18. TERRORE

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Una settimana dopo

«Elly, alziamoci dai. Devo passare da Paul che andiamo in chiesa insieme!»
«Dai Amy, siamo tornate a notte fonda dopo una seratona passata a ballare al Piter. Lasciami qui nel tuo lettuccio ancora un po'.»
«Ok, il tempo di darmi una lavata e una sistemata e poi smammi.»

In una mezz'ora mi feci la doccia e mi vestii per andare a messa.
A Rentille era d'obbligo recarsi in chiesa la domenica mattina. Immaginatevi il paesino sulla scogliera, i vecchietti che lo popolano, il coro di anziani ormai senza voce e il prete che fa la predica in dialetto e capirete che non era poi così male doverci andare.

Io e Paul, insieme ad altri adolescenti e giovani, eravamo parte attiva della parrocchia: animatori di bambini con età compresa tra i 6 e i 13 anni. Incontri serali, uscite didattiche nei fine settimana, passeggiate, camminate, scoperte, erano sempre incastrati nella mia routine insieme allo studio, alla danza, al violino e a Lucius, ovviamente.

Mi fermai un attimo a pensare ai miei innumerevoli impegni sulla soglia della porta di casa prima di uscire. A quante cose avrei dovuto rinunciare?

Essere animatrice per me era importantissimo. Amavo condividere esperienze vissute, ascoltare le marachelle dei bambini, essere un orecchio, un supporto e una consigliera per i più piccoli. Amavo accompagnare i ragazzi in quel difficile percorso di crescita in modo giocoso. Amavo essere un modello e un riferimento per qualcuno. Amavo stare a metà tra l'essere un amica e l'essere una mamma. Amavo i bambini e la gioia che mi trasmettevano. Amavo semplicemente la missione che mi avevano affidato: ESSERCI. Per me e per gli altri.

La messa sembrava essere durata pochissimo grazie al lavoro dei giovani che l'avevano animata con cartelloni e storie e io e Paul ci incamminammo verso casa.

«Ehi Paul, vorrei fare un test in più, per sicurezza, anche se ormai dopo una settimana...»
«Credo sia un'ottima idea.»
«Si ma...»
«Stai tranquilla Amy, entro io a comprare il test.»

Mi capiva. Leggeva il mio sguardo e la mia mente.

Non appena arrivai a casa corsi in bagno, faceva freddo, la finestra aperta lasciava entrare  un'aria gelida e pungente che mi faceva tremare e vibrare. Le pareti ricoperte di piastrelle marroni, il colore della terra e della montagna, sviluppavano in me un sentimento di sicurezza e protezione. Il tappeto persiano ai miei piedi sulle tonalità del rosso, dell'arancione e del  giallo mi trasmetteva vitalità, forza e amore.
Una cosa mancava però  in questo freddo bagno color cioccolata. La presenza di qualcuno al mio fianco. Ero sola in quella stanza gelida. Abbandonata a me stessa per la seconda volta a fare quell'esame che mi avrebbe stravolto l'esistenza. Tremavo come una foglia pensando a cosa fare quando improvvisamente la porta si spalancò.

«Clevia! Sei matta? Che infarto mi hai fatto prendere!»
«Amy come mai stai gironzolando per il bagno? E' da qualche minuto che ti sento camminare avanti e indietro.»
«Hai dei sensori di movimento incorporati che non sapevo avessi per caso?»
«Non credo, ma sento che sei nervosa.»
«Cosa nascondi dietro la schiena Amy?»
«Nulla, esci dal bagno, subito!»

Non potevo trattarla  sempre male. Mi stavo crogiolando nel dolore della solitudine proprio quando lei era entrata. Che fosse solo un caso? No.
Qualcuno da lassù mi aveva mandato lei, in soccorso, in aiuto per non lasciarmi sola una seconda volta durante quel test. Non potevo lasciarla scappare.

«Clevia aspetta! Non chiudere, torna qui.»
«Che cosa succede?»
«Sto  per fare un test di gravidanza, per sicurezza, non riesco a credere al  risultato di quello che ho fatto la settimana scorsa a casa di Lucius.»
«Amy sei incinta?»
«Temo di si, stai qui con me? Non voglio stare sola.»
«Certo sorellona.»

La risposta non tardò ad  arrivare, ovviamente. Non abbiamo dovuto aspettare 5 minuti prima di  guardare il risultato. Positivo. Anche questo. Immediatamente.
Clevia era troppo piccola per rendersi conto della gravità del fatto. Non  facemmo neanche in tempo a dirci qualcosa che una voce non troppo  lontana mi chiamava.

«Amy dove sei?»
«In bagno mamma, con Clevia, perchè?»
«Ti è venuto il ciclo? Sto andando a prendere gli assorbenti perchè tua sorella li ha appena finiti.»

Quella domanda, così innocente iniziò a risuonarmi nel cervello. Mi sentivo fredda, gelata,  pietrificata. Era come se quello stupido quesito si fosse trasformato in  un treno. Quel treno che mi investiva con forza, schiacciandomi e  stritolandomi al suolo. Ero zitta. Ferma. Muta.
Un fastidiosissimo formicolio iniziava lentamente a percorrermi tutto il corpo, partiva dai piedi, arrivava alle ginocchia, saliva sul ventre, arrivava al cuore e si fermava nel cervello. Spegnendolo.
Clevia continuava a dirmi 'Amy rispondi alla mamma, ci sono io qui', ma io non sentivo nulla. Le sue parole erano così lontane e così amiche allo stesso tempo, ma io ero morta. Terrorizzata.

«Amy mi hai sentita? Ti ho chiesto se ti è venuto il ciclo, così vado a prendere gli assorbenti, altrimenti posso aspettare anche domani e andare con calma.»
«Mamma, beh, ecco.»
«Non ti è venuto? Di quanto sei in ritardo?»
«Tre, quattro giorni, cinque forse.»
«Come mai sei sbiancata?»
«...»
«Amy! Parla!»
«...»
«Non ci credo. Non ci credo. NON CI CREDO!»
«...»
«Non ti verrà il ciclo vero?»
«No, mamma.»
«Non posso crederci. Non voglio crederci. Non ci credo.»

Il mondo ci era crollato addosso. A tutte e tre.

#MrsAlicR

UN TUFFO NEL VUOTODove le storie prendono vita. Scoprilo ora