May
Capitolo 16
Ero sempre stata dell'opinione che gli occhi parlassero più di qualsiasi altra cosa. Dicevano cose che la bocca non era capace di esprimere, il loro era un linguaggio segreto che solo pochi avevano la fortuna di conoscere. Cosa vedevo io negli occhi di Graham in questo momento? Tanta paura. Esprimevano tanta paura nonostante la bocca sorridesse e il corpo fosse tranquillo. Graham aveva paura, non so bene di cosa l'avesse, ma ero certa che fosse così. Dopo quel sorriso che gli avevo accennato in risposta al bigliettino che mi aveva scritto, aveva continuato a fissare il professore e a stare attento a qualsiasi cosa dicesse. Io invece non stavo ascoltando nessuna di quelle parole, ero completamente assorbita dalla presenza di Graham. Avevo perfino dimenticato Nate, posizionandolo in un angolo remoto del mio cervello. Ma era questo il potere di Graham: quando stavo con lui mi sentivo come se avessi trovato il mio posto nel mondo, quello che comunemente chiamavamo 'casa'. Sentirsi come a casa con una persona era una rarità. Potevi sentirti protetta, al sicuro, ma sentirsi a casa era un'altra cosa. Significava spogliarsi di tutti i difetti e metterli in bella mostra. Significava lasciarsi andare, mostrarsi vulnerabile, debole, piccola. Significava mostrarsi per quello che si era senza aver paura di nulla. Significava dare la password per quel linguaggio segreto di cui solo gli occhi potevano usufruire. Ecco, per me questa era casa.
Il professore diede avvio al quarto d'ora di pausa senza che io me ne rendessi conto. Entrai in panico, restare sola con Graham mi terrorizzava a morte ultimamente.
«Dimmi, come va con Nate?» chiese Graham, mentre io continuavo a pensare a cosa fare o cosa dire in questa situazione.
«Come, scusa?» dissi, distratta.
«Nate ti tratta bene?» oh, era questa la sua preoccupazione più grande?
«Non posso lamentarmi.» risposi, vaga. Non volevo dargli altri dettagli, nonostante morissi dalla voglia di farlo ingelosire.
«Sono felice, solo se tu sei felice.» disse, guardandomi dritta negli occhi. Il mio cuore iniziò a battere molto più velocemente del dovuto, il sangue pompò nelle vene in fretta, il mio corpo fece un sussulto a quell'affermazione semplice ma così piena di significato.
«Sì.» riuscii a balbettare.
«Solo...se dovesse trattarti male, o spezzarti il cuore, ti prego dimmelo. Vorrei poter dargli un pugno in faccia.»
«Non lo farà, è un bravo ragazzo.» lo difesi.
«Se dovesse farlo, hai la mia parola, May. Giuro che gli darò un pugno.»
«Non mi spezzerà il cuore, Graham» ribadii.
«Come fai ad esserne così sicura?» chiese, curioso.
«Non mi farò spezzare il cuore per la seconda volta da un ragazzo.» risposi sincera. Ed era veramente la verità, Graham mi aveva spezzato il cuore e mai nessuno sarebbe riuscito a ricucire le mie ferite se non lui stesso. Aveva deciso di lasciarmi? Di mentirmi? Bene, la vita andava avanti, anche non volendo ti trascinava via con sé. Avevo scelto di andare avanti con Nate, così avrei fatto.
«Mi spiace.» Graham appoggiò la sua mano sulla mia, evidentemente triste.
«Non era mia intenzione, ma se volessimo parlare di noi, May, io ci sono per te. Voglio solo te, lo sai.»
«Se tu mi avessi voluto davvero, avresti lottato per me e soprattutto non mi avresti mentito. Mi hai lasciata sola per mesi! Ti ho mandato tantissimi messaggi in segreteria e non ho mai ricevuto una risposta. Mi spiace, Graham. Ciò che è perduto, non può più essere recuperato.»
«Allora facciamo finta che non sia mai successo nulla e che oggi sia il nostro primo incontro.» sorrise «Piacere, Graham Evans» e mi diede la mano.
«Non fare lo stupido, tu non sei così.» feci una smorfia.
«Dammi una possibilità, May.» mi supplicò.
«Devo già farti da tutor oggi pomeriggio, cos'altro vuoi da me?»
«Voglio solo che mi ascolti, ti racconterò ogni cosa di questi ultimi mesi.»
«E basta?»
«Basta, solo questo. Almeno per ora. Ci stai?»
«Ci sto.» strinsi un patto con il diavolo, ero sicura che sarei andata all'inferno.
«E comunque, ascoltavo sempre i messaggi che mi lasciavi in segreteria, erano per me come musica.» almeno non tutto era andato perso..-
Più tardi, nel pomeriggio, feci accomodare Graham nella mia umile casa, quella al mare, che era distante pochi passi dall'università. Nate mi aveva dato una mano nel sistemarla ultimamente, ma la maggior parte del lavoro l'avevo fatto io un po' alla volta. Ogni cosa era ritornata al suo posto, certo non era poi così grande come casa ma a me bastava. Avevo la cucina e un divano al piano terra, mentre al piano di sopra c'era la camera da letto, un bagno e un ripostiglio. La casa era poi molto accogliente e sempre molto calda. Adorava vivere vicino al mare, poter camminare sulla sabbia tutte le volte che volevo e dormire con il suono delle onde. Era il mio posto preferito, la mia casa.
«Wow, mi piace come hai sistemato qui dentro.» disse Graham con stupore.
«Giuro, l'adoro.»
«Mi fa piacere, Graham.» risposi, facendogli un piccolo cenno di sorriso.
«Amo questo odore, è un mix tra te e il mare. Mi fa letteralmente impazzire.» notai che si stava avvicinando sempre di più a me, e la probabilità che mi volesse saltare addosso era alta.
«Comunque, siamo qui per studiare. Quindi apri bene le orecchie e ascolta. Non vorrei passare la notte in bianco a spiegarti tutto.» dissi, decisa. Lo vidi imbarazzarsi come non mai, le sue guance erano rosse come un pomodoro. Questo suo nuovo modo mi fece tenerezza, capii bene che non lo conoscevo poi così tanto.
«Agli ordini capitano!» amavo da matti anche il suo senso dell'umorismo...oh, madonna. Stavo parlando troppo. Basta pensare a Graham.
«Qui ci sono i miei appunti.» Glieli passai e continua a spiegargli come funzionassero le cose. Graham comunque era sempre stato un ragazzo molto intelligente, apprendeva tutto molto velocemente quindi ero sicura che domani avesse messo ko il professore di biologia. Facemmo pure la merenda e lo invitai a cena, visto che ancora non avevamo finito. Ordinammo una pizza, come ai vecchi tempi e ci rilassammo per qualche minuto sul divano. C'era imbarazzo, ognuno di noi stava attento a non fissare troppo l'altro, a non cercare il contatto fisico, a stare lontani prima di fare qualcosa di cui poi ci saremmo pentiti. Eppure i nostri corpi si attraevano come due calamite dai poli opposti. Dovevo uscir fuori da questo silenzio, dovevo non pensare troppo.
«Raccontami di Lou.» me ne uscii.
«Lou? È mia sorella, cioè sorellastra. L'ho conosciuta perché sua madre, ha contattato mio padre ma lui non le ha mai dato risposta. Allora son voluto andare direttamente da lei, e ho passato dei mesi con Marika, la mamma di Lou, e lei in Ohio.»
«Perché non hai voluto dirmi nulla? Potevi fidarti, avrei potuto aiutarti.»
«Non volevo farti soffrire, pensavo ti saresti dimenticata di me un giorno. Non volevo mai più ritornare..» avevo le lacrime agli occhi «..ma quel giorno, quando mi hai visto lottare in quel magazzino, ho capito che non sarei rimasto mai più un giorno senza te, che mi bastava guardati anche da lontano e sorridere per farmi felice.» si girò verso la mia direzione e mi prese entrambe le mani.
«May, sei nella mia pelle, incisa come un tatuaggio indelebile, sei nelle mie ossa, nella mia mente. Sei nell'aria, sei in ogni cosa che faccio. Sei la mia casa e onestamente non voglio essere un senzatetto per il resto della mia vita.»
«Perché..?» balbettai «..perché proprio ora?»
«Perché solo perdendoti ho capito quanto ti amassi.»
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May - May 2
ChickLitMAY Bukowski scrisse: "Era bello che fosse lei a stringermi, a lasciar perdere le parole." Aveva ragione. Quando Norah May Alcott mi teneva tra le sue braccia, stretto al suo corpo caldo, le parole non servivano. Curava le mie cicatrici con la forz...