"I knew I loved you then,
But you'd never know,
'Cause I played it cool
When I was scared of letting go".Philadelphia; 2015
"E questo è quanto" concludo, schiarendomi la gola e riprendendo fiato, dopo aver parlato così tanto a lungo senza fare neanche una pausa.
Mi gratto nervosamente il tatuaggio sul polso destro, e porto gli occhi nei suoi, attendendo una sua sentenza. Mi ha ascoltata fino alla fine della storia - cosa che, per carità, ho apprezzato moltissimo, ma ora ho la gola secca, e avrei bisogno di bere un gran sorso d'acqua. Corruga le sopracciglia e mi osserva per qualche minuto senza dire nulla, forse elaborando le parole giuste da adoperare. Ma esistono parole giuste da adoperare, in questi casi?
"Perciò... Quello che è successo è per metà colpa mia, è questo che stai cercando di dirmi?" mi domanda, ridacchiando per sdrammatizzare, aggiustandosi una ciocca di capelli biondo cenere dietro l'orecchio.
"Beh, no... Voglio dire, sarebbe successo comunque, tu hai solo fatto in modo che accadesse prima del previsto, con quel messaggio" la giustifico, abbassando lo sguardo sul tatuaggio che ora mi marchia la pelle come un segno di fuoco.
È un aeroplanino di carta che punta in alto, verso sinistra, che si lascia dietro una scia tratteggiata che compone la scritta: "Born this way". "Nata così". Ricordo ancora il giorno in cui ho deciso di farlo, due anni fa circa. Mamma e papà erano terrorizzati, mentre io ero elettrizzata. Hanno provato a dissuadermi fino all'ultimo, ma non ci sono riusciti. E ora ho anche un segno indelebile sulla pelle, che si assicurerà che non scordi mai più ciò che per il mio cuore è stato tanto indimenticabile.
"E allora perché hai deciso di raccontarmi questa storia, tesoro?" mi chiede con dolcezza, ma sorridendomi malinconicamente, stanca e provata dalla notte trascorsa sveglia.
Era notte fonda quando sono piombata qui, a casa sua, e ho stabilito di raccontarle tutto quanto. Ora è mattina, e le occhiaie sul suo, e sicuramente anche sul mio, volto possono testimoniare che abbiamo entrambe trascorso la nottata insonne. Il sapore del caffè che mi ha preparato qualche ora fa è ancora percepibile sulla mia lingua. Faceva leggermente schifo, ma questo, di certo, non posso dirglielo. Non si è lamentata, si è solo stranita, quando mi sono presentata nel suo appartamento senza preavviso, con il fiatone, sconvolta, e con il cuore a mille. Mi ha aperto la porta di casa, con i capelli lunghi fino alle spalle tutti spettinati, e il pigiama azzurro con delle papere stampate sopra tutto spiegazzato. Jean-Paul è rimasto in camera da letto a dormire, mentre lei mi ha ascoltata per tutta la notte. Ininterrottamente. Sospiro e rigiro la mano nella catenina d'argento che, sì, dopo sei anni, porto ancora al collo.
"Evan mi ha chiesto di rendere la nostra relazione più seria" sputo fuori tutto a un tratto, con voce piccola, risollevando lo sguardo solo per vedere che reazione ha avuto.
Ha ancora le sopracciglia aggrottate. Si alza dallo sgabello di fronte al mio, e circoscrive la penisola di marmo grigio della sua cucina per venirmi vicino. È in piedi accanto a me, adesso, e mi guarda attentamente, quasi come se volesse studiarmi.
"Ti ha chiesto di sposarlo?" si informa cautamente, con tono incerto.
"Cosa? No! Cioè, non ancora... Io... Non lo so. Mi ha portata a cena in un locale lussuosissimo, e poi mi ha detto una cosa del genere, alludendo a un fidanzamento ufficiale, ma non c'è stato nessun anello, e io... Ho solo venticinque anni, e tu ti sei sposata adesso, a quarantacinque, e tu e Jean-Paul vi conoscete da sei anni, e..." straparlo, nervosa e nel panico, gesticolando.
Ma lei mi zittisce, buttandosi di slancio verso di me e avviluppandomi in uno dei suoi abbracci spaccaossa, che mi hanno sempre fatta stare meglio. Questa volta non funziona, però. C'è qualcosa. Un macigno che preme nel mio petto, sul mio cuore, e che non riesco a mandare via. Ricambio la stretta, respirando il suo profumo alla vaniglia a pieni polmoni, e affondando il viso nell'incavo del suo collo. Lei mi bacia una spalla, poi si allontana da me, poggiando le mani sulla superficie marmorea e tirandosi a sedere direttamente lassù. Mi osserva, poi, dall'alto della sua postazione.
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Celeste - La miglior cosa che non ho mai avuto
RomanceNon stavano insieme, e non avrebbero mai potuto. Non avrebbero mai dovuto. Era scritto dall'inizio che un loro "noi" non sarebbe per niente stato destinato a esistere. Eppure non se ne importarono. Non se ne importarono e sfidarono il destino, convi...