28. Somethin' Stupid

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"I practice every day to find some
Clever lines to say to make the
Meaning come through. But then I
Think I'll wait until the evening
Gets late and I'm alone with you".

Dicono che il primo amore non si scordi mai. Che, quando qualcuno ti entra fin sotto la pelle, sia impossibile scalzarlo da lì. Dicono che, se il suo nome ti si cuce sul cuore, non potrai mai scucirlo. E dicono anche che, se una persona è la tua casa, il tuo rifugio, il tuo porto sicuro, sia quantomeno improbabile annullare un legame così indissolubile. E quella era la situazione in cui mi trovavo io allora, incapacitata nello sradicare Peter da dentro di me. Sei anni. Erano passati sei anni dall'ultima volta che l'avevo visto e udito il suo nome. Ed eravamo solo dei bambini ingenui all'epoca. Sei anni tremendi, in cui avevo cercato con tutte le mie forze di rompere le catene apparentemente indistruttibili che mi univano immancabilmente e inscindibilmente a lui. E credevo di esserci riuscita, ma non avevo fatto i conti con la parte più recondita di me, nella quale lui avrebbe dimorato fino alla fine dei mie giorni, volente o nolente. Quel pomeriggio eravamo tutti riuniti in caffetteria, durante la pausa pranzo. E io mi ero persa, completamente e totalmente, a guardare Peter gesticolare e parlare a raffica con Mike dei risultati di una partita di baseball che si era tenuta di recente. Era tutto concentrato e infervorato, con le maniche della maglia azzurra tirate fin sui gomiti - lasciando intravedere la miriade di braccialetti colorati sul polso destro, mentre muoveva le mani da una parte all'altra -, e l'anello argentato sul dito medio sinistro che si illuminava, quando rifletteva la luce debole e fioca delle lampade al neon sopra le nostre teste. Aveva un sorriso perenne ad aleggiargli sul viso; i capelli biondo rame - più lunghi di quanto lo erano quando lo avevo incontrato, arricciati alle punte - che ogni tanto gli cadevano davanti agli occhi, e che lui prontamente si aggiustava dietro con un rapido movimento di mani; gli occhi vivaci e scintillanti, ed era così bello, maledizione. Non mi accorsi neppure di averlo fissato tanto a lungo, almeno fino a quando non smise di parlare, si voltò verso di me e mi sorrise, e il mio cuore si squagliò in pochi secondi. Ricambiai il sorriso, e focalizzai la mia attenzione sul sandwich al pomodoro e insalata quasi terminato che era ancora nel piatto sul mio vassoio. Ripresi a mangiare, e loro a discorrere, ma quella volta posò la mano sinistra sulla mia coscia destra, accarezzandomi la pelle, che si infiammò immediatamente, sebbene il denim dei miei jeans fungesse da ostacolo al contatto. Nessuno sembrò notare quel gesto intimo e all'apparenza insignificante. Nessuno, tranne il mio cuore, che aveva già cominciato a battere all'impazzata.

"Celeste, tu devi andare a lavorare stasera?" si informò Lindsay, risvegliandomi dallo stato di meditazione trascendentale in cui ero ricaduta.

Spostai lo sguardo su di lei, di fronte a me, che era accoccolata a Mike, stretta a un suo braccio, con la testa sulla sua spalla destra, mentre la rispettiva mano di lui era sulla gamba sinistra di lei. Avevano deciso di provarci, e avevano fatto "pace", alla fine. All'inizio era stato alquanto strano, sia per noi che per loro: fino ad allora non avevano fatto altro che insultarsi, e ogni volta che si erano rivolti la parola era stato per litigare. Perciò era chiaro a tutti che non sarebbero mai stati una di quelle coppie tutte "sole, cuore e amore". Andavano a momenti: c'erano giorni in cui per poco non si prendevano per i capelli, e altri in cui, invece, erano talmente affiatati da sembrare due sanguisughe. E quello era il secondo tipo di giornata. Fino a quella prima si stavano scannando solo perché Lindsay aveva mangiato l'ultima fetta di pizza, dopo che gli aveva in realtà promesso che l'avrebbero divisa. Stavano "insieme" solo da due settimane circa, e già sembravano una di quelle vecchie coppiette sposate da anni e anni. Tanto per far capire la gravità della situazione. No, non so se stiano ancora insieme, adesso, onestamente... È un po' che non ho loro notizie, sai.

"Mm, sì" mugolai, con l'ultimo boccone ancora tra i denti, ingoiandolo subito dopo.

Quella sera avrei dovuto anticipare il turno da Babs', che, in verità, avrei dovuto coprire il giorno dopo. Solo che mancavano solamente due giorni al Ringraziamento, e quello successivo sarei dovuta partire per Boston per tornare a casa. Lindsay annuì, pressando le labbra, pensierosa, per poi cominciare a borbottare qualcosa, che non riuscii a carpire, ad Abigail. Peter - che, a differenza mia, che sono sempre stata lentissima a mangiare, aveva già finito da un po' - aveva ancora la mano poggiata lì, e mi stava fissando insistentemente, mentre mi passavo un tovagliolo sulle labbra. Dopodiché mi girai verso di lui e gli sorrisi. Lui ricambiò il gesto, e iniziò a muovere la mano su e giù, coccolandomi la gamba. Lo stomaco mi si stava contorcendo in pancia. Un po' per quel suo movimento intimo e dolce. Un po' per il modo penetrante e senza maschere in cui i suoi occhi mi stavano perforando l'anima. Schiuse le labbra, ancora sorridenti, probabilmente con l'intenzione di dirmi qualcosa, ma non ho mai saputo cosa volesse dirmi, perché la bolla in cui ci eravamo rinchiusi fu brutalmente scoppiata da una voce che si intromise a infrangerla.

Celeste - La miglior cosa che non ho mai avutoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora