La porta si chiude e porta dietro di sé un leggero cigolio. Mi siedo sul letto dopo essermi cambiata e prendo il cellulare che si trova sul comodino; devo assolutamente richiamare la zia per evitare di farla preoccupare e per, a malincuore, chiederle a grandi linee come sono andate le cose.
Quattordici chiamate perse nel giro di un'ora e mezza e tre messaggi non letti.
'Cleo, stai bene?'
'Cleo ti prego, rispondi.'
'Avvisami appena puoi, ti prego.'Cerco il numero in rubrica e la chiamo, appoggiandomi con la schiena contro la testata del letto.
Guardo fuori dalla finestra in attesa che la zia risponda, e la sento tirare un gran sospiro quando alza la cornetta.«Tesoro, finalmente! Stai bene? Cosa è successo? Perché hai messo giù e perché non ti sei più fatta sentire? Sono stata così in pensiero nel corso di quest'ora e mezza...»
«Zia... scusami, non riuscivo più a risponderti, ho pianto, tanto, mi sono sfogata, ti ho chiamato appena mi sono ripresa un attimo dalla notizia, o almeno, ripresa si dice tanto per», tiro un sospiro misto ad un singhiozzo; ho ancora gli occhi lucidi.
«Tesoro, lo so, immagino. Mi dispiace terribilmente. È difficile da accettare, ma se posso aiutarti in qualche modo, dimmi pure.» La sua voce è consolante, almeno in parte. Mi sento un attimo meglio quando la zia, sorella di papà, non mi fa sentire sola anche a distanza.
«Settimana prossima ci sarà il funerale, pensavo che saresti potuta tornare durante questo fine settimana e che ti saresti potuta fermare a casa mia per le vacanze di Natale, per non restare da sola a scuola. Ti va? Io e lo zio saremo molto impegnati con il lavoro, ma a casa resterà tua cugina Marta, sarà molto contenta di passare del tempo con te», mi dice lei.
Io la ascolto un po' sì e un po' no. Ogni tanto la mia mente perde la concentrazione e non mi fa sentire più su questo mondo, come se mi trovassi da sola in una terza dimensione.
«Scusami zia, ora non ho la testa per pensarci, qui in California è già tardi, sono stanca... possiamo parlarne domani?», la sto implorando con la voce, e come al solito, lei mi risponde gentilmente, con una voce dolce e rassicurante.
«Certo tesoro, riposa ora, ne parleremo domani.»Chiudo la chiamata e poso il cellulare nuovamente sul comodino. Decido di mettermi a letto quando, prima di mettere il blocco al cellulare, leggo l'ora: 11.47 p.m.; spengo quindi la luce della lampada sul comodino, accanto a me, e scivolo sotto le coperte. Mi sistemo su un fianco, guardando fuori dalla finestra la luna che a stento si mostra, ma che, piuttosto, si nasconde fra le nuvole mischiate al blu notte.
Le stelle sono poche, questo rende il cielo ancora più spento e cupo di quanto già non sia, e nella stanza regna il silenzio, così come nel resto della casa, così come nei dintorni, in tutto il giardino, lungo le stradine che girano qui vicino.Chiudo gli occhi e deglutisco, stringo forte la coperta fra le dita e mi mordo il labbro inferiore, quando, l'ennesima lacrima, mi bagna le ciglia. Ma è un piano silenzioso, il mio. Un pianto che mi accompagna verso un sonno profondo, abbandonandomi fra la stanchezza e le poche forze che mi restano in corpo, e in cuore.
2.37 a.m., mi sveglio in piena notte accaldata, le goccioline di sudore mi scorrono sulla fronte e luccicano come diamanti illuminati dalla luce della luna che penetra debolmente dalla finestra.
Mi scopro, devo scendere a bere un bicchiere d'acqua, devo rinfrescarmi, riprendermi.Alla fine, non faccio nulla di tutto ciò che dovrei fare. Anzi, mi ritrovo davanti alla porta della camera di Trevor, e forse per istinto, forse per un bisogno mio personale, forse per pazzia o perché sono ancora stordita dal sonno, entro nella stanza e mi chiudo la porta alle spalle.
Mi avvicino al suo letto e appoggio un ginocchio sul materasso, scuotendo piano la sua spalla per svegliarlo. Poi, avvicino le labbra al suo orecchio.
«Trevor...», mormoro, ma lui non muove un ciglio, né un dito. «Trevor, ti prego, posso dormire qui con te?», alzo il tono di voce, e pare che questa volta abbia sentito.
Si sposta, mi fa spazio, e alza le coperte. Io non perdo l'occasione per stendermi accanto a lui, giusto o sbagliato che sia, ora il mio posto è qui. Giusto o sbagliato che sia, Trevor è la medicina che al momento sto prendendo, consapevole degli effetti collaterali che mi provoca, o provocherà, in futuro.
Mi stringe forte fra le braccia, ed io poso la guancia sulla sua spalla, così da nascondermi fra le sue braccia protettive.
Torno a chiudere gli occhi, a respirare profondamente l'odore buono, di menta mista alla vaniglia, che emana la pelle del collo di Trevor. Ogni tanto deglutisco, poi sospiro, ma non mi sposto da lui, anzi, riesco solo a riprendere sonno, ora più tranquilla.
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Stay
Romance~ • ~ • ~ • ~ • ~ IN REVISIONE ~ • ~ • ~ • ~ • ~ «Ci vuole coraggio ad aspettare chi non torna, ad amare comunque, una persona che riteniamo cambiata, che se è vero che la riteniamo cambiata, allora chi stiamo amando? Ho imparato che le persone ama...