3. Fear

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Fear.

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Ho gli occhi spalancati e fissi sulla stanza da ore ed ore, ormai. Non sono riuscita a prendere sonno. Non ho chiuso un solo occhio per paura. Non avrei mai pensato che avrei mai potuto aver paura di miei coetanei. Zayn ed Harry hanno massimo ventitré o ventiquattro anni. Alla fine, non c'è tutta questa differenza.

Avrei tante domande da fare, ma provo orrore, tanto orrore. Se questa è una casa delle bambole ed io sono una bambola, significa di conseguenza che sono un oggetto ed essendo un oggetto posso essere usato e gettato via in qualsiasi momento.

Questa reggia, si perché è troppo grande per essere una semplice villa, è inquietante.

Ciò che mi fa sentire maggiormente uno schifo è che sono stata rapita. Non ricordo molto, purtroppo.

La stanza è bella. Mi piace. Non è sfarzosa come quella da dove è cominciato il mio peggior incubo ma, infondo, è la camera di Harry quella.

Questa stanza ha un grande letto in legno, una grande scrivania con una bella lampada piazzata in mezzo, due finestre con delle tendine in merletto e un bagno in camera interamente bianco.

I comodini ai lati del letto mi hanno tenuto compagnia per tutta la notte. Ho passato ore ad aprirli ed uscire vari foglietti con dei disegni o altre scritte.

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Tento di fare il minor rumore possibile con le scarpe mentre cerco una via di fuga, osservando l'ambiente che mi circonda.

Sono al piano di sotto e sto cercando di ignorare le altre che fanno avanti ed indietro preparandosi per la colazione.

Sono truccatissime e si sistemano di continuo i capelli a vicenda. Io, a malapena, ho fatto una linea di eyeliner su ciascuna palpebra ed ho indossato un vestitino rosa pallido. I miei capelli? Un disastro. Non li ho per nulla ritoccati e sono disordinati. Non li ho nemmeno sciolti perché odio vedere me stessa con i capelli sciolti. Li ho sempre legati o comunque per metà legati.

Entro in una stanza isolata, dove non c'è nessuno, e la finestra è aperta. Siamo a piano terra: posso gettarmi.

Mi affaccio dalla finestra ed è il mio giorno fortunato: un prato inglese ricopre il giardino quindi ho anche un possibile atterraggio confortevole.

Perfetto.

Guardo dietro di me, verso la porta, per assicurarmi che nessuno stia assistendo a questa scena di disperata follia.

Mi sporgo ancor di più: non voglio gettarmi subito, non si sa mai.

"Cosa stai facendo?"

Sussulto a questa domanda detta con questo accento così particolare e questa cadenza non comune. Ho le lacrime pronte a scendere. Ho così paura ma non devo darlo a vedere. Resto di spalle cercando di regolare il respiro e metter su una faccia strafottente.

"Sto guardando il giardino." Mento e sorrido, osservando Zayn che ha le mani in tasca e le gambe distanziate appena l'una dall'altra.

"Strano." Commenta con tono scettico ed una espressione annoiata. "Solitamente tutti lo guardano da sopra: c'è una visione migliore." Sorride diabolicamente.

"Ah."

"Solo questo dici?" Alza un sopracciglio folto come per strapparmi le parole di bocca. Avrei tanto da dire ma è meglio non parlare in certi momenti.. come questi.

"Cosa vuoi che ti dica?"

"Cosa vorresti dirmi?"

"Nulla." Taglio corto e noto il suo sorrisino cattivo svanire per poi diventare serio. Ravvicina le sopracciglia con un rapido movimento e scrolla le spalle con un fare quasi disinteressato.

"Non sei brava a mentire."

"Appunto," inizio, "io non sto mentendo."

"Si vede ad un chilometro che stai cercando di farlo." Scuote la testa ed arriccia le labbra.

"Io non dico le bugie." Replico ancora.

"Stai cercando di dirne una ma non lo sai fare. Sai, dovrei insegnarti ad essere più convincente." Mi prende in giro e scuoto la testa, alzando gli occhi al cielo.

"Non durerà a lungo questo; lo sai, no?" Domanda serio, serissimo; come un padre in cerca di autorità. Non capisco dove sta cercando di arrivare con queste sue domande alquanto inopportune. Focalizza lo sguardo sui miei occhi avvicinando pericolosamente il viso al mio e sbatte le palpebre due o tre volte di fila. Cosa vuole?

"Scusa, ma non capisco." Faccio un passo indietro verso il muro e lui uno avanti.

Sta diventando soffocante.

Alzo un sopracciglio castano stavolta io e come offesa dal suo atteggiamento maledettamente troppo appiccicoso, incrocio le braccia al petto.

"Dovresti starmi lontano." Mormoro ancora, a denti stretti, stavolta.

"Che?"

"Hai sentito."

"No."

"Si, invece." Replico con un tono più acuto, tant'è che rimbomba per le possenti pareti creando un'inquietante e fastidioso eco. Le sue mani ambrate le ritrovo improvvisamente lungo le mie braccia. Le stringe con una forza da far paura; sovrumana, direi. Rapido come un fulmine mi spinge con forza contro il muro e dopo la forte percossa, una scossa di dolore inonda la mia schiena e gemo un po', angosciata. Pochi millimetri separano i nostri visi e l'ansia sale. Le emozioni negative prendono in possesso il mio corpo e cerco di trattenermi dal scoppiare in mille urla. Non voglio che mi metta le mani addosso. Nessuno l'ha mai fatto.

Lascia le braccia ormai doloranti e porta il tocco morbido sul mio viso lasciando delle fugaci carezze e sono alquanto sbalordita. Una mano viaggia per la mia guancia sinistra mentre l'altra affusola un po' i capelli già disordinati e devo ammettere di bearmi un po' a quelle attenzioni. Resto, però, seria e lo guardo come se volessi ucciderlo adesso; forse si, lo farei, se potessi.

"Ti sto fottutamente dicendo di non aver sentito, okay?" Il tono è molto più basso e deglutisco. Mi sento in pericolo nonostante le carezze. Ha un non so che di macabro e mi terrorizza il solo pensiero di vederlo tutti i giorni da ora in poi... di averlo nella mia routine, vita.

"Piccola, dimmi cos'hai detto poco fa e giuro che ti lascio andare."

"Davvero?" Temporeggio per cercare una scusa nella mia testa.

Lui serra la mascella. "Si."

"Ho detto che ho fame." Mento e mordo il labbro carnoso sperando che non se ne accorga della piccola e bianca bugia.

Si, è piccola e bianca per salvarmi la pelle: non uccide nessuno, anzi.

Sorride come preso da tanta tenerezza... ci è cascato?

"Tesoro, resto qui vicino a te finché non ti decidi ad essere sincera con me, mi appartieni." Sussurra nel mio orecchio e vari brividi percorrono tutto il mio corpo.

Brividi di orrore, si.

Mi sento come umiliata da questo sporco maschio maschilista che mi ha portata via di casa senza la mia autorizzazione. Mi ha sradicata dalla mia bellissima routine che pian piano riesco a "riorganizzare".

Gli occhi si riempiono le lacrime.

Collectors of Dolls. [z.m.] #wattys2017Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora