci avevano voluto far credere la sera di Halloween, era stata perfetta nella sua imperfezione. Non mi ero mai sentita in quel modo in vita mia, e non posso non ammettere che la cosa mi terrorizzava. Parecchio. Sbuffai e decisi di alzarmi, perché non ne potevo più di scervellarmi, e dovevo trovare un modo per zittire il mio cervello iperattivo, quindi decretai di prepararmi una schifosa tisana, che, se non altro, mi avrebbe aiutata a prender sonno. Infilai i calzini antiscivolo, che avevo per qualche strano motivo lasciato sul mio comodino, e mi diressi con cautela alla porta, tentando in tutti i modi di non fare rumore. La suddetta porta non era della stessa idea, però, e scricchiolò quando la spalancai per imboccare il corridoio. Tu mugolasti e ti rigirasti, occupando anche la mia parte di letto, ma non me ne preoccupai, sospirando per il sollievo e richiudendomi l'anta alle spalle, una volta fuori (scricchiolò anche quando la chiusi, e non potei che maledirla mentalmente, mentre mi avviavo verso le scale di legno e scendevo al piano inferiore). Sbadigliai, quando raggiunsi la cucina, che era leggermente più illuminata della mia camera, grazie alle lucine della cappa che erano rimaste accese. Mi procurai una teiera dallo scolapiatti e la riempii d'acqua sotto il lavandino. Dopodiché accesi uno dei fornelli e ve la posi sopra, aspettando che fischiasse. Mi massaggiai gli occhi e sbadigliai per la seconda volta, prendendo poi uno sgabello adiacente all'isola di marmo e avvicinandolo all'angolo cottura, così da non dover rimanere in piedi ad aspettare che l'acqua si scaldasse. Mi si chiudevano gli occhi - cosa assurda, perché fino a qualche secondo prima, a letto, non avevano voluto saperne di lasciarmi dormire in santa pace -, ma mi imposi di rimanere sveglia almeno il tempo necessario per la tisana. Mi munii già della confezione cartonata dal mobiletto sopra il lavabo, e la poggiai accanto ai fornelli, assieme a una tazza e a un cucchiaino qualunque che raccapezzai sempre dallo scolapiatti.

"Non riesci a dormire?" mi domandò qualcuno, all'improvviso, sbucando dal nulla, facendomi volare il cuore per aria e compiere un piccolo salto sulla sedia.

Avevo riconosciuto immediatamente quella voce, ma il sentirla così, senza preavviso, mi aveva lasciata qualche attimo interdetta. Scossi la testa, in risposta alla sua domanda, ancora di spalle.

"Nemmeno io" convenne, e sentii che spostava un altro sgabello, per poi posizionarlo di fronte al mio.

Non fui capace di sostenere il suo sguardo, quindi focalizzai il mio sul fumo che stava uscendo dalla bocchetta della teiera, codarda com'ero.

Celeste - La miglior cosa che non ho mai avutoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora