CAPITOLO 30: Elisa

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Mezz'ora più tardi ero in una palestra di Boston davanti a un sacco per il pugilato. Sorpresa era un eufemismo.
"Ho deciso che oggi inizia la tua terapia." Il suo sorriso non mi aiutava.
"Perché questa idea scusa?"
"Con lo psicologo non è andata, quindi ho pensato che il 'fai da me' fosse una idea migliore. Che ne pensi? Solo io e te e questo mio grande amico."
"Questo tuo amico, l'hai invitato..perché?" Indicai il sacco con sguardo titubante.
"Innanzitutto perché ho letto un articolo di psicologia che consigliava di estraniare la persona dal suo elemento per fare in modo che tornasse a tollerare certe..cose."
"Non ti sto seguendo."
"La musica. Nella tua testa c'é solo la musica classica, voglio dimostrarti che anche l'altra musica non fa paura, evitando così un altro telefono contro il muro!" Mi diede un pizzicotto sul naso.
"Ho capito, ho capito..e l'altro motivo?"
"Devo davvero dirtelo?" Non ci voleva un genio per capire a cosa si riferisse. Me. Lenzuola. Piume.
"Dici che Vale mi abbia già perdonato? O coverà segretamente un mucchio di rabbia per me per..molto tempo?"
"Liam ti ringrazia, quindi non disperarti più di tanto. Le sue lenzuola erano davvero orribili!" Storse la bocca in modo teatrale.
"E perché lui dovrebbe ringraziarmi? Ormai quel letto é diventato pure il suo letto!"
"Be Bambi, c'erano dei gattini su quelle coperte, un milione di occhietti che ti fissano mentre tu devi cercare di concentrarti non é il massimo, c'é vuoi avere un.." Si morse la lingua una volta capito dove stava andando a parare questa sua pantomima. Sinceramente non stavo per niente pensando al suo sentito discorso. Riuscivo a vedere soltanto la sua bocca. La sua lingua. La sua lingua tra i suoi denti. Ero gelosa di quei denti. Volevo essere io quella che gli mordeva la lingua. Volevo che fosse la mia lingua ad assaporarne il dolce sapore. Anche se era un po che non ricevevo un bacio da lui sapevo bene che sensazioni suscitava. Calore. Familiarità. Protezione. Eccitazione. Anche lui sapeva benissimo che ormai ero persa nel mio mondo. Lui. Ryan era il mio mondo. Una luce illuminò i suoi occhi e lentamente quella meravigliosa lingua disegnò un percorso su tutte le sue labbra. Questo l'aveva fatto apposta. Era palese. Voleva giocare, e Dio se lo faceva bene. Un sorrisino spocchioso solcò quella bocca da favola, e un colpò di tosse mi riscosse.
"Allora, dammi le mani che ti preparo." Tipo automa mi diressi verso di lui. Le nostre lingue intrecciate erano ancora l'unica immagine che invadeva la mia testa. Sarebbe stata una terapia molto, molto difficile.
Cinque minuti più tardi le mie mani erano avvolte in una fascia blu e infilate in un paio di guantoni. Moonlight Sonata di Beethoven riempiva il silenzio della stanza. Ryan si era posizionato dietro al sacco con le mani coperte da una nastro bianco. Davvero pensava di farmi tirare pugni a quel coso? Mi sarei spaccata tutta.
"Allora Beethoven ce l'abbiamo, anche se continuo a sostenere che siano meglio gli AC/DC, i guantoni pure, quindi adesso manca solo la posizione."
"Non mi toccare il mio Ludvig per favore. Da la carica giusta, vedrai!" Gli propinai una linguaccia.
"Vedremo. Ora pugni in alto, piede destro avanti, sposta un po il busto in avanti e siamo pronti." La posizioni che assunsi era ridicola. Sicuramente avevo sbagliato qualcosa visto che la sua risata risuonò in tutto l'ambiente.
"Ok ok, ti do una mano io. Questo qui, dietro il piede, più su questo, piegati un attimo, bacino fermo.." Le sue mani mi toccarono ovunque. Guantoni, gambe, piedi, fianchi. Fianchi. Evviva, la mia testa passò dalle lingue intrecciate ai fianchi che strusciavano uno contro l'altro. Tutto ciò senza mai muovere un muscolo o tentando di far diventare tutto questo realtà. Si poteva essere più sfigate di così?
"Perfetto, iniziamo?" Annuii come se da ciò dipendesse il mio ultimo briciolo di sanità mentale. Lui si sfilò la felpa e si mise di nuovo dietro al sacco, donandomi la piena visuale dei suoi fermi muscoli che reggevano quell'enorme macchina mortale. Qualsiasi fosse l'entità superiore che controllava il mondo, con me si stava sicuramente divertendo.
I primi pugni furono una tragedia, non ci mettevo la giusta intensità, anche perché ero troppo impegnata a vedere i suoi muscoli che si tendevano e si rilassavano a contatto con il sacco. Capite che questa era una visione cento volte migliore rispetto a dei mega guantoni che si muovevano a tentoni.
"Se non ci provi neanche ti carico in macchina e ti chiudo due ore nella stessa stanza con lo psicologo dell'ospedale. Il quale ti chiederà del tuo incidente, del buco nero in cui ti racchiudi la notte, della tua paura con il tocco delle altre persone.." Sapeva benissimo quali tasti andare a toccare. Una collera disumana iniziò a ribollire in me.
"Non oseresti."
"Mettimi alla prova. Bambi arrabbiati, come prima in camera. Questo è il momento adatto per spaccare tutto." Non me lo feci ripetere due volte. Nella ora e mezza successiva quel sacco si trasformò nella faccia di molta gente, mia madre al primo posto. Ero madida di sudore, con maglietta e pantaloni arrotolati alla bene meglio e una coda orribile. Enzo e Carla di 'Ma come ti vesti?' ci sarebbero andati a nozze con il mio abbigliamento. Ryan mi aveva ripreso una infinità di volte, mi aveva mostrato più di una volta come dovevo fare e vederlo tirare pugni all'aria con la fronte corrucciata era una spettacolo buffissimo. Iniziai a sbagliare apposta solo per vederlo così, o per avere il suo corpo il più possibile vicino al mio. Iniziavo ad abbattere le mie barriere e a volere più che mai il contatto con lui. Peccato che si sgretolavano troppo lentamente per i miei gusti.
Una doccia e un cambio d'abiti dopo ero di nuovo sul sedile del passeggero della sua auto. Di nuovo in viaggio verso l'ignoto.
"Non stiamo tornando al campus."
"No, adesso ti porto a mangiare nel mio bar preferito e poi ti porto da un'altra parte."
"Posso sapere l'altra parte?"
"Voglio farti conoscere una persona che mi ha aiutato molto nel mio periodo buio, diciamo che la storia della fenice è nata grazie a questa persona."
"Se è grazie a lei che sei diventato quello che sei, sarò felice di incontrarla." Gli rivolsi un sorriso sincero che fu ricambiato da occhi pieni di speranza e un paio di labbra che indugiarono un bel po sul mio palmo. Vederlo così, sereno, senza pensieri, che ondeggiava la testa a ritmo della musica scompigliando i capelli, che cercava di inventare le parole per le sinfonie di Mozart, che increspava le labbra ogni volta che voleva trattenere un sorriso, che si aggrappava alla mia mano come se fosse la sua ancora di salvezza, mi fece capire in modo definitivo che senza tutto questo non potevo restare. Erano questi i nostri momenti che preferivo. Genuini. Pieni di luce. Lontani dai problemi. Qui, ora, mentre prati e casette marroni scorrevano intorno a noi, mi sentii finalmente parte di qualcosa, parte di noi. In quel piccolo abitacolo mi stavo innamorando, ancora una volta, di lui.
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Non Ti Lascio CadereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora