08. Please Don't Stop The Rain

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"And if it's going to be a rainy
Day, there's nothing we can do
To make it change. We can pray
For sunny weather, but that
Won't stop the rain".

Avevo una voglia matta di bere superalcolici e di prendermi una di quelle sbronze che non permettono di ricordare niente di quello che potrebbe essere accaduto la sera precedente. Dopo lo scherzo a Dave e la "chiacchierata" con il professor Harris, pensavo che fosse più che legittimo, da parte mia, un desiderio del genere. L'unico problema era che: 1. Non potevo andare da nessuna parte, perché non avevo una macchina mia, e, quindi, gli spostamenti mi erano preclusi; 2. Non ero a Princeton da abbastanza tempo da poter conoscere dei locali che avrebbero venduto alcolici a una ragazza al di sotto dei ventun anni; 3. I miei possedimenti economici non erano molto proficui, per cui mi toccava anche trovare un posto che non mi avrebbe salassata. Forse avevo ben più di un problema. Di solito quelle erano cose che facevo con Colin, ma di certo non potevo chiedergli di farsi altre cinque ore di auto per venirmi a trovare di nuovo. Per di più il giorno successivo a quello in cui mi aveva fatto visita. Mi serviva un piano geniale. Pensai che i punti 2 e 3 potessero essere facilmente risolti, ma l'1 rimaneva il più complicato. Poi ebbi un lampo di genio, e decisi che mi sarei attenuta a quell'idea. Non avevo tempo da perdere. Presi il mio cellulare e la quantità di soldi che ritenevo mi sarebbe servita, e sfrecciai fuori dalla mia stanza alla velocità della luce. Da quando avevamo discusso, non avevo più visto Lindsay se non nel suo letto, a dormire. Avevamo orari differenti, questo è anche vero, ma era come se mi stesse appositamente evitando. Non che la cosa mi desse fastidio (per carità, l'avevo voluto io), però comunque non ero al settimo cielo. Mi dispiaceva tanto essermi comportata in quel modo con lei, ma non glielo avrei mai fatto presente, ed ero convinta che lei, alla prima occasione, avrebbe fatto domanda per cambiare camera, o coinquilina. Non che gliene facessi una colpa: credo che l'avrei fatto anch'io, se mi fossi trovata al suo posto. Mentre mi affannavo per i corridoi, la consapevolezza di non conoscere il numero della stanza di Mike mi assalì come un cavallone in piena faccia. Grugnii per la frustrazione e mi sbattei una mano sulla fronte, dandomi dell'idiota. Non sapevo neanche a chi chiedere informazioni a riguardo. In quel preciso momento, però, una piccola fiaccola di speranza si accese dentro di me al pensiero che Mike, forse, sarebbe stato in biblioteca. Non persi neppure un secondo e corsi per i vialetti del campus diretta al suo college residenziale, il Rockefeller, e mi sforzai di ricordare il percorso fatto con lui quella mattina per raggiungere la biblioteca. Una volta lì, fui accolta dal severo sguardo ammonitorio della bibliotecaria, che, anche solo per il fatto che stessi respirando affannosamente, non si attardò a riservarmi il solito "Shh!" di rito, con tanto di indice davanti alle labbra e occhi assottigliati. Alzai i miei al cielo e mi addentrai tra gli scaffali, guardandomi nervosamente attorno. Quando fui nella sezione "Letteratura straniera", avvistai, tramite un buco dovuto alla mancanza di alcuni libri su uno degli scaffali, lo sguardo crucciato di Mike dall'altro lato del corridoio, nell'ala adibita alla "Letteratura inglese". Mi lasciai sfuggire un sospiro di sollievo, ma lui era troppo concentrato a esaminare tutti i piccoli dettagli della copertina vecchia e fatiscente di un libro, per accorgersi di me. Non vedevo l'ora di uscire da quel posto, sinceramente. C'era odore di chiuso e muffa ovunque, e mi sentivo soffocare. Il silenzio che dominava l'aria, poi, era peggio di tutto.

"Psst, Mike!" cercai di attirare la sua attenzione sussurrando, ma il secondo "Shh!" della raggrinzita bibliotecaria non si fece attendere.

Fortunatamente, però, il diretto interessato si era accorto di me, e aveva sollevato lo sguardo, incrociando il mio.

"Sulley! Che ci fai qui?" mormorò, stranito, con un tono molto più alto del mio.

Perché a lui non diceva niente, quella vecchia megera, me lo sto ancora chiedendo.

Celeste - La miglior cosa che non ho mai avutoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora