Capitolo 37

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**Nota importante alla fine del capitolo. Buona lettura!**

1' Febbraio. Quello doveva essere il giorno in cui Harry compiva ventun anni. Mi sentivo come se avessimo raggiunto un piccolo traguardo, come se questi compleanni dovessimo passarli tutti insieme.

E invece, quando quella mattina mi chiamarono, la mia vita finì. Niente aveva più senso. Mi sentivo come in un vortice nero, che mi risucchiava ogni emozione.

È passata una settimana da quando mi hanno chiamata, ed è stata la settimana più brutta della mia vita. Non ho avuto le forze di andare a trovarlo, troppo dolore mi ha invasa. Dovevo prendere il mio tempo per realizzare, elaborare.

Certo, la voglia di andare da lui era tanta, ma mia madre non me l'ha permesso. Il processo, le accuse. Volevo essere al suo fianco, volevo esserci per lui. Ma i miei genitori avevano detto di no, che erano questioni troppo gravi: ed io non ne potevo sapere nulla.

-

Cammino lentamente verso l'edificio sporco, spingendo la pesante porta di metallo. Una guardia mi accoglie immediatamente, tirando fuori un blocchetto.

"Jane?" Mi chiede l'uomo, ed io annuisco. "Hai una ventina di minuti, non di più. Ti chiamerò io quando il tempo sarà terminato" Afferma, guidandomi per un corridoio lungo.

Passo tutte le celle, ovvero delle porte bianche con una finestra nel centro. Alcuni detenuti si affacciano per vedermi, ritornando poi a sedersi nei loro letti.

Un grande cartello richiama la mia attenzione: Visite. L'uomo apre la porta davanti a me, lasciandomi passare. Una stanza abbastanza larga piena di tavoli mi si presenta davanti. Un vetro divide la mia parte con l'altra, mettendomi una certa soggezione. Nessuno è nella stanza.

Mi siedo su una sedia a caso ed osservo la stanza andata a male: muffa, crepe. Il mio sguardo viene catturato da un telefono davanti a me. Dovrò comunicare con lui con questo coso?

Appena lo vedo entrare, il mio viso si prosciuga di ogni emozione. Una tuta arancione e malridotta copre il suo corpo magro- troppo magro. I capelli tenuti disordinatamente e la barba non curata gli danno un aspetto selvaggio, trasandato.

Non si accorge della mia presenza, dato che si gira per farsi togliere le manette. Aspetta che le guardie chiudano la porta per girarsi verso di me.

Lui non sa che sono qui, penso.

Quando i nostri occhi si incontrano non riesco a trattenermi e scoppio in un pianto. Piango ed afferro la cornetta, aspettando che lui faccia lo stesso.

Sembra titubante, ma alla fine si siede e prende la cornetta in mano. Da scioccato, passa ad arrabbiato- molto arrabbiato.

"Harry.. I-Io non so cosa dire, come posso scusarmi? Io.. Ho cercato di esserci, ma non me l'hanno permesso. T-Tu.. Io.." Singhiozzo, lasciando cadere la cornetta ed afferrandomi la testa tra le mani.

Le sue dita picchiettano sul vetro, indicandomi la cornetta.

"Perché sei qui? Non ho bisogno della tua compassione e dei tuoi sensi di colpa" Ringhia, puntando il suo sguardo sui suoi polsi rossi.

"Harry.." Sospiro, cercando un filo di lucidità. "Non ho ancora capito perché ti hanno sbattuto qui dentro"

"Derek. Mi ha denunciato ed incriminato. Com'è che mi hanno definito?" Si gratta la testa, portando il suo sguardo su di me. "Ah, si. Pazzo. Non è riuscito ad incriminarmi per i suoi reati, ma per la piccola rissa che abbiamo avuto. Lui ha avuto la meglio, servendosi di un avvocato famoso a New York, così io devo stare qui dentro per un anno intero" Sbatte la cornetta al suo posto, incrociando le braccia al petto.

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