ZAYN'S POV
Sento umidi baci divorarmi il volto: spero con tutto me stesso che siano le sue labbra piene a sfiorarmi le guance velate di barba. "Diana " sussurro con voce impastata di sonno. "Zayn, fratellone, sveglia" dice una voce piccola che riconoscerei fra mille. Apro lentamente i pozzi neri e mi ritrovo un visino divertito che mi squadra. "Ehi piccolina, buongiorno". Le ciglia folte di Safaa si muovuono velocemente e incorniciano gli occhi scuri che adesso sorridono. Mi avvolge tra le sue gracili braccia e mormora nel mio orecchio "Hai detto Diana, fratellone" Quel nome aveva lasciato involontariamente le mie labbra, perché lei è sempre stata il mio pensiero istintivo. "No ti sbagli piccolina" mento mentre sento il dolce profumo di cocco lasciarle i lunghi capelli neri. "Questa è una bugia nera, Zayn" dice Safa allontandosi e puntandomi contro il dito sporco di cioccolato. Mamma avrà fatto sicuramente i brownies. "No piccolina, questa è una bugia bianca" le intimo. Gli occhi profondi di mia sorella ora sono più convinti e abbassa il dito, sorridendomi caldamente. "Mi prometti che questo sarà il nostro piccolo segreto?" le chiedo porgendole il mignolo. "Sì" annuisce Safaa stringendo il suo piccolo dito al mio. La bambina scende delicatamente dal letto e vedo delle ballerine rosa sgattaiolare verso la porta tappezzata di graffiti. "Safaa?" La richiamo. Due piccoli occhi ambrati riportano il loro sguardo dolce su di me. "Ashely ti ha detto dove andavano gli Smith?"chiedo con il cuore che rimbomba nelle orecchie."In chiesa, Zayn. Oggi è domenica" mi ricorda mia sorella. "Manchi solo tu abbiamo provato a svegliarti ma non c'è stato verso. Mamma ha detto che ero l'unica capace di farti smuovere da quel letto. Quindi fa presto fratellone." continua Safaa con tono autoritario dimostrando una maturità, davvero insolita per una bambina di sette anni appena. I suoi capelli pece legati in una treccia ordinata scompaiono oltre la porta a fantasia e inizio a realizzare e a ricordare freneticamente tutte le mie cazzate della notte precedente. Poggio i piedi sul pavimento freddo e vedo la mia immagine stanca riflessa nello specchio del grande armadio in mogano: gli occhi rossi contornati da due occhiaie nere, la barba leggermente più folta e un taglio che spicca sul bicipite destro. Tutto ritorna come un flash: Perrie, Diana, quel certo Simon o Sean, le labbra imbevute di alcol di Carter sulla mia ninfa, le mie braccia strette intorno alla sua vita, la sua pelle morbida contro le mie dita, il dolce profumo di aloe a scatenare tutte le fantasie più passionali. Ero e sono così arrabbiato con me se stesso che vorrei sfondare il muro , distruggere tutto ciò che è presente in questa stanza, in questa casa fino a non aver più forza nelle mani, fino a non sentire più le dita, fino a non sentire più questo peso sullo stomaco che non mi fa respirare perché senza Diana sono in apnea: la paura di perderla mi ghiaccia le vene. La serratura di una porta alle 3:57 di mattina mi ha costretto a lasciare la mia ninfa: Eric Smith era tornato qualche ora prima dal turno notturno e farmi trovare nel letto di sua figlia dopo una festa, avvinghiato a lei, mi avrebbe procurato un segno nero sull'addome alle 4 di una sbiadita domenica di novembre. Non è stato facile scendere dalla finestra dalle tende azzurine e atterrare silenziosamente sul piccolo cortile. Le luci soffuse dell'alba avvolgevano tutte le piccole case londinesi e creavano una sensazione di tranquillità mentre raggiungevo il piccolo pub infondo ad un vicolo cieco: non mi rimaneva che affogare la furia in qualche shot di vodka. Ricordo le insegne rosse del locale e la sexy cameriera che mi guardava ammiccante. L'ho scopata violentemente nel ripostiglio del locale, dove migliaia di bottiglie di Jack Daniel's ci fissavano, ma riflessi, nel vetro di ciascuna bottiglia, vedevo degli zaffiri lucidi e feriti che imploravano salvezza. La mia anima tormentata da Diana, urlava il suo nome ad ogni spinta. La moretta non si dava per vinta ma anzi voleva di più e mordendomi sensualmente il lobo ripeteva nel mio orecchio: "Ti farò dimenticare di lei, dolcezza". Non ricordo il suo nome o meglio ricordo solo delle lettere confuse incise sulla targhetta della sexy divisa, ma per il resto nulla. Fisicamente ero in quel locale a luci rosse ma mentalmente ero con la mia ninfa, che mi implorava di smetterla e di ritornare me stesso, ma il vero problema è che con l'alcol e l'odio verso il mostro che distrugge ogni mia parte razionale e senza di lei non riuscirò mai ad essere e a trovare me stesso. L'immagine sfocata di una scheggia di vetro scalfirmi il braccio e il suono sordo di una bottiglia di vetro infrangersi sul pavimento di quello sgabuzzino, ritornano in mente e fanno aumentare il senso di colpa. Barcollante e completamente esausto sono tornato a casa e sono collassato sul letto gelido. L'ultima volta che ho dato un'occhiata all'orologio, la sveglia digitale segnava le 5:52. La mia ninfa è stata protagonista dei miei sogni: eravamo entrambi sospesi, nel vuoto, con una luce accecante a illumimarci il volto. Non abbiamo mai distolto lo sguardo l'uno dall'altra: le sue dita affusolate accarezzarmi la guancia, le labbra rosee piegate in un sorriso timido, le curve prosperose leggermente coperte da un vestino bianco a lasciare scoperto tutto ciò che infuoca la mia pelle e due grandi ali incastrate tra le sue spalle a farci ombra, quasi a nasconderci. Un angelo, quell'angelo, a impedirmi di cadere nel vuoto. Tutto di lei soddisfava ogni mio più basso istinto maschile, ma Diana non meritava la mia eccitazione, ma qualcosa che andasse al di là dell'evidente attrazione fisica, qualcosa che lega le anime e non i corpi. Ed è così che afferro una matita spuntata e inizio a disegnare due occhi blu elettrici estremamente penetranti. Sul foglio bianco prende vita l' angelo dei miei sogni: la matita scorre, deforma, perfeziona la figura. Lei è la mia matita: smussa ogni mio difetto e lo traforma in arte, che può anche essere solo un sorriso. Ora la mia ninfa è lì a guardarmi: non voglio vedere il blu cenere di una matita rovinata, ma l'azzurro intenso che mi ha stregato quando avevo cinque anni.
***
Le goccioline di acqua bollente inondano i miei muscoli e il vapore non offusca soltanto il vetro della doccia, ma anche i miei pensieri, o meglio uno solo da cui dipende ogni cosa: Diana. Con un asciugamano legato in vita , attraverso il corridoio miracolosamente libero, e m'infilo una felpa bordeaux, un semplice paio di pantaloni neri e le storiche converse. " Zayn, forza" urla mio padre. Afferro il tefono e metto il disegno nella tasca posteriore dei jeans scuri. Scendo le scale velocemente e arrivo nel grande soggiorno che ospita la mia famiglia abbastanza infastidita. " Non so Zayn vuoi l'invito ufficiale per scendere ?"blatera Wahilya. "Andiamo, siamo in ritardo di mezz'ora e la funzione è già iniziata" intima mia madre. Mio padre ha la solita espressione,di tutte le domeniche:originariamente era musulmano, ma per amore della mamma, ha rinunciato e si è convertito. Anche se alcune volte lo vedo sbirciare il Corano polveroso che tiene in soffitta. So che gli manca, ma so anche che preferisce vedere mamma felice ogni domenica. "Zayn, piccolo, capirai di amare una donna, quando rinuncerai a te stesso per lei. Le vorresti dare tutto anche il mondo per vederla sorridere, per rivedere i suoi occhi luccicare come quando ti sei innamorato di lei il primo giorno che i vostri sguardi si sono scontrati. Non smettere di lottare di lei perché altrimenti te ne pentirai per sempre" me lo disse quando avevo appena 6 anni mentre sorseggiava un bicchiere di anice ghiacciata e ricordo ancora il suo sorriso rassicurante e le sue mani grandi scompigliarmi i capelli. Le sue parole non le ho mai dimenticate.
***
La chiesa di Saint John-at-Hackney
è piena di fedeli indaffarati ma proseguendo e spingendo qualcuno qua e là, vedo una chioma mossa e castana in lontananza. Le mani curate a disegnare cerchi immaginari sulla coscia scoperta e gli occhi blu completamente vuoti. La ninfa è seduta in uno dei banchi di legno della piccola chiesa, raggomitolata in se stessa. Non sbuffa né è stufa: la postura, i gesti perfetti, il suo meraviglioso modo maniacale di rispettare le regole sono lì, ma lei è completamente assente. Non ho la forza di vederla così, dov'è il sorriso di Norah? La ninfa deve continuare ad aiutarmi, a tenermi stretto al suo corpo minuto per non sprofondare nel vuoto. Mi appartieni Diana, non mi sfuggi piccola.
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We are (not) just best friends||Zayn Malik
Fanfic" Sentivo ancora le labbra gonfie per l'ennesimo bacio proibito. Gli accarezzai il petto e lui ci avvolse nel lenzuolo. Si avvicinò in modo lento e la voce rauca penetrò le ossa. Mi aspettavo le solite due parole: stiamo sbagliando. Dovetti ricreder...