Capitolo 37

105 10 5
                                    

Di regola non si potrebbe andare in biblioteca durante l'ora di pranzo, ma per me vige sempre l'eccezione.
Una volta accompagnata Ketty, non mi andava di ritornare a casa. La fame mi era passata, sostituita da un macigno nello stomaco che potrei definire senso di colpa. Ketty mi ha baciato di nuovo sulla soglia di casa sua ed io non gliel'ho impedito. Mi sento come un burattino i cui fili sono stati legati tutti insieme, impedendomi qualunque movimento.

Mi aggiro per gli scaffali, tra la categoria dei classici e quella dei thriller. Lo spazio tra i due copre appena la distanza delle mie braccia aperte. Con gli occhi chiusi ed i palmi aperti verso i libri, cammino per il corridoio toccandoli uno ad uno. Dopo una dozzina di passi mi fermo e afferro i due libri ai miei lati, portandomeli sotto il naso.
È un rito che faccio spesso quando voglio un libro da leggere e non so quale scegliere; mi affido al caso.

Nella mano destra stringo il thriller, L'ombra del vento di Carlos Ruiz Zafón. Già letto, sotto consiglio di Claudio, a cui contro ogni mia più recóndita aspettativa, piaceva leggere.
Sull'azzurro libro alla mia sinistra, invece, è inquadrato centralmente il nome Shakespeare e sotto il titolo, Sonetti.
Nonostante sia la terza volta che mi capita tra le mani, non ho mai finito di leggerlo. Non è di certo la lettura più leggera del mondo, ma comunque piuttosto piacevole se si prendevano a caso due o tre poesie da leggere alla volta.
Una volta messo L'ombra del vento al posto, mi dirigo ad una delle postazioni nella stanza accanto, tenendo sottobraccio il libro prescelto.
Mi siedo ed accendo la lampada che illumina le pagine. Sto per sceglierne una a caso, quando vedo un'orecchietta piegata nel margine superiore di una pagina più in fondo. Odio vedere piegature nei libri, così sfoglio fino ad arrivare alla pagina oramai rovinata. Cerco di appiattire quella bruttura come meglio posso, ma prima di chiudere il libro per riaprirlo a caso, l'occhio mi sfugge sul titolo della pagina segnata.
Tu sei per la mia mente come cibo per la vita.
Forse è la parola cibo -e quindi il collegamento con la mia passione- ad avermi attirato.

Il sonetto LXXV -settantacinque- recita:

Tu sei per la mia mente come cibo per la vita,
Come le piogge di primavera sono per la terra;
E per goderti in pace combatto la stessa guerra
che conduce un avaro per accumular ricchezza.
Prima orgoglioso di possedere e, subito dopo,
roso dal dubbio che il tempo gli scippi il tesoro;
Prima voglioso di restare solo con te,
poi orgoglioso che il mondo veda il mio piacere.
Talvolta sazio di banchettare del tuo sguardo,
subito dopo affamato di una tua occhiata:
non possiedo nè perseguo alcun piacere
se non ciò che ho da te o da te io posso avere.
Così ogni giorno soffro di fame e sazietà,
di tutto ghiotto e d’ogni cosa privo.

Finito di leggere, compio un'azione che mai mi sarei aspettato di fare.
Strappo la pagina del libro, la piego e me la metto in tasca. Non penso nemmeno a rimettere il libro nello scaffale. Esco dalla biblioteca e torno a casa.

                                          ***

Esco con gli amici, faccio tardi.

Appunto su un bigliettino, lasciandolo sul tavolo perché lo possa leggere mio padre.
Ovviamente non sto davvero uscendo, devo andare a lavoro e sono già in ritardo di cinque minuti. Lo chef ci tiene alla puntualità e non voglio deluderlo.

Al mio arrivo, mi saluto con i colleghi di lavoro, che oramai sono diventati degli amici. A fine servizio usciamo spesso insieme per andare  a fare una birra, e a volte mettiamo anche tavola nel ristorante stesso ed io e lo chef prepariamo da mangiare per tutti.

Questa sera il ristorante non è pienissimo. C'è una partita di calcio importante della Juventus, e pochi escono pur di vederla. A malincuore non potrò guardarla io.
Dopo una sessantina di coperti e quattro ore passate a cucinare, il ristorante si svuota ed in cucina rimaniamo solo io e lo chef Pietro.

Come cibo per la vitaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora