06. Close As Strangers

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"Are we wasting time, talking
On a broken line? Telling you
I haven't seen your face in ages.
I feel like we're as close as strangers".

"Celeste! Ma che cavolo di fine hai fatto, ieri sera?!" mi rimbeccò Lindsay, nel momento in cui aprii la porta e rientrai in camera.

Sbuffai e me la chiusi alle spalle, prima di buttarmi a peso morto sul letto, soffocando un lamento per la botta.

"Mm..." grugnii contro il materasso, frustrata e nervosa, perché non riuscivo nemmeno a formulare una frase di senso compiuto.

Mi girai a pancia in su e sospirai, coprendomi gli occhi con un braccio per la troppa luce che c'era nella stanza, che mi disturbava non poco.

"Ero con Jake... Jack... Jacob... Insomma, quello che è. Siamo andati in un locale lì vicino e poi... ho dormito da lui" le spiegai, con voce assonnata, minimizzando il tutto con un gesto della mano, per poi sollevare il busto e mettermi seduta per togliermi le scarpe.

"Io... - sospirò - Non sono nella posizione di dirti nulla, naturalmente, ma mi sento in dovere di dirti di..." preluse, alzandosi, scendendo dal suo letto e abbandonando i tre o quattro libri aperti su di esso per venirmi vicino.

"Appunto, non sei nella posizione di dirmi nulla, quindi chiudi il becco e lasciami in pace: la vita è mia e me la gestisco come meglio credo" la interruppi, con sufficienza, mettendomi in piedi e iniziando a sfilarmi il ridicolo vestito nero - ancora macchiato di ketchup - che avevo messo la sera precedente per uscire con loro.

Lo buttai poi su una delle sedie vicino alla scrivania, e indossai l'ancora più ridicolo pigiama di flanella che mamma aveva ficcato in quell'orripilante valigia dalle mille "sorprese". Inutile dire che non mi ero sforzata neppure di disfarla, visto che ancora speravo che Colin avrebbe trovato il modo di farmi recapitare le mie cose. Tirai via il copriletto, sollevai le lenzuola e mi ci posizionai sotto, alle undici di mattina, tentando di prendere sonno e di riuscire finalmente a dormire un po'. Ma Lindsay non era dello stesso parere, evidentemente.

"Farò finta che questo tuo comportamento assurdo sia dovuto alla mancanza di sonno. In ogni caso, lo dico per te, Celeste: hai idea di quante malattie veneree potresti contrarre, stando con un ragazzo diverso ogni... notte?" sussurrò quasi, ma ciò non mi impedì di sentire chiaramente tutto quello che disse.

Riaprii gli occhi di scatto e balzai in piedi come una furia, non rispondendo delle mie azioni.

"Tu non sai un cazzo! Tu non sai un emerito cazzo di me, della mia vita o di qualsiasi altra cosa mi riguardi, quindi non puoi minimamente permetterti di sindacare il mio stile di vita!" le urlai, su tutte le furie, scaraventando uno dei libri che era sul suo letto per terra.

Sbarrò gli occhi, e quasi pensai che fosse sull'orlo delle lacrime: ce la vedevo proprio, nei panni della perfettina innocente. Ma lei mi stupì ancora una volta, ribattendo a tono.

"E sai perché non so un emerito cazzo, Celeste?! Perché tu non lasci entrare nessuno, maledizione! Ho provato in tutti i modi a esserti amica, ma tu non me lo hai permesso! Sei frustrante - davvero frustrante -, e questo tuo atteggiamento non ti porterà a nulla di buono. Vorrei tanto che ti confidassi, che ti aprissi, che ti lasciassi aiutare, ma tu niente! Sei costantemente scostante!" gridò, forse addirittura a voce più alta della mia, e io rimasi più che sbalordita, dopo un'ammissione del genere.

Ma, sebbene avessi recepito e incassato ogni colpo che le sue parole si erano portate dietro, avevo anche capito che Lindsay era davvero una brava ragazza, e che non meritava una persona come me, come amica. Io non ero capace di instaurare dei rapporti con le persone, io non potevo cambiare di punto in bianco e far finta di credere che non sarebbe venuto il momento in cui avrei ferito anche lei, come tutta la gente con cui avevo a che fare. Quindi non mi meravigliai più di tanto, quando dalle mie labbra uscì un "Non ho mai chiesto il tuo aiuto" invece di un "Hai ragione, sono stata una stronza". Per tutta risposta, lei spalancò la bocca, sconvolta, poi si diresse al suo letto, raccolse il libro da terra e il resto della sua roba, si incamminò verso la porta, e sussurrò con tono grave un "E allora vaffanculo, Celeste", prima di sbattersela con violenza alle spalle. Avevo ottenuto quello che volevo? Sì. Mi sentivo meglio dopo tale constatazione? No, per niente. Ma era così che doveva essere: solo facendo in modo che mi odiasse, avrebbe rinunciato a starmi attorno. E solo rinunciando a starmi attorno avrebbe evitato di venire travolta dall'uragano che ero. Tirai su col naso e mi asciugai una lacrima ribelle che era sgorgata dal mio occhio sinistro, poi mi ristesi sul letto e chiusi gli occhi, stringendo il cuscino con una mano e il lenzuolo con l'altra, nel disperato tentativo di addormentarmi, e che il mondo dei miei sogni potesse essere migliore di quello in cui vivevo. Purtroppo, però, non fu per niente così.

Celeste - La miglior cosa che non ho mai avutoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora