Capitolo 22

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Mi sposto quando sento il rumore della porta chiudersi. Quasi sobbalzo e cado all'indietro, ma per fortuna non perdo l'equilibrio.
Mi sistemo l'abito che indossavo alla festa questa sera, è così scomodo.

«Sono già arrivati i tuoi?», chiedo.
«Trevor non vorrei disturbare, è meglio se torno a scuola.»

«Non se ne parla», risponde, «non sei per niente un disturbo, Cleo», scuote il capo, poi accenna un sorriso. «E ora fila a fare la doccia!», mi fa girare di spalle, poi, con una mano sulla mia schiena, mi spinge verso l'uscita della camera.

Raggiungiamo il bagno, ed una voce dolce, femminile, mi giunge all'orecchio:
«Trevor, sei tu? Sei tornato a casa?»

In bagno entra una signora con i capelli castani e legati in una coda. Un paio di occhi verdi, vestita in modo elegante, che appena mi vede, mi rivolge un sorriso contagioso. È la madre, sono identici. Sembra quasi che lui le abbia staccato la faccia; due gocce d'acqua.

«Oh, e tu chi sei?», mi chiede.
«Mamma, lasciala stare, lei non...», inizia Trevor, ma io lo fermo.
«Sono Cleo, buonasera. Scusi il disturbo, me ne stavo andando.»

«No, tu non vai da nessuna parte», mi zittisce Trevor.
«Mamma, per questa sera Cleo resta qui», continua lui, «le ho detto che può fare una doccia».

«Non preoccuparti Cleo, è un piacere averti qui. Sai, Trevor non porta mai nessuna ragazza a casa, e tu sembri molto carina», oddio, ha frainteso tutto.
«Fai pure con comodo», mi sorride prima di uscire dal bagno, chiudendo la porta dietro le sue spalle.

La madre di Trevor è molto gentile, tutto l'opposto di lui, insomma. Anche se da quando lo conosco, non ha perso l'occasione di dimostrarmi che, se vuole, anche lui sa essere gentile.

«Questo è lo shampoo, qui invece c'è il bagnoschiuma», mi indica i due tubetti, «io nel frattempo vado a preparare la tua camera, e cercherò un pigiama da farti indossare per questa notte, non credo sia una buona idea lasciarti solo una camicia con i miei per casa...», mi guarda attraverso lo specchio, ed io non faccio altro che annuire ad ogni sua parola.

Si gira verso di me, poi mi si avvicina.
«Cleo, lo so che è difficile, che stai male», mi accarezza una guancia con il polpastrello del pollice, «ma io ci sono, se hai bisogno».

Abbasso lo sguardo, e sento le lacrime che stanno per risalirmi; trattengo il fiato e tento di cacciarle indietro, ma fallisco miseramente. In fretta, le guance mi si inumidiscono, ma è un pianto silenzioso, il mio.

Trevor sposta la mano e si avvicina ulteriormente, stringendomi ora fra le braccia. Mi stringe forte, un braccio intorno alle spalle, l'altro intorno alla vita. Posa la guancia sul mio capo, respira fra i miei capelli, mentre io resto immobile.

«Ti sentirai meglio dopo aver fatto la doccia, credimi», si sposta dopo un po', e si allontana piano fino ad uscire dal bagno.

Ora resto sola, chiusa fra queste quattro pareti, davanti uno specchio che riflette la mia immagine.
Scuoto il capo per agitare i capelli, e lentamente, abbasso il vestito, facendolo scivolare lungo tutto il corpo, fino al pavimento. Poi mi metto completamente a nudo, e ancora osservo la mia immagine. Il corpo esile, la pelle pallida. In viso, gli occhi sono cupi, rossi, gonfi e lucidi, il trucco è colato e le guance sono leggermente rosate.

Raccolgo i capelli con un elastico in uno chignon, poi mi chiudo nel box doccia e apro il getto d'acqua, lasciando cadere l'acqua calda sulla mia pelle. L'acqua scivola giù, scivola via, scivola e si trascina con sé tutto il mio stress, la mia stanchezza, il mio dolore, le mie forze.

Prendo il tubicino del bagnoschiuma ed inizio ad insaponarmi, ma quest'ultimo mi scivola dalle mani, finendo a terra e facendo rumore.
Sobbalzo, quasi mi spavento, e allora mi abbasso a raccoglierlo.
Ma non dovrebbe essere questo a spaventarmi.

Sento la porta del bagno aprirsi e poi richiudersi, chiudo allora il getto dell'acqua. Poi il silenzio è spezzato dal rumore dei passi che si avvicinano, e una voce mi arriva all'orecchio; è solo Trevor, per fortuna.

«Cleo, è tutto okay? Cosa è stato quel rumore?», mi domanda.
«Nulla», rispondo, quasi a bassa voce.
«Ti ho portato un asciugamano», dice lui.
«Okay», mi limito a dire io.
«Okay, allora vado», risponde.

Tengo il getto dell'acqua chiuso per assicurarmi che Trevor esca dal bagno, e quando ne sono sicura, apro il box doccia e mi avvolgo nell'asciugamano.
Mi avvicino alla porta, la apro per uscire, ma per poco non mi prende un colpo.

Sto per urlare dallo spavento, ma la mano di Trevor mi copre la bocca. Lo guardo, lo fisso male, poi sposto la sua mano e mormoro:
«Ma sei idiota?!», lui ridacchia.
E solo ora mi rendo conto della poca distanza che ci separa, per poco non mi si mozza il fiato.

Evidentemente, se n'è accorto anche lui, perché resta a guardarmi per qualche istante. Tiene le labbra schiuse, poi tira un sospiro e si sposta.
«Vieni, ti accompagno in camera».

Lo seguo in una stanza con le pareti bianche e un letto con le lenzuola rosa. Accanto il letto, si trova un comodino, poi c'è la finestra. Quest'ultima è aperta, e non fa altro che farmi sentire più freddo. Quasi tremo, e Trevor, che se ne accorge, si avvicina per chiuderla.

È stato tanto gentile, da posare l'abito che indossavo sulla sedia accanto alla finestra, mentre sul letto ha sistemato un pantaloncino da ginnastica, da uomo, credo sia suo, e la camicia di poco fa.

«Allora io ti lascio tranquilla», mi sorride. «Riposa bene Cleo».
«Grazie Trevor, riposa bene anche tu», gli rispondo, sforzandomi di sorridere almeno un po'.
Lui esce dalla camera, chiudendo la porta e lasciandomi sola nella stanza.

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