Capitolo 20

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La pista da ballo è occupata dagli alunni della scuola, i quali ballano sulle note di una canzone lenta.
Madison posa una mano sulla mia schiena e mi invita gentilmente ad avvicinarmi agli altri, poi posa le mani sui miei fianchi, ed io poso le mie sulle sue spalle.
Pian piano, si avvicina sempre di più. Con fare dolce e timido allo stesso tempo, mentre io avvicino la guancia al suo collo, così da farmi stringere maggiormente.
Confesso che mi piacciono le attenzioni di Madison, eppure, è da quando ho raggiunto la pista da ballo che non riesco a staccare gli occhi di dosso da Trevor.

Questa sera è più bello del solito; con i suoi jeans neri e la classica camicia bianca sbottonata sul petto, quasi trasparente, attillata. Ed i capelli ricci che gli ricadono sulla fronte... eppure, per quanto bello possa essere, mi infastidisce vederlo. Vederlo accanto a Giorgia, precisiamo.
Lei gli gironzola intorno, non si stacca un attimo da lui. Non è gelosia, ovvio. È solo che mi avrebbe fatto piacere se Trevor si fosse almeno avvicinato per salutarmi. Gli ho chiesto di starmi lontano, è vero, ma non di far finta che io non esista.

Tento di distogliere l'attenzione da Trevor e concentrarmi, piuttosto, su Madison. Al momento, mi stringe fra le braccia, ed entrambi dondoliamo prima a destra, e poi a sinistra, seguendo il ritmo lento della canzone.
Ma, ancora una volta, vengo distratta.

No, questa volta non per colpa di Trevor. Il mio cellulare, all'interno della tasca ricucita sul fianco dell'abito che indosso, coperta da un piccolo fiocco, mi avvisa che mi è appena arrivato un messaggio.
Vorrei tanto controllare di chi sia, ma non vorrei sembrare maleducata agli occhi di Madison, che è molto, anzi fin troppo, carino e gentile con me.

La canzone finisce, e Madison si sposta lentamente da me. Ma mi prende una mano, la stringe piano.
«Ti va se raggiungiamo gli altri?», mi domanda.
Se con "altri" intendi Trevor e Giorgia, la mia risposta è no, vorrei dire. Ed invece mi ritrovo ad annuire e seguirlo.
Per fortuna, con Trevor e Giorgia ci sono anche Ken, Laila e Sarah, che appena mi vedono, si avvicinano per abbracciarmi.

«Hai visto che bel lavoro abbiamo fatto?», dice Laila.
«Sì, tutto sommato mi pare che i ragazzi si stiano divertendo anche senza gli alcolici», rispondo io, ridacchiando.
Giorgia mi tira un'occhiataccia, poi si avvinghia sul braccio di Trevor, stringendolo e tirandolo più vicino a sè. È ovvio che lo abbia fatto apposta, ma devo tentare di mantenere la calma, non devo reagire, non devo accontentarla e rispondere alle sue provocazioni.

Che poi, diciamocelo, a me, di Trevor, non frega niente. Vero?

«Io esco un attimo, ho bisogno di prendere un po' d'aria.»
Mi allontano dal gruppo e spintono qualche ragazzo in pista da ballo per attraversare l'intera palestra ed uscire dall'edificio, raggiungendo il cortile.
Qui mi siedo su una panchina, guardandomi attorno.

Ancora non riesco a credere che Trevor sia venuto al ballo con Giorgia. Non lo dico per me, davvero, lo dico per lui. Con tutte le ragazze che ci sono a scuola, tante più dolci e gentili, proprio una snob come Giorgia doveva scegliere? Che poi non mi sembra neanche tanto soddisfatto della loro relazione, o qualunque cosa sia la loro.

Tengo basso lo sguardo mentre mi perdo fra i miei pensieri, ma un paio di scarpe, delle Vans nere, si fermano proprio sotto il mio sguardo distratto.
Alzo il viso, e davanti a me c'è lui; un paio di occhi verdi, un sorriso sfacciato ma allo stesso tempo tenero.
Si siede accanto a me, appoggia la schiena alla spalliera della panchina e allunga un braccio dietro le mie spalle.

«Gelosa?», eccolo che apre bocca.
«Come prego?», giro il viso verso di lui, inarcando un sopracciglio.
«Chiedevo se tu non sia uscita perché eri infastidita nel vedermi con Giorgia.»
«Oh, davvero credi che mi scomoderei ad uscire per colpa tua? Non gira tutto intorno a te, Trevor.» Non gira? Davvero?
«Perché sei qui?», gli chiedo quando non ricevo risposta alle mie precedenti parole.
«Vieni con me.» Si alza con aria decisa e mi prende per un polso, facendo alzare anche me dalla panchina.

Sfilo il polso di scatto, quasi infastidita.
«No, non puoi fare sempre il prepotente, Trevor!», gli dico, alzando il tono di voce.
«E tu non puoi fare sempre la bambina capricciosa del cazzo!», risponde allo stesso tono alto di voce, attirando l'attenzione di qualche ragazzo che si trova nei dintorni.
«Bambina capricciosa? Io? Tu! Tu che sei un figlio di papà, abituato ad avere ciò che ti pare quando ti pare, tu che non sai cosa significa sudare per ottenere ciò che si vuole.» Gli urlo addosso, gli sputo in faccia le parole che al momento mi passano per la mente.
Mi guarda per qualche istante, poi abbassa la voce, e quasi sussurrando dice: «non ho mai detto di volerti.»

Mi si forma un nodo alla gola, un vuoto nello stomaco, un magone che non riesco ad ingoiare e sento il rumore che fa il mio cuore quando si spezza. Sento il sale negli occhi, ma trattengo il respiro per non piangere, perché sarebbe non solo una cosa insensata, ma anche una pessima idea... piangere davanti a Trevor per qualcosa che mi ha detto proprio lui? No, troppa soddisfazione.

Mi giro di spalle e compio un passo in avanti, decisa ad allontanarmi da lui e tornare in camera, ma il cellulare mi squilla, e solo ora mi torna in mente il messaggio che non avevo ancora letto.
Rispondo, dietro di me Trevor resta immobile, mentre mi aspettavo che girasse il muso per tornare a ballare, ed invece resta. Resta qui. Resta mentre al telefono una voce pronuncia le parole più brutte che qualcuno potesse dirmi, parole che avevo già sentito anni fa, ma che a risentirle ora, mi uccidono ancora.

Mi scivola il cellulare dalle mani, cade a terra. Cade, fa il rumore del mio cuore che non si spezza, ma scoppia. Scoppia e fa rumore, ma solo io lo sento morire. Le lacrime mi rigano velocemente le guance, ed anche io scivolo, scivolo giù come il cellulare, sul terreno, e mi rompo, mi spezzo.
Solo una parola riesco a dire, eppure, tutto il mio dolore è raccolto in queste due lettere: «No!»

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