CAPITOLO 34: Elisa

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Dicembre arrivò indisturbato. Avrei voluto dire che era tutta opera del freddo che ormai da tempo faceva parte della nostra quotidianità, ma non era così. Mi era chiaro la notte, quando nuovi sogni affollavano la mia mente. Mi era chiaro ogni volta che aprivo gli occhi e la prima cosa che vedevo era il suo viso rischiarato dalle prime luci dell'alba. Mi era chiaro in ogni istante della giornata, quando un suo messaggio mi donava il sorriso o quando i suoi abbracci mi regalavano il calore.
La mia testa era affollata da lui. Dalle sue carezze. Dai suoi baci. Quella volta, in palestra, ci ero andata così vicina senza neanche accorgermene. Non mi ero fermata a pensare a cosa stessi facendo. Non mi era venuto in mente in quale posizione si trovassero i miei lividi. Non pensai che le sue mani fossero sbagliate o cattive. Pensavo solo alla scarica di adrenalina che attraversava il mio corpo, alla elettricità che si poneva tra i nostri due corpi. Ogni mio movimento pareva sicuro, come se avessi sempre saputo cosa fare, come se fossero anni che mi stessi preparando a quel momento. Erano giorni ormai che vivevo in un mondo mio. Ogni fibra di me sembrava quasi separata dalla realtà. Non facevo altro che pensare a lui, a me, a noi, intrecciati, sudati, fusi, ingarbugliati. Non facevo altro che pensare a io e lui mentre facevamo l'amore.
"Elisa? Terra chiama Elisa! Mi stai ascoltando?" La voce di Nina tuonò prepotente nella mia testa facendo dissolvere quei due corpi nudi ormai così vividi.
"Eh? Mi stavi dicendo qualcosa?" Ma da quanto tempo ero in quello stato di trance? Cavolo, che vergogna! Lì che immaginavo suo fratello nudo! Oddio, ma cosa avevo in testa?
"Si, Elisa, ma credo che tu abbia cose più interessanti a cui pensare, o sbaglio?" Sapevo di essere paonazza.
"Diciamo, ma adesso sono tornata alla realtà, cosa mi stavi chiedendo?"
"Oggi facciamo un nuovo compito!"
"Forse sarebbe stato meglio rimanere ancora un po' in mezzo ai miei pensieri!"
"Ah ah. Lo sai che tanto il tuo pensiero qui non conta. Ora, ecco, prendi questo." Mi passò uno specchio. Uno di quelli ottocenteschi impreziosito con inserti e ricami che lo facevano risplendere tutto. Mi sembrava un piccola copia dello specchio delle brame di Biancaneve.
"Ora, voglio che tu ti specchi e mi dica cosa vedi.." Oddio.
"Nina non credo che sia una buona idea. È da qualche giorno che cerco di evitare come la peste il mio sguardo allo specchio."
"Perché? Di cosa hai paura?"
"Di quello che posso vedere. Di quello che so di trovare. E non voglio vedere. Non voglio trovarlo. Fa troppo male, riporta alla luce troppi ricordi che sto cercando di tenere in un cassetto."
"Il cassetto ogni tanto va riaperto, per essere svuotato piano piano. Hai fatto tanti progressi. La strada è ancora lunga e ti dirò, sarà in salita, ma ce la puoi fare. Se vuoi tutto si può fare, ma ricorda, io non ti costringo a nulla, devi essere tu a volerlo." Girai lo specchio e per la prima volta da tanto tempo, fui faccia a faccia con il mio riflesso. Quel riflesso tanto temuto era lì davanti ai miei occhi e, come mi aspettavo, il terrore si impossessò di me.
"Vedo una ragazza stuprata. Ecco cosa trovo qui dentro. Vedo gli occhi della paura, del dolore, del senso di colpa. Gli occhi di qualcuno che sta cercando di scappare da se stessa. Gli occhi di qualcuno che ha visto il buio e sta ancora cercando la luce. Trovo i lividi di quella notte. Il labbro spaccato, l'occhio nero, la guancia gonfia. Risento l'odore di alcool e fumo, delle risate di scherno, delle parole con cui mi chiamavano. Vedo tutto quello che non avrei mai voluto e dovuto sopportare." Abbassai gli occhi. Una lacrima colpì lo specchio offuscando la mia immagine.
Nina poggiò un mano sulla mia, mi tolse lo specchio e mi asciugò le lacrime.
"Voglio che tu faccia la stessa domanda a tutti i tuoi amici. Voglio che ti faccia dire cosa vedono loro quando ti guardano. Capito?"
"Che compito stupido, si sa che mi diranno solo carinerie."
"Lo so, ed è per questo che devi chiederglielo. Ti servono quelle carinerie Elisa. Ti serve che qualcuno ti faccia ricordare cosa voglia dire essere apprezzate, perché credo che tu te lo sia dimenticato."
Rimuginai su quelle ultime parole per tutto il viaggio di ritorno. Forse non erano proprio parole campate per aria, forse mi sarebbe servito sentirmi dire che non ero un caso disperato come ormai mi ero convinta di essere. Ma si, avrei portato a termine questo compito. In fin dei conti, cosa avevo da perdere?
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