Capitolo cinque: ovunque come il prezzemolo.

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Dopo una buona quarantina di minuti sprecati a perdermi tra le strade di Milano riesco ad arrivare a casa degli zii. Mi hanno invitata a pranzo e di certo non ho declinato l'offerta. È da settimane che si va avanti di panini a pranzo, e pasta e carne a cena, una tortura! Ho bisogno di un piatto sostanzioso.

«Ce l'hai fatta finalmente», mi accoglie benevolmente mia zia.

È sempre stata una donna dall'aspetto molto grazioso, capelli biondi fino alle spalle, corporatura minuta che ho ereditato anche io, e dai modi tremendamente gentili che, no, non ho ereditato.

Il suo unico difetto è che non si fa mai gli affari suoi, assomiglia un po' a quelle signore anziane che vivono nei paesini del sud e che commentano qualunque cosa succeda.

«Non mi chiami mai...», continua, rimproverandomi dolcemente. Vorrei difendermi dicendo che nemmeno lei lo fa, ma rimango zitta. La decisione più saggia della mia vita, dal momento che voglio mangiare bene e tanto.

Ci hai messo un bel po' ad arrivare, non dirmi che ti sei persa, è da venti Natali che venite in questa casa, pensavo che sapessi la strada a memoria», mi ricorda divertita.

«Zia, io mi perdo perfino per arrivare al supermercato di fronte casa mia», la butto sul ridere, anche se una volta è realmente successo, facendomi prendere in considerazione l'ipotesi  di andare alla cassa e dirlo alla commessa, in modo che facesse l'annuncio vocale a mia madre. E no, non avevo cinque anni bensì sedici, dunque cambiai idea, preferendo, nel caso non mi avessero più trovata, patire la fame per giorni lì dentro piuttosto che fare una figura da imbecille.

«Siamo già tutti a tavola. Ti ho preparato il pollo con le patate, quello che ti piace tanto. Saremo un po' stretti perché c'è anche un amico di Federico a mangiare con noi».

Vorrei che il mio sesto senso mi abbandonasse almeno per oggi, ma appena faccio capolino in cucina mi accorgo che non ha voluto proprio sentirne ragione.

Come da copione, Brandon siede al tavolo e accanto a lui c'è una sedia vuota. Mia zia si siede a capotavola e questo vuol dire che devo subirmelo io il ragazzaccio.

«Ciao dolcezza», mi sorride, facendo l'occhiolino.

Sarà un lungo pranzo, penso, mi sta quasi passando la fame... Quasi!
Per un secondo penso che si sia autoinvitato per farmi un dispetto.

«Rachele, finalmente ti sei degnata di farci visita», esclama mio zio addentando un pezzo di pane e rimanendo comodo nella sua postazione, perché figuriamoci se si alza dalla sedia. Ma comunque, sorvoliamo... con la pancia che ha comprendo che non riuscirebbe più a risedersi.

«Zio, come andiamo?», chiedo cercando di essere il più sorridente possibile. Non mi è mai piaciuto.

«Bene, tu piuttosto? Non credi di essere un po' troppo magra?», mi scruta con attenzione. Un altro che finirà nella cerchia delle donne pettegoli.

Qualche secondo dopo, il mio sguardo si sposta su Bradi- ormai lo prendo in confidenza- che sogghigna sotto il cappello, non se lo leva mai e al pensiero che possa nascondere la stempiatura mi viene da ridere.

«È così magra perché le piace andare giù di birra», afferma Federico, che a quanto pare non perde mai un colpo.

«Una ragazzina per bene non beve certe cose», dice mia zia preoccupata. Probabilmente adesso chiamerà mia madre per dirle che non dovrebbe permettermi di bere alcolici.

«Non è veleno», ribatto con una smorfia, «E comunque a me la birra non piace, solitamente vado giù di super alcolici».

Gli occhi di mia zia sono un misto tra terrore e disgusto. Dopo questa rivelazione l'ho traumatizzata a vita.

Quando lui guarda me.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora