Capitolo 35

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"Avete consegnato tutti l'autorizzazione firmata?"

"Un momento prof!" urlo dall'altra parte della stanza cercando di guadagnare qualche altro secondo per falsificare la firma di mio padre. Non era certo colpa mia se ogni volta che si presentava un'uscita di classe dimenticavo di fargliene cenno. In compenso però avevo avuto modo di perfezionare la sua firma, sfruttandola per svariate giustificazioni, dai compiti alle entrate alla seconda ora.

Mi incammino verso la cattedra e consegno il foglietto spiegazzato.

"Scusi, non riuscivo a trovarla" mi giustifico per l'attesa.

"Non perdiamoci in chiacchiere" dice frettolosamente mentre sistema in modo agitato le varie scartoffie "Tra cinque minuti dovremo essere di fronte al botteghino del teatro per ritirare i biglietti. Uscite!"

Quest'ultima frase fa scattare i miei compagni che si dirigono come una furia verso la porta, trepidanti di lasciare le quattro mura infernali che ci circondano. Mi faccio da parte per farli passare, non volendo rischiare di essere investito dai tacchi delle ragazze, ricoperti da pericolose borchie acuminate. Quale strana follia venire a scuola con i tacchi. Le ragazze e le loro stranezze. Solo un paio di scarpe da ginnastica è infilato ai piedi dell'unica ragazza rimasta in classe.

"Ketty?". Questa alza la testa, accorgendosi solo ora della mia presenza

"Ciao Andrea, come mai ancora qui?" la sua voce è strana, distante, come se mille pensieri stessero affollano la sua mente.

"Non volevo essere travolto" spiego spicciolo, più curioso di informarmi sulla sua di situazione.

"Ah... Io, ehm... Stavo allacciando le scarpe" indica le sue Nike nere. La guardai stranito. Normalmente le avrei chiesto di raccontarmi cosa le fosse successo, e lei lo avrebbe fatto. Ma non siamo in una situazione normale. Non saprei dire neanche io cosa siamo più.

Una cosa però non mi sfugge, che Claudio non sia con lei. Non ricordo neanche l'ultima volta che li ho visti separati se non per andare in bagno o a qualche interrogazione.

Lo sguardo triste dipintole sul volto mi da la conferma: qualunque cosa sia successa riguarda proprio Claudio.

Ad ogni modo, decido di non chiedere niente per paura di farla stare ancora più male. Mi limito ad aspettarlo sulla porta fino a quando non prende lo zaino ed esce con me. Rimaniamo in fondo alla fila, silenziosi, mentre vedo Claudio lanciare ogni e tanto qualche occhiata verso di noi, dall'altro capo. Ketty accanto a me cammina con lo sguardo volto a terra, corrucciato.

"Allora..." azzardo io per rompere il ghiaccio "Hai già pensato su cosa fare la tesina?"

"Ho qualche idea in mente, ma ci devo ancora riflettere bene" mi risponde vaga, recludendomi la possibilità di fare conversazione. Proviamo con un altro approccio.

"Non so se lo sai, ma ho iniziato a lavorare alla Bettola" inizio.

"Sì, Claudio me ne aveva fatto cenno. Sono felice per te" fa con voce piatta "Come l'ha presa invece tuo padre?"

"A dire la verità..." mi passo una mano tra i capelli "mio padre non ne sa nulla. Pensa che vada in biblioteca a studiare nel pomeriggio e poi esca con gli amici" confesso, maledicendomi un'altra volta per aver architettato quella farsa con l'unico genitore che mi fosse sempre stato affianco.

"Dovresti dirglielo. Tenere nascosto ciò che si pensa o prova alle altre persone é un grave errore, fidati" dice con tristezza come se lo stesse vivendo lei stessa sulla sua pelle. Forse si sta riferendo a qualcosa successa con Claudio.

"Lo so che hai ragione ma non voglio rischiare di perdere il lavoro. Per la prima volta nella mia vita sento di star facendo qualcosa di giusto per me" ed é davvero così che mi sento "Poi oramai non potrei più fare a meno di Paul" sghignazzo.

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