Capitolo 11

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Trattengo il fiato quando lui si avvicina pericolosamente a me. I suoi occhi marroni mi guardano e lui mi sta sorridendo. Indossa una camicia bianca infilata nei jeans attillati neri, strappati sulle ginocchia, ed una cintura del medesimo colore dei pantaloni. Ai piedi porta delle Vans bianche, e ha i capelli mossi, forse più scompigliati. Mentre sorride gli si forma una fossetta adorabile sul mento. Non so perché sia qui, né tantomeno perché sia così elegante, ma sicuramente non è lui che mi aspettavo di trovare.
Mi giro verso Laila per chiederle con lo sguardo se Trevor sia qui per lei, ma scuote il capo e si stringe nelle spalle, così torno a posare la mia attenzione sul ragazzo alla porta, davanti a me.
«Okay Trevor, che ci fai qui?»
Lui si appoggia allo stipite della porta con una spalla.
«Sei...», esita mentre mi squadra da capo a piedi, «adorabile», fa un ghigno, e credetemi, sto facendo appello a tutto il mio autocontrollo per non prenderlo a schiaffi.
«Che cosa vuoi?» gli ripeto, mentre tiro un sospiro nel tentativo di calmarmi.
«Dice Jason che ha avuto un impegno improvviso, non potrà venire stasera. Non ha il tuo numero e non poteva avvisarti, così mi ha chiesto di riferirtelo».
Annuisco, abbassando il capo verso il basso. «Okay, grazie, buona serata», faccio per chiudere la porta della camera, quando Trevor ci mette un piede davanti per bloccarla. «Non ho finito», continua.
«Okay, cos'altro vuoi?», sbotto. Lui scoppia in una fragorosa risata che risuona nell'intero corridoio, fortunatamente vuoto.
«Calma, calma», tenta di farmi una carezza sulla guancia, ma io mi ritiro dal suo tocco. «Puoi sempre fare un giro con me»
Rimango sbigottita. Spalanco lo sguardo che è ancora fisso sui suoi occhi marroni e sulla curva delle sue labbra, che ogni tanto inumidisce con la punta della lingua.
«Dico davvero, non ti toccherò con un dito, giuro», alza le mani in segno di innocenza. Mi giro verso Laila, e non so se sia per chiederle il permesso, o aiuto, ma lei annuisce. Si avvicina a me e raccoglie la borsetta ai miei piedi che mi era scivolata dalle dita quando ho aperto la porta, me la porge e posa una mano sulla mia schiena per spingermi verso Trevor. «Divertitevi!»
Ci sorride e chiude la porta prima che io ci ripensi e torni in camera.
Mi sento lo sguardo di Trevor addosso mentre usciamo dal dormitorio; io sono due passi più avanti di lui.
«Dove andiamo?» chiedo per rompere il silenzio e per sapere dove ha intenzione di portarmi, ovviamente. Devo ancora parlargli di quel bacio quasi rubato nonostante lui stia con quella ragazza, ma c'è tempo, credo.
«Cazzo, rilassati per una volta Cleo!» esclama, ed io sobbalzo appena, socchiudendo gli occhi. Lui se ne accorge e ridacchia di me, finché raggiungiamo la sua auto. Lui mi apre gentilmente la portiera per farmi salire, ed io rimango piacevolmente sorpresa da quel gesto, ma preferisco non rovinarlo e tacere; lo ringrazio prima di prendere posto sul sedile del passeggero ed allacciare la cintura.
Durante il viaggio nessuno apre bocca, il silenzio è rotto dalla musica a basso volume che suona alla radio, ed io mi sono appoggiata al finestrino, guardando le strade della California che non conosco.
Ogni tanto sento lo sguardo di Trevor su di me, ma cerco di non badarci troppo, altrimenti l'imbarazzo prenderebbe il sopravvento.

Dopo circa venti minuti, la macchina si ferma, ed i miei pensieri vengono interrotti. Abbasso il finestrino per guardare meglio all'esterno, ma capisco che non siamo in nessun parcheggio, anzi, siamo ancora in strada.
«Cazzo, il motore» si lamenta sbattendo una mano sul volante, alzando lo sguardo verso l'alto. Scende dall'auto, ed io faccio lo stesso nel tentativo di rendermi utile.
«Chiama un carro-attrezzi, io vedo cosa posso fare per portarla fuori strada» mi dice. Annuisco e torno in macchina per prendere il cellulare dalla borsetta, ma non c'è campo.
«Il telefono non prende». Scendo nuovamente dall'auto e gli mostro lo schermo del cellulare. Lui tira un calcio ad un sassolino sull'asfalto e si prende qualche istante per pensare, poi si slaccia la cintura e la sfila.
«Ma che fai? Hai capito che il telefono non prende?», mi agito, gesticolando con le mani.
«Cazzo, ho capito!» sbotta. Butta la cintura sul sedile anteriore ed inizia a slacciare i bottoni della camicia. Lo guardo, ma questa volta non commento.
«Sali» mi ordina, ma io metto le braccia conserte. «Ho detto di salire» mi prende delicatamente per il braccio e mi tira, sempre delicatamente, verso il lato di guida. Per un momento capisco quale idea gli stia balenando in testa, perché è la stessa che sto avendo io. Mi slaccio le scarpe e le poso sul sedile del passeggero con la camicia che mi ha lasciato Trevor. Io provo a riaccendere il motore mentre premo sull'acceleratore, e lui spinge l'auto dal dietro. Vedo la sua espressione concentrata attraverso lo specchietto retrovisore. I muscoli contratti sotto lo sforzo che sta facendo, i tatuaggi che si estendono sul suo torace e poi tornano alla loro forma quando respira profondamente; per fortuna la strada è deserta.
Riusciamo a spingere l'auto fino al parcheggio di un autogrill, anche questo deserto, illuminato dalle luci notturne. Quando ci fermiamo, Trevor si appoggia con le spalle all'auto, scivolando fino a sedersi a terra. Io scendo dalla vettura, non badando al fatto che io sia scalza, per andarmi a sedere accanto a lui. Ansima, ed il sudore gli scivola giù dal corpo così come le poche energie che gli sono rimaste per respirare.
«Ti vado a prendere qualcosa da bere», annuisco dopo essere rimasta per qualche minuto al suo fianco, alzandomi. Lui scuote il capo e mi blocca per un polso, impedendomi di spostarmi.
«Vado io», si alza e mi fa tornare in macchina. «Metti la camicia, fa freddo», indica il sedile su cui si trova la sua camicia e le mie scarpe, prima di allontanarsi per entrare nel negozietto davanti all'auto. Obbedisco, perché l'aria mi accarezza le spalle, e mi è venuta la pelle d'oca. Rimetto anche le scarpe prima di spostarmi sul sedile del passeggero, aspettando che Trevor torni.

Ci mette più del dovuto, ma mi impongo di aspettarlo in auto come mi aveva detto prima di sparire. È stato così carino da andare lui al posto mio a prendere qualcosa da bere, nonostante fosse stravolto. Magari non l'ha fatto per me, ma soltanto perché ne aveva voglia, ma mi piace credere che il motivo sia io.
Sorrido quando finalmente lo vedo uscire dal negozio con due bottiglie di birra fra le mani. Ha i pantaloni che gli scivolano sui fianchi, mostrando l'elastico grigio dei boxer. Il petto invece è nudo, vestito da perle di sudore che luccicano sotto la luce. I capelli sono più scompigliati di prima e le labbra sono umide. Sale in macchina e chiude la portiera, facendo baccano, ma non ci bado più di tanto.
«Finalmente!», lo rimprovero.
«Che c'è? Già ti mancavo?», si avvicina al mio viso e finge di mordermi, facendomi scattare d'istinto con la schiena dritta contro lo schienale. Lui ridacchia alla mia reazione, scuotendo il capo. «Mi sono dato una rinfrescata» conclude mentre mi porge una birra già aperta. Ne beve un sorso dalla sua bottiglia, ed io faccio lo stesso prima di abbassare lo schienale del sedile per stendere il corpo.
«Ed ora che si fa?», chiedo mentre chiudo gli occhi, tirando un sospiro.
Ma non faccio in tempo a riaprirli che le sue labbra sono sulle mie. Ha gli occhi chiusi, le labbra più umide e carnose di quanto potessi immaginare solo guardandolo, e sanno di vaniglia mista alla birra. La sua lingua si fa strada nella mia bocca, che si adatta alle sue labbra, e non riesco a respingerlo. Ha la mano liscia e calda che scivola lungo il mio fianco, fino a raggiungere la pancia, appena scoperta dal top troppo corto. E non chiedetemi come mi ritrovo a cavalcioni su di lui, con la schiena contro il volante, stringendo i suoi capelli morbidi fra le dita, perché non lo so.
«non sei il mio tipo», mi aveva detto.
«non ti toccherò con un dito», mi aveva assicurato.

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{ Capitolo revisionato. }

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