Arrivai a Torino che avevo vent'anni. La Sicilia era lontana mille e cinquecento chilometri, non conoscevo nessuno, non parlavo l'italiano e non avevo mai visto un tram in vita mia. Ricordo la prima volta che me ne vidi passare uno davanti. Lo presi al volo, appena uscito dalla stazione. Ero in ritardo. Mi accorsi solo in seguito che dovevo cagare.
Ma Cagare proprio, s'intende. Gli intestini mi si contorcevano come code di lucertola mozzate. Scesi. M'infilai nel primo bar che trovai e chiesi al barista dove fosse il bagno. Quello me lo indicò e io mi feci la cagata più bella della vita.
"Torino" pensai "come prima impressione proprio niente male!". Non c'è cosa più divina di una bella cagata, diceva mio nonno. Quando feci per uscire il barista mi urlò che bisognava consumare per usufruire dei cessi. E se lo diceva lu, era come sentirsi un pò meno in colpa a ordinare un grappino alle nove del mattino. Dunque bevvi, per un pò, già che c'ero.Alex chiamò che erano l'una del pomeriggio
《Ma dove cazzo sei?》chiese.
《Al bar》
《Al bar? Quale bar?》
《Davanti la stazione》
Alex era un tizio che avevo conosciuto in Sicilia. Si era offerto di ospitarmi qualche giorno da lui nel frattempo che cercassi lavoro.
《Quale stazione?》
《Come sarebbe a dire "quale stazione"...la STAZIONE, cazzo!》
《Imbecille...quale? Abbiamo tre stazioni qui!》
《Tre stazioni? Ma che ve ne fate? Comunque, aspetta un secondo》 tappai il telefono con la mano 《fammi capire, ti cadono le mani se ci butti un goccio di vodka in più in quel bicchiere di merda? Te lo pago cinque euro CristoSanto! A che punto siamo ridotti》, il barman mi guardò attonito e mezzo sconvolto dalla pioggia di cazzi - verbali s'intende - che l'aveva colpito di fretta e furia.
《Come hai detto che si chiama questa stazione, scusa?》
《Porta nuova》.
Tolsi la mano dalla cornetta,
《Porta Nuova》dissi.
《ARRIVO》e riattaccò.
《Grazie》dissi al ragazzo. Ritornai a bere. Leggevo il giornale nel frattempo. Un tizio aveva ammazzato i figli e poi s'era suicidato. Perché ammazzare i figli, mi chiedevo. Voglio dire, tutti pensiamo al suicidio e tutti abbiamo il sacrosanto diritto di toglierci la vita nel miglior modo possibile, ma che c'entrano i figli? le mogli?le madri? i padri? Ammazzati e basta. Fine.
Alex arrivò venti minuti dopo.
Era incazzato. Lo si vedeva dalle vene sulla fronte. Io invece no. Me ne stavo calmo e tranquillo a sorseggiare un bel drink al banco. Le mie erano ubriacature docili e pacate, di solito, specie in condizioni di "relax". Perciò non odiai Alex per quel che fece. Semplicemente non ebbi la voglia di farlo. L'odio richiedeva tempo. Tempo che io potevo passare a bere.
《Ma guardati》disse《il più classico dei terroni. Manco arrivato e già ubriaco fradicio》
《Vacci piano con le parole Gultieri...》. Alex faceva Gultieri di cognome e io da ubriaco chiamavo tutti per cognome.
《Vacci piano un cazzo! Puzzi di alcool da far schifo》
《È il profumo della vittoria, baby!》. Ok. Ero ubriaco. Arrivavo ad accorgermene sempre un pò troppo tardi, di solito dopo qualche frase insensata detta ai quattro venti. Risi da solo coi miei pensieri, bellissimi pensieri da beone felice. A quel punto Alex mi tirò uno schiaffo e io caddi atterra. Il colpo non era stato forte in sé ma mi aveva sbilanciato. Mi rialzai. Pensai a infuriarmi, a incazzarmi, a devastare qualcosa giusto per farlo, ma ve l'ho detto e ve lo ripeto adesso: amavo il mondo in quel momento. Lo amavo così com'era; con la merdosa vita e tutto il resto. Provai a dirgli qualcosa. Dovevo dirgli qualcosa. Ne valeva del rispetto. Prezioso, preziosissimo, sovrastimatissimo rispetto. Alex mi stava di fronte e sbuffava aria calda dalle narici come un toro. Provai a parlare ma qualcosa mi otturò la gola quasi all'istante. BLUHHHH. Vomitai sul pavimento. Il barista indietreggiò inorridito.
《Andiamo via》disse Alex.《Scusi》dissi《Andiamo via》
Cosi facemmo.Perché vi dico queste cose, vi chiederete. Ma perché, secondo me, c'era d'aspettarselo che il vizio avrebbe preso il sopravvento. In un modo o nell'altro esso vince sempre. Gli esseri umani non sono altro che spugne. Spugne di carne e sangue che s'imbevono di quel che toccano, si macchiano, si squartano, deteriorano col tempo...con la merda. E io ero questo. Una spugna intrisa di merda. Bevevo e fumavo sovente. Mi aiutava a sopportare il peso del mondo; la nausea che mi scatenava dentro. Cercavo d'alternare le cose ma spesso e volentieri erano "loro" ad alternarsi me. Così finiva che i periodi di disoccupazione li smaltivo bevendo, mentre le volte che trovavo lavoro preferivo fumare e mantenere un tipo di concentrazione diversa. Ma l'erba, costava in Italia, e anche tanto. Così non si capiva mai se fumavo per lavorare o lavoravo per fumare. Vero. Esistevano altre strade, come dire, più "semplici" . Lo spaccio, per esempio. Ma io non ero un criminale; e non avevo la benché minima voglia di diventarlo; perlomeno non allora. Necessitava di troppa pazienza, diligenza, attenzione nei dettagli, qualità non proprio caratteristiche del mio repertorio. E poi, comunque la mettessi, era impossibile eliminare del tutto il rischio d"essere arrestati. Cosa che accadde a più di uno di noi e più di una volta, se non erro, ma questa è un'altra storia.
Passai diversi anni a fare il cameriere fattone - o il fattone cameriere - che dir si voglia. Dieci anni a intermittenza fra periodi bui e luminosi. È un lavoro schifoso, a dir poco degradante direi, ma possiede i suoi vantaggi. Tre in particolare. Numero uno: un cameriere può sempre e comunque sputare su qualsiasi pietanza destinata a qualsiasi genere di cliente, ricco, povero stronzo o coglione che sia. Egli è il custode del cibo, l'ultimo a toccarlo. Mai stare sul cazzo a un cameriere fattone gente! Mai!
Numero due: i ristoranti che sceglievo erano sempre gli stessi. Economicamente parlando, preferivo quelli con un piede nella fossa. Mancavano i soldi, ma c'era una cosa che non mancava mai là dentro...il vino. Bevevano tutti. E tutti, a modo loro, erano schiavi e debitori dell'alcool. Io, chissà perché, mi trovavo a mio agio con chi fuggiva da qualcosa, non importava cosa, non importava come. Eravamo tutti nel mucchio; tutti nella polvere arsa della mandria impazzita. Lo Chef, di solito, era il più ubriacone di tutti. Poteva essere di due modi: beone con garbo (molte volte anche cocainomane di questi casi) o alcoolizzato allo stato cronico, a tratti violento, sporco e trasandato. Ebbi a che fare con entrambi i tipi di personaggio, ma rimanevano comunque problemi non miei. Per qualche strana ragione - ma neanche tanto strana - preferivo la sala. Ed eccoci arrivati al terzo punto: le cameriere.

STAI LEGGENDO
Diario Di Uno Stronzo
Short StoryATTENZIONE: contenuto per adulti e linguaggio esplicito. Alcool, droghe e sesso...la strada per l'inferno è lastricata di piacevoli ostacoli.