Capitolo 8

47 10 5
                                    

La giornata iniziò e proseguì come tante altre della sua vita.
Aveva raccolto frutta e verdura nel frutteto e nell' orto dietro casa insieme alla madre.
Poi aveva completato i disegni dei ragazzi e degli uomini che aveva iniziato un paio di giorni prima, le lacrime erano cadute su ognuno di essi senza che lei provasse a frenarle.
Ogni tentativo sarebbe stato inutile.

La sera aveva racchiuso dentro il suo scuro manto ogni cosa e lei lo notò solo quando i suoi occhi faticarono a mettere a fuoco le tinte sparse sulla scrivania.
Si avvicinò di più alla finestra da cui proveniva ancora una flebile luce chiara, l'estremo ricordo della giornata di sole.
Guardò l'ultimo disegno che aveva completato e che ancora non aveva appeso al muro.
Senza pensarci, prese un altro foglio e iniziò a segnarlo.
Il ragazzo era in piedi e il suo volto si vedeva solo in parte siccome tutta la sua attenzione era rivolta alla ragazza davanti a lui. Egli le sfiorava il viso con la mano destra. Guardando la ragazza le parve di conoscerla.
L'aveva già disegnata.
Spostando lo sguardo la ritrovò nel suo muro, in posizione centrale. Aggiunse i particolari della giovane appesa a quella davanti al ragazzo.
Si perse ancora una volta a guardarli.
Solo un'altra volta aveva tratto una scena del genere, una scena d'amore.
Solo a pensarci la intrappoló uno strano sentimento.
Lei non aveva mai conosciuto veramente qualche ragazzo.
Non aveva mai avuto contatti continuativi.
Di fronte al significato vasto della parola"amore", non sapeva cosa provare. Sì, amava i suoi genitori e loro lei, ma oltre ciò non aveva provato niente per nessuno. Aveva letto tanto di questo sentimento e lo desiderava.
Lo bramava come un neonato cerca il latte della madre. Da come ne parlavano i libri della biblioteca, doveva essere una forza consumante, abrasiva e dolcissima.
Continuò a pensarci finché un ombra si intrufoló nel suo campo visivo. Il panico le crebbe e un brivido corse sulla sua pelle rivoltandole lo stomaco.
Gli occhi spalancati.
La figura scura percorse il prato del giardino velocemente e girò l'angolo delle mura della casa. La paura della sua infanzia era tornata ed ella non poté ignorare quell'antico terrore.
L'istinto di sopravvivenza la guidò come aveva fatto in precedenza, sia nei suoi incubi che nella realtà.
Aprì la finestra senza fare rumore e scese nel giardino.
Si appiattí contro il muro ocra e respiró più volte.
Un rumore sospetto le giunse alle orecchie e l'aria si solidificó nei suoi polmoni.
Il sudore inizió a formarsi tra la fronte e l'attaccatura dei capelli.
Secondo rumore.
I piedi schizzarono verso gli alberi, non sapeva dove stesse andando di preciso, il suo unico desiderio era scappare lontano.
Mamma.
Il pensiero la fece aggrappare ad un tronco e la sua corsa si bloccò bruscamente.
Si guardò indietro, non poteva lasciare sua madre a quei esseri orrendi. Eppure il solo pensiero di tornare la faceva tremare.
Lentamente, iniziò ad avanzare.
Osservava ogni ombra con l'ansia di chi si sente solo contro un nemico invisibile e onnipresente.
Si aggrappó al lontano angolo di cielo chiaro. Si era sempre chiesta perché il cielo fosse uno strato di una tonalità più scura di azzurro molto sopra le loro teste. Anche la notte, a causa dello strato intermedio, rimaneva piuttosto chiara. La striscia di cielo tra terra e atmosfera si notava specialmente all' orizzonte, là guardava per farsi forza.
La casa sembrava vuota.
Appoggiata ad un tronco osservava il silenzio innaturale.
Raggiunse la finestra attraverso cui era uscita e sbirció, le sue cose la aspettavano come lei le aveva lasciate.
Qualcosa nella sua mente le suggerí che si fosse sbagliata, che la sua galoppante fantasia le avesse fatto vedere cose inesistenti. Rientrò e si diresse verso il corridoio per poi entrare in cucina.
Nulla.
Tornò indietro per dirigersi verso il salotto.
Lì, appoggiata ad una poltrona, sua madre respirava a fatica.
Cetaanir corse al suo fianco, le lacrime avevano già iniziato a scorrere sulle sue guance.
<<Mamma. Mamma, perdonami, ti ho abbandonata. Scusami>> i singhiozzi interrompevano le sue parole.
<<Sono scappata, ti ho lasciata ed è tutta colpa mia.>>
Sua madre cercava di consolarla, di convincerla del contrario.
<<Hai fatto bene ad andartene. Ora puoi aiutarmi e tutto si sistemerà.>>
Il sangue colava dalla spalla della donna e sua figlia corse a prendere dei medicinali per disinfettare e chiudere la ferita.
Aiutò la donna a mettersi a sedere e la medicó.
<<Cetaanir, vai a prendere quello che ti dico: uno zaino, una coperta, i medicinali che hai usato per me, uno dei tuoi blocchi da disegno, il coltellino di papà e un tuo disegno dove si vede un paesaggio tranquillo.>>
La ragazza annuì senza fare domande e correndo tornò in pochi minuti.
<<Devi andartene. Lui tornerà e non deve trovarti.>>
<<No, devi venire con me, non posso lasciarti di nuovo.>>
Il groppo le strinse la gola ancora.
<<Sarò solo di intralcio. Poi devo restare e aspettare papà.>>
La giovane, incapace alla parola, mosse la testa più e più volte per dissentire.
<<Tuo padre sarà di ritorno entro pochi giorni, tu non lo sai, ma è andato a cercare un passaggio, per tornare indietro.>>
<<Indietro?>>
<<Forse non te lo ricordi, ma quando avevi otto anni siamo dovuti scappare dalla nostra casa, dal nostro mondo>>
Una fitta arrestò il discorso della donna.
<<Attraverso un mio disegno.>>
Cetaanir completò la frase con un filo di voce.
<<Si.>>
<<Pensavo fosse un sogno.>>
<<Quando siamo passati siamo svenuti tutti e tre. Ora devi andare, scappa attraverso il tuo foglio come allora.>>
<<Come?>>
<<Un giorno mi è sanguinato il naso. Qualche goccia mi è caduta su un tuo disegno. Volevo raccoglierlo, ma la mano ci è passata attraverso.>>
Cetaanir distese il foglio e prese lo zaino.
In pochi secondi la madre macchió il disegno col sangue che le era rimasto sulle mani e spinse Cetaanir.

Il Disegno di una VitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora