Capitolo 8

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«Aprite questa porta!»
Delle urla mi svegliano, non ricordo neanche di essermi addormentata. Prendo il telefono nella tasca dei pantaloncini e noto che la metà delle notifiche appartengono a Laila, sono messaggi e chiamate perse. Mi stupisco che Trevor non si sia ancora svegliato con tutto questo baccano.
Controllo l'ora sul display, sono le due di notte ed ancora sento la musica suonare al piano di sotto.
«Se non aprite immediatamente questa porta chiamerò la polizia!»
Esco dalla vasca con ancora addosso la maglietta di Trevor e, tentando di non infastidirlo, vado ad aprire la porta del bagno.
«Shht», tento di sistemare il trucco sbavato sotto gli occhi.
«Ma che state facendo?», una voce stridula mi giunge ai timpani, è così fastidiosa. Poi metto a fuoco il suo viso e la riconosco: è la ragazza dai capelli rossi con cui si è baciato Jason qualche ora fa.
«Si dorme, o almeno si tenta», la guardo e le rispondo in tono sarcastico.
«Devo pisciare» continua lei e mi oltrepassa per entrare in bagno. Si avvicina a Trevor e lo sveglia bruscamente. Ancora credo che non abbia notato che lui è a torso nudo mentre io indosso la sua maglietta, meglio così.
Prendo la sua giacca, ormai asciutta, sul lavandino e la mia camicetta ancora macchiata, uscendo dal bagno seguita da Trevor che continua a lamentarsi e ad insultare la ragazza dietro di noi.
«Tutto okay?», mi chiede lui quando raggiungiamo il corridoio, posando una mano sulla mia guancia. Io, sorpresa, indietreggio con il viso, e lui ritira subito la mano.
«Sì, grazie», accenno un sorriso imbarazzato e abbasso lo sguardo.
«Vieni», mi fa cenno di seguirlo in una delle tante camere del piano superiore.
Io lo seguo titubante, entrando in una stanza con le tende aperte e la tapparella alzata. Si vede la luna piena, che illumina la stanza finché Trevor non accende la luce. La camera è arredata con un letto in legno bianco ed un armadio accanto alla finestra, mentre davanti al letto è sistemata una scrivania ed una sedia, anche questi in legno bianco.
Mi avvicino alla scrivania e mi ci appoggio con il fondoschiena, dopo averci posato su la giacca e la camicetta. Trevor, invece, si lancia sul materasso a peso morto con la pancia in giù, passa un braccio sotto il cuscino e chiude gli occhi.
«Ma che fai?» gli chiedo, ancora con la voce impastata dal sonno. «Torno a dormire», alza le spalle, indifferente.
«Puoi metterti qui», patta il materasso, il lato accanto al suo, ed io vado a sedermi proprio nel punto da lui indicato.
Resto seduta sul bordo del letto mentre gli do le spalle, guardandolo però con la coda dell'occhio.
«Tranquilla, non mordo», accenna un risolino.
Mi metto seduta con la schiena contro la spalliera del letto e riprendo il telefono dalla tasca dei pantaloncini per mandare un messaggio a Laila.
'Tranquilla, mi ero solo addormentata, sto bene, ci vediamo domattina'
Spengo il telefono per evitare di disturbare durante la notte e lo appoggio sul comodino accanto al letto. Resto per qualche minuto ad osservare l'immagine della luna riflessa sul vetro della finestra, e per ammirare meglio il panorama, spengo la luce della camera dall'interruttore accanto al letto.
Poi sento Trevor mugolare nel sonno, allora sposto l'attenzione su di lui. Ha un'espressione così serena con la guancia poggiata sul cuscino, e la luce che penetra dalla finestra mette in risalto i lineamenti ben definiti del suo volto.
«So che stai sorridendo» mormora, prendendomi alla sprovvista. Ancora una volta non mi accorgo di trattenere il respiro. Deglutisco e riprendo a respirare, sospirando prima di bisbigliare: «Non dovrei essere qui...», non credo che mi abbia sentito. Mi stendo sul materasso, accanto a lui ma non troppo vicina al suo corpo. Resto sul bordo del letto girata su un fianco, dandogli le spalle, aspettando di addormentarmi.

***

La luce del sole penetra violentemente attraverso la finestra e riscalda la stanza, sembra mi voglia svegliare per dispetto. Giro il viso dal lato opposto, ma la luce riflette sul pavimento, infastidendomi maggiormente. Decido di aprire gli occhi e di mettermi a sedere sul materasso, e solo ora mi accorgo di essere da sola sul letto.
Ma dov'è Trevor?
Mi guardo intorno e vedo che sul comodino c'è un vassoio con un bicchiere pieno di succo di frutta ed una tazzina con dentro del caffè. Alzo il bicchiere con il succo di frutta e trovo un bigliettino:
'Ci si vede al campus'.
Sposto lo sguardo sulla scrivania e noto che la sua giacca non c'è più. Al suo posto, però, c'è la mia camicetta ripiegata. Scendo dal letto scostando le lenzuola con i piedi, mi avvicino alla scrivania e prendo fra le mani la camicetta: la macchia di whisky è sparita. Sorrido senza rendermene conto e sfilo la maglietta bianca di Trevor per indossare la mia camicia, infilandola sotto i pantaloncini alti fino in vita. Mi siedo nuovamente sul letto per infilare le scarpe e riaccendo il cellulare. Caspita, è già mezzogiorno. Sul display compare il nome di Laila per almeno dieci volte di seguito, la devo richiamare. Tengo il cellulare fermo fra la guancia e la spalla mentre tento di farmi una coda, aspettando che Laila risponda.
«Cleo? Cleo stai bene? Ma dove sei? È tutta la mattina che aspetto tue notizie, mi stavo preoccupando». Se prima non ero abbastanza sveglia, ora, dopo gli urli di Laila, lo sono sicuramente.
«Tranquilla, sto bene Laila. Mi sono svegliata poco fa, sto arrivando al campus, poi ti spiego», chiudo la chiamata e finisco il succo di frutta, infilo il cellulare nella tasca dei jeans e decido di portarmi la maglietta di Trevor, vorrei restituirgliela pulita e di persona.
Esco dalla camera e mi dirigo verso le scale, sperando di non incontrare nessuno, così riesco a raggiungere la porta d'ingresso, quando una voce mi blocca.
«Buongiorno», riesco a percepire il suo sorriso. Mi giro verso la voce che mi è appena giunta all'orecchio e come immaginavo, è Ken.
Cerco di sorridere per educazione, e tento di giustificarmi. «Sto uscendo, scusa il disturbo», ed apro la porta.
«Ferma, ferma», mi indica. «Quella è la maglietta che aveva ieri sera Trevor?», mi chiede, ed io annuisco.
«Oh, capisco tutto», annuisce con un ghigno.
Non so cosa stia pensando, e non voglio saperlo. Questo tipo non mi ispira molta simpatia. Saluto velocemente Ken ed esco dalla casa con la scusa di essere in ritardo per un incontro, se almeno avessi il numero di Trevor...

Il viaggio in pullman è stato veloce. Sto per svoltare l'angolo per raggiungere il mio dormitorio, quando d'improvviso mi blocco.
L'immagine che ora i miei occhi hanno davanti, mi spiazza; trattengo il respiro, rimango immobile, non mi sento più le gambe, e la maglietta di Trevor che tenevo fra le mani, mi scivola dalle dita, finendo sul prato.

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{ Capitolo revisionato. }

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