La Fica

1.4K 14 3
                                    


I primi veri discorsi sulla fica dalle nostre parti si facevano alle superiori. I corridoi e le aule delle scuole erano come trincee e campi di battaglia. Si correva, si combatteva, si moriva...
per la fica. Era la guerra! E proprio come in guerra c'erano vinti e vincitori, feriti e impazziti.  Come in ogni circostanza l'istinto animalesco e perverso del genoma umano aveva la meglio sul resto. Prima era la fica, poi i soldi, poi il potere...tutto - comunque - diveniva un pretesto per uccidere senza timore. Io mi ero schierato coi non interventisti. Il nostro concetto era semplice e geniale allo stesso momento: c'è carenza di fica in giro? Bene, allora, razioniamola no? Perdere la pelle - o le palle - per un pelo di fica? Siamo impazziti? Ma l'odio e la voglia di competizione erano troppo forti. Troppi cazzi in giro e troppe poche femmine rendevano i maschi furiosi come stalloni. Alcuni li sentivi persino nitrire ogni tanto, intenti a proteggersi le puledre o il posto di maschio alfa.
Fui accusato di comunismo, fanatismo, stregoneria - o qualcosa del genere -  in una delle solite sedute di classe democristiane del cazzo.
《Io la fica non la divido con te》diceva qualcuno《ma ti sei visto?》.
《NEANCH'IO LA DIVIDO CON TE CHE SE UN MEZZO ATEO MISCREDENTE DI MERDA!》diceva qualcun'altro.
《ZITTO TU CHE SEI SOLO UNO SPORCO EBREO!》rispose un tizio che tutti chiamavo "il biondo". Quando iniziarono a volare i primi ceffoni l'idea di sistema di "Fica collettivistico" da me brevettata fu scartata e io mi sentii un pò come deve sentitirsi il vecchio Marx nell'umidità della sua tomba da tre quarti di secolo a questa parte.

L'adolescenza continuava ad essere un disastro. La mia faccia era un covo di brufoli giallognoli enormi come crateri, sfoghi cutanei e infiammazioni. I chili di troppo tremavano sulla pelle.
Un giorno mia madre, preoccupata, mi portò da un dermatologo.
《 Acne acuta!》disse quello《una forma abbastanza violenta direi. Ma passa col tempo, signora. Il ragazzo deve solo evitare di toccarsi troppo..》
《Non c'è proprio nulla che si possa fare dottore?》da sotto il lettino sentivo la voce disperata di mia madre 《insomma...lo guardi!!》.

Acne, sudore ascellare, voce tremolante...sono piaghe che molti si portano dietro, nella lotta alla sopravvivenza delle superiori. Sono fardelli troppo grandi. Invalicabili.
In classe si creano le solite caste sociali primordiali: i belli e i brutti. Una condizione di per sé banale ma che comunque condiziona la vita di molti.
Così finì che i primi dicorsi sulla fica li ascoltai da ragazzini ingiustamente perfetti che si accendevano le prime siga nei cessi.
《E allora le infilo il dito dentro, tutto, e inizio a muoverlo. Lo sento umido, impastato...Inizialmente può sembrare difficile ma poi comincia a entrare e uscire che è un piacere. Ahahhaha...》
Tutti risero; anch'io, benché non sapessi nulla in materia. La mia era più una risata d'omologazione sociale. Cercavo d'integrarmi ma si notava troppo la mia diversità. Ogni brufolo secerneva repellenza e i belli - si sà- la sentono questa cosa; se ne accorgono subito quando qualcuno s'infila nel loro branco idilliaco, allora si fanno spietati come lupi e feroci come bestie.
Una mattina ero al cesso a pisciare e avevo trovato l'intero gruppetto intento a parlare delle solite cazzate. Al centro vi era il Biondo che raccontava la notte passata con Claudia, la fighetta sexi della classe.《Stavamo sul molo e intorno non c'era nessuno, manco un pescatore ubriaco. Allora comincio a baciarla e le prendo le tette in mano. Avreste dovuto vedere che tette raga! Sode, sembravano meloni》
Il Biondo era un ripetente alto dieci centimetri più degli altri, magro e snello. La sua pelle liscia e luminosa come pesche appena raccolte rifletteva la chiara luce dei bagni. Il sorriso sbarazzino, i connotati semplici, tutto in lui gli dava l'aria del bravo ragazzo... che non era. Tutt'intorno a lui gli altri ascoltavano smanettandosi le meningi,《allora le faccio "baby vieni qui!"e le infilo una mano nelle mutande. Faceva tutta la dura, la schifata...alla fine s'era bagnata come una fontana!》.
Volarono pacche sulla schiena, elogi, acclamazioni. Io mi limitai a sorridere sognando. Il Biondo mi guardò come ripugnato e smise di fare quel che faceva
《E TU CHE CAZZO TI RIDI? Non sai neanche di che stiamo parlando! 》.
Lì per lì non mi arrabbiai. Percepivo forte e chiara l'incommensurabile lacuna intelletuale che divideva i nostri i cervelli; i "suoi" limiti. M'erano bastati pochi giorni per capirlo.
Ora, io ero una matricola, e le matricole, si sà, stanno mute e camminano avanti, ma quella volta per qualche strana ragione risposi con foga. Sarà stata la sua faccia, ne son sicuro, sarà stato che avrei voluto strappargliela a morsi e darla in pasto ai cani,
non so, senza dir niente tirai un pugno secco sulla porta del cesso, trapassandola di parte in parte. Dentro era di cartone ma il botto fu comunque impressionante.
《Non rompermi i coglioni Biondo o giuro su Dio che t'ammazzo!》.
Lui non rispose. Gli altri non risposero.
Raccatai i miei cinque secondi di gloria, poi sparii via con la patta dei pantaloni ancora aperta e l'uccello duro sotto che si dimenava pressato a molla fra buco di culo e palle.

Tornai in classe e per la strada pensai alla fica di Claudia.
Claudia. Cos'avrei dato per vederla a cosce aperte,
una sola volta nella vita, Cristo, una sola. Mi sarei inginocchiato, l'avrei annusata per bene, l'avrei sfiorata, esplorata, vissuta. Ma era tutta illusione. Lo sapevo. Quelle così sono destinate a vivere nei nostri romanzi e manco mille porte spaccate a mani nude m'avrebbero portato da lei.
Entrai in classe. Lei se ne stava appollaiata sulla sedia a gambe incrociate, come fanno le cheerleader in quei film americani di seconda classe, coi collant bianchi sotto che crudeli salgono verso l'ignoto. Parlava con le amiche e io ero il nulla. Le passai accanto come il nulla e come il nulla sparii inosservato. Sentii il peso della sconfitta sulla nuca. Lo sentii tutto, pesante, ingombrante, schiacciami il collo e la coscienza. Abbassai lo sguardo. Mi sedetti. Aprii il mio diario all'inverso; e le dedicai una poesia.

Diario Di Uno StronzoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora