CAPITOLO 22: Elisa

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(Nota dell'autrice: ogni parola, ogni frase, ogni punto sono stati meticolosamente ricercati, trovati e voluti. Questo capitolo è stato scritto con l'intenzione di far riflettere e pensare. Spero troviate tra le sue righe quello che ho cercato di trasmettervi.)

Il torpore e la leggerezza che ricercavo nell'alcool stasera non sono arrivati. Avevo la testa pesante e le gambe sembravano due macigni. Questi due uomini di Neandertal mi avevano sbatacchiato tra pista e bancone del bar improvvisato per troppo tempo. O forse ero qui da poco? Non lo sapevo più. Non sentivo più i miei pensieri, non riuscivo più ad articolare una parola, credetti di vomitare da un momento all'altro invece questa sera il mio stomaco reggeva davvero bene. Non posso dire la stessa cosa della mia testa. Vedevo gli occhi di Ryan ovunque, occhi che giudicavano il mio comportamento e io per fargli vedere che non me ne fregava nulla bevevo, e bevevo. Le miei due distrazioni erano ben contente di riempirmi il bicchiere, il mio corpo un po' meno. Stavo collassando e lo sentivo. Dovevo stendermi da qualche parte o sarei svenuta qua in mezzo. La musica mi assordava. Questa specie di tecno-house mi spaccava i timpani e faceva crescere in me il bisogno di rinchiudermi in un posto silenzioso.
Si dai, dì a questi due che vuoi stenderti, chissà cosa penseranno loro! Ecco che la mia coscienza tornava a far capolino. Almeno lei non era sotto i fumi dell'alcool e aveva ragione. Chiedere a questi due arrapati di essere scortata in qualche camera era come un invito a nozze.
Però sei anche stanca, e mica volevi far incazzare Ryan? Quale modo migliore che spargere la voce che te la sei fatta con due tizi? Questa argomentazione era più che sufficiente per far uscire dalla mia bocca le uniche parole che avessi proferito stasera.
"Ho bisogno di stendermi un attimo, non mi sento bene."
"Non ti preoccupare bellezza, adesso ci prendiamo cura noi di te." Il sorriso che mi rivolse era da brividi. Anche con la vista offuscata mi fece accapponare la pelle.
"No, meglio che mi sieda qui da qualche parte.." Oddio, che cazzo avevo fatto?
"Smettila di fare così, lasciati andare dai, hai bisogno di un vero letto..vieni dai.." Non volevo. Non dovevo. Ma loro erano troppo forti e io ero troppo uno straccio. Mi lasciai trascinare su per le scale. Mi lasciai trascinare dentro una camera troppo in fondo al corridoio, ma appena vidi il letto ogni altra cosa mi passò di mente. Tipo il fatto che c'erano due sconosciuto con me. Mi stesi sul letto e chiusi gli occhi. Che sensazione fantastica!
Mi godetti trenta secondi di pace che vennero interrotti dalla serratura che scattava. Il panico si impossessò di me.
"Cosa state facendo?" Mi alzai di scatto dal letto ma inciampai nei miei stessi piedi.
"Dove pensi di andare? Sei così ubriaca che sarà impossibile scappare. Sarà più facile del previsto!" Le sue grandi mani non accennavano a lasciarmi andare. Iniziai a dimenarmi come una pazza. Mi sentii come un topo in gabbia. Dai suoi occhi traspariva tutto quello che stava pensando di farmi in questa stanza. Ci vidi un film horror in quello sguardo, e la protagonista ero io.
"Lasciami andare brutto stronzo! I miei amici si accorgeranno della mia assenza!" Dovevo chiamare aiuto. Se urlavo qualcuno avrebbe potuto sentirmi. Avevo visto abbastanza film per sapere che non era vero. Ma nella condizione di panico in cui versavo era l'unica soluzione che mi venne in mente.
"Oh piccola bambina ingenua, anche se urli loro non ti possono sentire, siamo nella stanza più in fondo e la musica è assordante." Ora capivo perché mi avessero portato fino a quaggiù. La paura montava sempre di più in me trasformandomi nella piccola bambina che si rannicchiava in un angolo quando i suoi genitori litigavano. Mi sentivo come allora, persa, spaesata, senza via d'uscita.
No! Mollare adesso era un suicidio. Era come servirgli su un piatto d'argento la vittoria. Se mia madre mi aveva insegnato una cosa, questa era quella di non arrendersi mai. Anche se non faceva riferimento a una situazione così estrema, valeva lo stesso! Avrei lottato con le unghie e con i denti. Mi avventai su di lui e lo morsicai nello spazio tra collo e clavicola. Il suo urlo di dolore mi avvisò che l'attacco era andato a buon fine.
"Troia!" Non vidi neanche lo schiaffo arrivare. La guancia iniziò a pizzicare e un dolore sordo mi invase. Nessuno mi aveva mai picchiato. Era un dolore acuto, come un milione di spilli conficcati in metà della mia faccia. Ero intontita e questo voleva dire che ora erano in vantaggio loro. Mi spinse sul letto e io vi affondai. Dovevo riprendermi in fretta. Lo stronzo ci mise un attimo ad essere sopra di me. Era un peso opprimente. Mi mancava il respiro. Era troppo pesante. Da questa posizione sarei stata sicuramente in svantaggio. Dovevo levarlo da lì. Iniziai a muovere le braccia, a fendere l'aria. Le muovevo senza sosta ignorando la stanchezza. Sembrava tutto inutile perché lui non accennava a muoversi. Ero troppo lontana. Con una spinta staccai le spalle dal materasso quel tanto che bastava per arrivare alla sua lurida faccia. Graffiai. Graffiai. Graffiai. Riuscì anche ad assestargli un pugno sullo zigomo sinistro. Ero più forte di quanto immaginassi. Ma non sapevo quanto sarei potuta resistere. Non accennava a muoversi. E allora colpì ancora. Se ne doveva andare.
"Porca puttana, adesso l'ammazzo!" Mi tirò un pugno. Il sapore del sangue invase la mia bocca. Sapeva di metallo. Ho sempre odiato il sangue e adesso il mio palato ne era invaso. Il pizzicore passò dalla guancia al labbro inferiore. Ora non era come milione di spilli, era anche peggio. Il labbro pulsava come se l'avessi poggiato su una qualche fonte di calore. Vi passai sopra la lingua e sentii che vi era un grosso taglio che seguiva il suo contorno per l'intera lunghezza della mia bocca. Mi venne un conato di vomito. La mia faccia sarebbe stata irrimediabilmente rovinata. Ma non potevo arrendermi. Continuai a muovermi, a graffiare, a spingerlo via.
"Non stare li così! Vieni qui a tenere le mani di questa troia!" L'altro tizio venne in suo soccorso. Dov'era stato tutto questo tempo? Doveva proprio svegliarsi dal suo torpore adesso? Perché diavolo non fermava il suo amico? Ma davvero c'erano persone che rimanevano impassibili davanti a queste cose? Si avvicinò con l'intenzione di braccare la mie braccia. Mi ribellai anche a lui, ma questo era più grosso e non ci mise molto poco a trattenere i miei polsi nelle sue mani ruvide. Erano grandi, troppo grandi e avevano la faccia di mani che potevano fare solo del male.
"Ora non fai tanto più la dura vero? Vediamo che c'è sotto questi vestiti!" Cosa? Voleva spogliarmi? No! No! No! Non poteva davvero succedere. Dovevo liberarmi. Avendo le mani bloccate iniziai a scalciare ma il ragazzo posto sopra di me si mise sulle mie ginocchia impedendomi ogni movimento. Ora ero davvero in trappola. Mi avevano immobilizzato. Mi avrebbe tolto i vestiti. Sarei diventata vulnerabile. Le lacrime iniziarono a pizzicarmi gli occhi.
"No! No! Lasciami stare, non toccarmi! Levami la mani di dosso!" Iniziai a piangere. Le lacrime sgorgarono a fiumi come per cancellare la vergogna che stava montando dentro di me. Continuai ad urlare, a dimenarmi, ma a ogni mia ribellione lui mi assestava un pugno. Il dolore non faceva altro che aumentare, insieme alle lacrime e alla paura di non uscire mai da quella stanza. Al mio primo accenno di movimento mi assestò un pugno nello stomaco. Mi si fermò il respiro. Come se per un attimo mi avessero strappato l'aria dai polmoni. Iniziai a tossire e il mio respiro si fece irregolare, interrotto dai singhiozzi che ormai facevano parte di questa agonia. Il successivo fu su una gamba, appena sotto il fianco. Vedevo il segno delle cinque dita che piano piano veniva fuori. Bruciava e pulsava. Intanto lui continuava a premere il suo corpo sulle mie ginocchia, aumentando le fitte di dolore che ogni mia terminazione nervosa stava sopportando in quel momento. Pensai che se fosse stato ancora un attimo lì le mie ginocchia avrebbero ceduto e si sarebbero spezzate. Le sue mani premevano sulle mie cosce. Si muovevano su tutto il mio corpo, marcando ogni centimetro della mie pelle. Quel contatto era sbagliato. Mi faceva venire la pelle d'oca, e non era per l'eccitazione. Premeva con così tanta forza che pensai che non mi sarei mai liberata da questa sensazione in vita mia. Le sue luride mani si infilarono sotto la mia gonna. Stava per succedere.
Mi strappò gonna e camicetta. Vennero via come niente lasciandomi solo in mutandine e reggiseno. Ero esposta, vulnerabile, una facile preda. Nei suoi occhi non c'era il desiderio bruciante come quelli di Ryan quando mi aveva spogliato alla festa di Halloween. In questi occhi c'era solo l'immagine di un'altra sgualdrina a cui insegnare qual era il suo posto. Mi guardava come un leone guardava una gazzella dopo mesi di digiuno. Se prima avevo paura di questi occhi, ora ero sicura che sarebbero diventati il mio peggior incubo.
Le sue avide mani si stavano ancora muovendo su di me. Ora premevano con forza sul mio petto, sulla mia pancia, sempre più vicine ai miei slip. Quando poggiò le mani all'altezza del mio pube tornai a dimenarmi come una ossessa. Una scarica di adrenalina mi attraverso la spina dorsale risvegliandomi dal mio stato di terrore. Non doveva toccarmi li!
"No, no, no. Lasciami stare! Per favore basta! Basta!" Mi stava togliendo gli slip. Ci misi tutta la forza che mi era rimasta e mi liberai dalla stretta del primo energumeno, mi avventai come una furia sulla faccia di quello che mi stava sopra. Lo riempii di graffi finché non mi sanguinarono le mani. Misi le mani a pugno e continuai a colpirlo. Doveva soffrire. Dovevo leggergli negli occhi la stessa paura che si leggeva nei miei. Tirai schiaffi, tornai a graffiare. L'adrenalina si era impossessata di me e delle mia facoltà, ero una furia e non volevo smettere. Se mi fossi fermata stavolta non avrei più avuto occasioni come queste. Dovevo riversare tutta la mia rabbia ora, per fargli capire che non mi sarei piegata tanto facilmente. Quello che mi teneva le mani mi strappò dalla faccia dell'amico e mi ributtò sul letto. Mi teneva più salda di prima. Cercai di non mollare e continuai a muovermi. Quello sopra di me si teneva il volto fra le mani. Quando le scostò osservai la mia opera d'arte. Volevo vedere con quella faccia tutta rossa chi poteva portare in un camera isolata ora per violentarla!
"Questa me la paghi. Bisogna insegnarti l'educazione!" Avvicinò la sua faccia alla mia rivolgendomi un ghigno velenoso. Da questa distanza ravvicinata sentivo il suo fiato che sapeva d'alcool e vedevo meglio ogni solco che le mie unghie gli avevano lasciato sul volto. Si avvicinò ancora di più e il suo fiato si fece ancora più carico d'alcool e sicuramente d'erba. Non dovevo perdere il mio slancio di ribellione e quindi gli sputai in occhio. Il suo sguardo divenne di fuoco. Vedevo,la ferocia, la voglia di vendetta. I suoi occhi mi stavano dicendo che avevo superato ogni limite e che era l'ultima volta. Le sue mani divennero cattive. Divennero frenetiche. Mi tolse gli slip, senza neanche accorgersi dei miei tentativi di impedirglielo. Si sbottonò i jeans, abbassò i boxer e come una furia mi penetrò. Mi penetrò velocemente. Mi penetrò in un colpo solo. Un urlo fu l'unica cosa che uscì dalla mia bocca. Era come se mi avessero tagliato a metà. Il dolore era indescrivibile. Se mi era sembrato di morire per i pugni che mi aveva regalato, questo era peggio. Come uno squalo che ti lacera la carne. Come una sega che ti apriva il torace mentre eri ancora cosciente. Come bruciare viva. Come essere legata a una roccia mentre i condor ti mangiano lentamente. Sembrava di avere un macigno dentro di me che si muoveva portandomi sempre a un più alto livello di sofferenza. Una spada infilata li dentro e ruotata di trecentosessanta gradi mi avrebbe procurato meno dolore. Una spada infilata nel mio cuore era meglio, avrebbe posto fine alla mia agonia.
"Godi troia, godi!" La sua bocca si avventò sul mio collo. Sul mio seno. Sulla mia pancia. Le sue mani seguivano la sua bocca. Mi sarei dovuta davvero dare fuoco per togliere i segni sulla mia pelle che questo tizio mi stava lasciando a ogni tocco. Urlavo, piangevo, ma non riuscivo a muovermi. Il mio corpo era invaso dal dolore. Ogni volta che si spingeva dentro di me sentivo qualcosa spezzarsi. Ero un albero a cui mano a mano tagliavano un ramo. Iniziai a pensare che ero io che andavo in pezzi. Cocci di me che si sparpagliavano per la stanza. Non sapevo se fossi stata in grado di recuperarli tutti. Le sue spinte si fecero veloci, insistenti, il suo corpo iniziò a tremare e dalla sua bocca uscirono una serie di versi raccapriccianti. Sapevo cosa stava succedendo. Un momento dopo venne. Aveva lasciato una macchia indelebile dentro di me. Era peggio delle sue mani su di me. Mi aveva rubato la cosa più preziosa che avessi mai potuto offrire a qualcuno. Mi aveva rubato la mia verginità. Ero svuotata, senza voglia di combattere ancora. A cosa serviva? Si era preso quello che voleva. Mi aveva lacerato per godersi un orgasmo. Lui ha goduto mentre io sono morta dentro. Le lacrime scesero di nuovo. Non doveva andare così la mia prima volta. Non dicevano che doveva succedere in questo modo i libri. Dovevo farlo con una persona che mi amava, e non contro la mia volontà. Doveva essere delicato e dolce e passionale. Invece era stato solo dolore, lacrime e disperazione. Pensavo gli bastasse, pensavo mi avrebbe lasciata nuda a piagnucolare come una bambina e invece era ancora qui. Evidentemente non ero stata abbastanza brava.
"Adesso proviamo un'altra cosa bella puttana!" Uscii da me e una sensazione di sollievo mi pervase. Ma poi mi ritrovai il suo cazzo a un centimetro dalla mia bocca. Serrai le labbra. Anche se oramai non mi importava più nulla non ero ancora pronta a farmi umiliare in questo modo. Ritrovai il coraggio che le sue spinte mi avevano gradualmente tolto e tenni la bocca saldamente chiusa. Quello che mi teneva ferma me l'aprii come se niente fosse e il suo amico vi ci infilò il suo membro. Mi venne un conato di vomito. Ero viscido, lurido come colui a cui apparteneva e la mia bocca lo rifiutava. Mi ricordavo ancora la volta in cui feci un pompino a Ryan. Mi sembrava una vita fa data la situazione in cui mi ritrovavo ora. Questo cazzo non ci doveva stare qui, non era fatto per essere qui. Dovevo levarlo da li. Feci l'unica cosa che potevo fare, morsi. Morsi come se fosse la mia unica ragione di vita, e in un certo senso lo era. Lui cacciò un urlo e si levò. La mia bocca lo ringraziò e inizia a passarmi la lingua sui denti. Avevo il suo sapore in bocca. Un misto tra cattiveria, malignità, prepotenza e schifo. Ora mi stava sulla pancia e si massaggiava l'uccello. Non mi sarei arresa. La mia mente poteva anche avere dei momenti di buio ma l'importante che ci fossero ancora dei momenti di lucidità.
"Che cazzo hai in testa?" Il suo pugno arrivò forte e chiaro sul mio occhio. Non riuscivo più ad aprirlo. Mi si gonfiò in un nano secondo. Sentivo la vista che si offuscava fino ad abbandonarmi. La mia crociata sarebbe giunta al termine in quel preciso istante. Infatti non si limitò a questo. Mi assestò altri due colpi al volto. Uno allo zigome sotto l'occhio nero che mi,aveva fatto prima e l'altro prese per metà il naso e per metà l'altro occhio. Credetti mi avesse spaccato il naso. Anche l'altro occhio piano piano si offuscò fino a spegnersi del tutto. Ero al buio. Non sapevo più dove fosse. Non sapevo più dove fossi. Ero perduta, questa volta era la fine.
In quel momento, mi arresi.
Non sentivo più nulla. Non volevo sentire più nulla. Il dolore invadeva la mia testa. Forse avevo una commozione celebrale, forse non sarei rimasta a vedere come sarebbe andata a finire. I miei occhi si rifiutavano di stare aperti. Non potevo rimanere con gli occhi chiusi, le tenebre mi avrebbero inghiottito senza darmi più la possibilità di salvarmi. Il mio corpo non rispondeva più alle mie richieste. Non era solo indolenzito, era come morto. Ogni mio muscolo era attraversato da fitte di dolore, mi sentivo lacerare la pelle, strappare la carne. C'era una fine più agonizzante di questa? Mi mancava il fiato. Ero morta? No. Sentii di nuovo il suo membro in mezzo alle gambe. A ogni centimetro che guadagnava dentro di me lo sentivo sfregarsi contro le pareti del mio corpo portandosi con se un insopportabile bruciore. Ora spingeva liberamente, sempre più forte, senza sosta. Non avevo più nulla per fermarlo, ero così debole che quello che mi teneva le mani allentò la presa, segno che ormai anche loro avevano capito chi aveva vinto questa guerra. Ero rotta, come una bambola di porcellana caduta a terra. Ero in mille pezzi, e non c'era nessuno che potesse raccoglierli.
Ti prego finisci in fretta.
Ti prego fai veloce.
Ti prego fai che io sia morta.
Non volevo più sentire i suoi gemiti. Non volevo più state male ad ogni spinta, ad ogni tocco. Non volevo più versare lacrime a cui nessuno prestava attenzione. Non volevo più sperare che qualcuno venisse in mio aiuto. Se il sesso era questo, non volevo più farlo. Sapeva di alcool, erba e sangue. Sapeva di pugni e graffi. Sapeva di rabbia e forza. Sapeva di facce deturpate. Sapeva di resa. Sapeva di morte. Le sue mani non erano fatte per il mio corpo. La sua bocca non era fatta per sfiorare la mia pelle. Il sesso sapeva di sbagliato. Sapeva di qualcuno che non era Ryan. Il sesso non sapeva di sesso. Sapeva di odio e di parole usate solo per mortificare. Parole taglienti fatte per entrarti dentro, fatte per farti cambiare prospettiva, fatte per farti capire che tutto questo era solo colpa tua. Ero una puttana. Ero stata io a chiedere di venire qui. Ero stata io a ballare con loro. Ora si stavano solo prendendo ciò che io avevo promesso. Ero in questa situazione per colpa mia. Meritavo di essere violentata. Meritavo di essere picchiata. Io li ho provocati con il mio abbigliamento e i miei modi affabili. Io ero la causa del mio male. Io ero la causa dei pugni che mi hanno dato. Io ero la causa del sesso violento. Di questo dolore. Dio, non sopportavo questo dolore.
Dammi un altro pugno. Solo uno, così potrò andarmene da qui. Il mio corpo era inerme ma con la mente ero ancora presente. E non volevo esserlo. Volevo andarmene. Scappare lontano. Non volevo sentire le loro risate. Non volevo sentire i suoi versi mentre si trascinava ancora e ancora verso il piacere. Non volevo che venisse il turno dell'altro. Non volevo sentirlo sempre più duro dentro di me. Non volevo sentire il suo fiato. Non volevo sentire che veniva marcandomi ancora una volta. Non volevo aprire gli occhi e rendermi conto che non era solo un sogno.
Non finiva più. Spinte e ancora spinte. A ogni spinta mi mancava il respiro e il mio cuore mancava un battito. Stavo morendo. Me ne stavo finalmente andando.
Bambi, vieni via con me. Bambi, prendi la mia mano. La voce di Ryan invase la mia testa. In fondo a questo tunnel c'erano due occhi azzurri che mi stavano aspettando. Lo sapevo che non mi avrebbe lasciato cadere. Seguii quegli occhi verso la salvezza, ma un rumore sordo spezzò l'incantesimo. Gli occhi di Ryan non c'erano più. Il peso che mi opprimeva il petto non c'era più. Le spinte finirono e il dolore in mezzo alle gambe cessò. Sentii il rumore di un pugno che fendeva l'aria. Il rumore delle ossa rotte. Stavo sognando? Cosa succedeva? Ne stavano arrivando altri?
I miei polsi furono liberati da quella morsa mortale e sentii altri pugni, altre ossa. La paura montò in me. Dovevo aprire gli occhi. Non sapevo cosa stesse succedendo intorno a me. Qualcuno parlò, ma le parole mi arrivarono come un soffio. Ero davvero morta e adesso ero in paradiso?
Qualcuno mi stava vestendo. Non l'avesse mai fatto. Ogni arto che mi veniva spostato era un osso che mi si frantumava. Due forti braccia mi cinsero la vita e la mia guancia dolorante si appoggiò a una superficie stranamente calda e massiccia. Era un angelo?
"Ehi Bambi, ci sono io adesso. Non ti toccheranno più." Ryan? La sua voce l'avrei riconosciuta anche dopo tre mesi di coma. Era calda, dolce, preoccupata e triste. Era triste per me? Sentivo la volontà di trattenere le lacrime in quella sua voce incrinata. Questa volta non era solo una fantasia. Sentivo le sue mani familiari. Sentivo il battito del suo cuore. Accelerato. Come ogni volta che stava con me. Non ero morta ma andava bene lo stesso. Ero approdata in un porto sicuro. Il mio cavaliere era venuto a salvarmi. Come quando mi salvò dalla pioggia, come quando mi salvò da una notte di dolore post sbronza. Era sempre qui per me.
"Ryan..Ryan.." Facevo così fatica a parlare ma dovevo dirgli che io c'ero ancora, non me n'ero andata. Anche se avrei tanto voluto, ora, qui, tra le sue braccia, sono grata di non essere morta.
"Oddio Bambi sono io, sono qui. Non ti lascio, promesso." Non tratteneva più le lacrime adesso. Il suo fiato caldo mi accarezzava i capelli. Volevo rassicurarlo e dirgli che non era colpa sua. Che era solo colpa mia. Sapevo che si sentiva in colpa per non avermi accompagnato alla festa, per le cose brutte che ci eravamo detti, ma non doveva. La puttana ero io.
"Lo sapevo che non mi avresti lasciato cadere.." Impiegai le poche forze che la sua vicinanza mi aveva regalato per aprire gli occhi, volevo vederlo. Il dolore fu lacerante, ma sapevo che ne valeva la pena. I suoi occhi erano neri come il mare durante un acquazzone. Erano lo specchio di quell'anima in cui amavo tuffarmi. Erano la mia casa. Erano così tristi. Perché? Non aveva sentito quello che gli avevo appena detto?
"Lo so. Lo so Bambi." Aveva capito allora? Non ne ero sicura così gli accarezzai la guancia portandomi con se le sue lacrime. Il mio dolore si mischiò al suo. Le mie paure si mischiarono alle sue. Mi aveva detto che non mi avrebbe salvato, e invece eccolo qui.
"Mi hai detto che non mi avresti aiutato, sei venuto però.." Queste parole sembrarono tranquillizzarlo. Richiusi gli occhi e mi lascia cullare dall'onde del mio mare. Ero finalmente al sicuro. Alla fine qualcuno era venuto a raccogliere i miei cocci.
Altre voci si aggiunsero a quelle di Ryan, ma non vi prestai importanza. Volevo solo lui. Tuttavia le mie volontà non vennero rispettate. Due mani estranee mi strapparono dalla mia ancora di salvezza. Non era finita allora. Mi stavano di nuovo riportando verso il buio.
No! No! Ribellati! Fai qualcosa! Elisa muoviti! La mia testa aveva più forza di volontà rispetto al corpo che invece era inerme e immobile. Dovevo cercare aiuto.
"Ryan mi portano via, Ryan perché non mi salvi?" Dovevo suonare patetica. Volevo allungare le braccia verso di lui. Perché non li ferma? Allora non è vero che lui è qui. Stavo ancora sognando? Le mani di Ryan tornarono sul mio viso. Il suo tocco così caldo non poteva essere irreale.
"Ehi questi signori ti devono fare degli esami. Io ti seguo con la mia macchina, ok?" Allora dovevano essere dei medici, mi stavano aiutando. Non avevo più la forza di rispondere quindi mi lasciai adagiare sulla barella. Mi mancò subito il suo caldo petto.
Mi sballottarono giù per le scale e poi in mezzo a quella massa di gente che sicuramente si stava godendo lo spettacolo di questa povera ingenua ragazza che si era fidata troppo degli estranei.
Lo sballottamento finì e capii di essere arrivata sull'ambulanza. Una piccola mano si posò sulla mia. Era fresca di manicure e tremava come una foglia.
"Cosa ti ho fatto? Liam non si fidava di lui! Oddio fa lezione con me tutti i mercoledì! Non pensavo..oh, Elisa! Mi dispiace tanto!" La voce di Vale era rotta dai singhiozzi. Perché tutti pensavano che fosse colpa loro? Era solo mia. Volevo rassicurarla, ma il mio unico pensiero era perché c'era lei e non Ryan qui.
"Vale, dov'è Ryan?"
"Non ti preoccupare ci raggiunge in ospedale. È con i poliziotti per raccontare cosa ti hanno fatto quei due maiali. Li ha conciati per le feste. Dovevi vederlo!" Conciati per le feste? Allora sentivo veramente il rumore dei pugni poco fa. Volevo sapere di più, se sarebbe finito nei guai, ma mi posarono quella che ipotizzai fosse la maschera dell'ossigeno e le mie parole morirono sulle mie labbra.
"Così respirerai meglio. Dormi piccola, sei stata forte abbastanza per oggi." Vale aveva ragione, avevo così sonno ma non volevo addormentarmi. Volevo aspettare Ryan. Feci no con la testa per avvisarla che non era una priorità. Lei mi accarezzò e capelli e inizio a cullarmi con la sua voce. Tutta la stanchezza mi invase come un fiume in piena. I muscoli tornarono a essere indolenziti e ogni forza abbandonò il mio corpo. Ma non volevo addormentarmi. Non potevo dormire prima che Ryan mi avesse raggiunto come promesso.
Bambi dormi, non devi più fare la dura. Dormi piccola. Ci sarò al tuo risveglio. Gli occhi di Ryan rifecero capolino nella mia mente. Mi feci cullare da quell'azzurro così familiare. Mi lasciai trascinare verso un sonno profondo. Mi abbandonai alla sua richiesta e il mio respiro si fece regolare. Sognai il mare, il cielo e un cavaliere dall'armatura scintillante in sella al suo cavallo bianco.

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