Capitolo 29

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«Cleo, ma che vi è successo? Oh Madonna Santa!» La zia guarda verso l'alto, quasi stesse parlando con Dio, non appena vede me e Trevor davanti la porta, entrambi bagnati da capo a piedi.
«Piove forte», rispondo con tono innocente, come quando ero piccola ed io e Marta giocavamo in giardino, ma ci sporcavamo con  fango e la zia ci riproverava.
«Ma tesoro, vi prenderete la febbre così», dice, ed io me la ricordavo più severa. «Entrate, farà freddo qui fuori», ci invita ad oltrepassare la soglia e a raggiungere le nostre camere al piano superiore; ovviamente ha preferito non farci dormire nella stessa stanza, nello stesso letto.
La casa della zia è rimasta quella di sempre; grande, anche troppo per sole tre persone, ma sempre ordinata e prefumata. Persino l'odore è rimasto lo stesso.

«Marta è uscita a fare una commissione per me, tuo zio Carl è ancora a lavoro, tornerà per l'ora di cena», ci informa, «se nel frattempo volete fare una doccia», indica il bagno con un cenno del capo, stringendo fra le mani una tazza fumante... credo sia camomilla.
«Vai prima tu», mi dice Trevor dopo avermi posato un bacio sulla fronte. Allora porto il mio bagaglio nella camera in cui alloggerò per i prossimi dieci giorni, prendo il mio asciugamano da bagno e vado in doccia.

Dopo quel bacio, io e Trevor siamo riusciti a trovare un riparo sotto una casetta di legno in attesa che il temporale finisse. Ma faceva freddo ed i tuoni mi spaventavano ogni volta che tuonavano. Trevor mi stringeva fra le braccia e tentava di scaldarmi, fallendo miseramente poiché lui era più bagnato di me.
Appena si è calmato l'acquazzone, siamo corsi verso casa, dato che fradici come eravamo nessun tassista ci avrebbe fatto salire sulla sua auto.

Mi perdo fra i miei pensieri mentre mi insapono i capelli lunghi con lo shampoo che ho portato dalla California. Me lo aveva prestato Laila, ma mi sono scordata di restituirglielo.
Stare in questa casa dopo tanto tempo, è come tuffarsi nel passato tutto d'un colpo.
I quadri sono sempre allo stesso posto di quando ero piccola e la domenica venivo a pranzo dalla zia con la mamma e papà.
I mobili sono gli stessi, sempre di legno lucido, e neanche il divano è cambiato, resta quello, stessa posizione, stesso tessuto, stesso copri divano... eppure, mi sento un po' un pesce fuor d'acqua in questo ambiente.

Quando finalmente ho finito di asciugarmi i capelli, scendo al piano di sotto e raggiungo la zia che sta preparando la cena, credo. O comunque immagino, dato che dalla soglia della porta della cucina la vedo tagliare qualcosa.
«Ti serve aiuto zia?», le chiedo mentre mi avvicino al tavolo, sedendomi su una sedia lì accanto.
«No, non preoccuparti», mi risponde con tono strano.
Mi alzo e mi avvicino a lei, guardandola in viso.
«È tutto okay?», le chiedo abbassando la voce. Lei non apre bocca, ma la vedo annuire. Ma non è tutto okay. «Zia ma stai piangendo?» Lei scuote il capo.
«È la cipolla», mi dice, ma non sono stupida. E poi non sta tagliando la cipolla!
Le tolgo il coltello di mano e la abbraccio forte, mentre lei mi stringe e si scusa al contempo per piangere in mia presenza.
«Mi manca tua nonna, era come una madre per me, lo sai anche tu», parla fra i singhiozzi. «E non posso più vedere tuo zio stare tanto male». Si sposta ed inizia ad asciugarsi le lacrime con i dorsi delle mani. «Non mangia, parla poco, non dorme, piange di nascosto». E fra una parola e l'altra, la zia viene interrotta da Marta che entra in cucina con dei sacchetti fra le mani.

È cambiata parecchio da quando l'ho vista l'ultima volta. È cresciuta molto, ed è diventata una bellissima ragazza. Ora porta i capelli lunghi e biondo chiaro. Si è alzata, mentre prima era più bassa di me. Ma una cosa in particolare attira la mia attenzione: il ventre.
È molto rotondo, troppo per essere sul resto del corpo minuto di mia cugina.

«Cleo!», esclama appena entra in cucina. Appoggia i sacchetti sul tavolo e mi si avvicina, cingendomi il collo con le braccia e stringendomi in un caloroso abbraccio. Ricambio la stretta, e per l'ennesima volta da quando ho messo piede in questa casa poche ore fa, i ricordi mi invadono la mente. Mi è mancata molto Marta, più di quanto pensassi. Quando eravamo piccole, eravamo molto legate, quasi come sorelle. Stessa età, entrambe figlie uniche...

«Che succede?», chiede a sua madre quando la vede piangere e scioglie l'abbraccio.
«Nulla tesoro, tu come stai?», risponde la madre. E allora Marta fa un gesto che mi convince maggiormente dell'idea che mi era balenata in mente: si accarezza la pancia e sorride, rispondendo «sto bene, grazie».

Mi chiedo che fine abbia fatto Trevor, sono più di venti minuti che è sotto la doccia, e l'acqua scorre ancora. Decido di lasciare da sole madre e figlia per andare a vedere se Trevor sta bene, e quando busso alla porta del bagno, questa si apre, e di qui esce Trevor. Mi sorride e aggrotta la fronte, chiedendomi «Che fai, mi spii?»
Io scuoto il capo imbarazzata, tentando di giustificarmi. «Ma che dici, è che non ti sentivo più uscire dal bagno».
«È tutto okay», mi tranquillizza. «Piuttosto tu, come stai, piccola?»
Alzo le spalle e raggiungiamo la stanza di Trevor. «Insomma, la zia è distrutta, e a quanto pare zio Carl è messo peggio», sospiro.

Mi giro e do le spalle a Trevor quando lui sfila l'asciugamano che tiene legato in vita per iniziare a vestirsi, mentre continuo a parlargli e lo informo che domani mattina ci sarà il funerale della nonna. Gli parlo anche dei miei pensieri per quanto riguarda la pancia di mia cugina Marta, di come ha reagito quando la madre le ha chiesto come stesse, e gli racconto anche di come mi sento a stare in questa casa dopo diversi anni. Come è tornare a ricordare, rivivere pezzi di vita girando per le stanze di questa casa. E solo ora mi rendo conto di essere contenta di avere Trevor con me in questo momento, perché non avrei scelto altra persona se non lui, che sa come farmi sentire meglio. Gli basta stringermi, darmi consigli e pareri personali, e soprattutto, gli basta ascoltarmi.
Perché è di questo che io, e tutti gli altri esseri umani, abbiamo bisogno. Di essere ascoltati, liberarci dal peso dei pensieri, dar vita loro, sputare le parole che ci frullano in testa e che spesso restano nascoste dentro di noi, forse per paura di disturbare chi ci ascolta, forse per paura di cosa potrebbero pensare gli altri di noi.

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