26. DIMISSIONI

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«Buongiorno Amy.»
«Salve Dottore!»
«Sei pronta?»
«Pronta? Per cosa? Andiamo a vedere di nuovo SaRic?»
«E chi sarebbe?»
«Il mio esserino. 'Sa' sta per Sara e 'Ric' sta per Riky. Io e Lucius abbiamo deciso i nomi dopo l'ecografia qualche giorno fa.»
«Sei forte Amy, hai un grandissimo spirito e un'ottimo gusto, belle scelte! In ogni caso no Amy, non ti porterò a vedere SaRic, ti chiedevo invece se eri pronta per andare a casa.»
«E' uno scherzo Dottor Finter?»
«No. I valori sono tornati tutti nella norma. Ci siamo spaventati molto, ma probabilmente inutilmente, stai bene tu e sta bene il tuo esserino, tutto è tornato nella normalità delle cose. Puoi tornare alla tua vita. Puoi andare al concorso di danza. Puoi fare tutto ciò che vuoi.»

Scoppiai a piangere dalla felicità. Li per li era l'unica cosa che riuscii a fare. Piangevo per ogni cosa da quando SaRic viveva dentro di me, bella o brutta che fosse.
Mi lasciavano tornare nella mia dolce casa con due giorni di anticipo, due soli giorni, ma che per me valevano molto di più.

Chiamai mia madre frettolosamente e lei corse in ospedale a recuperarmi.

Quando arrivò avevo già messo via tutte le mie cose, liberato l'armadietto dai miei abiti e preparato la valigia verde speranza.
Mi trovò pensierosa, seduta sul bordo del mio letto.
Ero sicura che mi sarebbe mancato molto.
In quei giorni mi ero affezionata tanto alle persone, agli infermieri, alle neo mamme, ai medici, alle pareti azzurrine e fredde, al letto scomodo, all'odore di disinfettanti, addirittura agli orribili pasti offerti dalla mensa ospedaliera, ma casa era casa.
Nulla poteva essere nemmeno lontanamente paragonabile alla mia splendida abitazione e al suo dolce profumo di pulito.

Firmammo le dimissioni, salutammo tutti, ringraziammo cortesemente e abbandonammo l'ospedale.

L'effulvio di primavera iniziava a sentirsi nell'aria, i giacinti sbocciavano timidamente, le rondini sorvolavano i tetti delle case e il cielo era sempre più limpido e azzurro.
Tirai un respiro profondo e stampai sul mio volto un sorriso soddisfatto e compiaciuto.
SaRic aveva collaborato e tutto era tornato regolare. La mia splendida gravidanza sarebbe continuata.
Mancavano circa sei mesi e io ero sempre più eccitata.

«Dove vai mamma?»
«Devo passare dalla nonna a portarle il detersivo.»

In dieci minuti arrivammo. Ovviamente mia nonna mi stava aspettando sul portone di casa ansiosa di vedermi.
Era una donna premurosa, paziente, di media statura. I suoi capelli erano corti, mossi e di un bellissimo color bianco neve.
Le rughe sul suo volto ricordavano l'avanzare della sua età, ma il suo splendido sorriso dimostrava la sua infinita voglia di vivere e il suo animo gioviale.
Non stava mai ferma, sempre in movimento, sempre a fare qualcosa.

Mia nonna mi aveva accudita come una figlia, come anche mia sorella e i miei infiniti cugini, ma io ero la sua primissima nipote e secondo me aveva sempre avuto un occhio di riguardo nei miei confronti.

Era una tutto fare, riusciva a gestire innumerevoli cose contemporaneamente, anche se allo stesso tempo la definirei una donna spesso sbadata, infatti non riusciva mai a trovare le chiavi per entrare in casa, o non ricordava dove avesse appoggiato gli occhiali.

Mi rispecchiavo molto in lei, perchè io, tutt'ora, sono esattamente così. Smemorata e distratta.

Ricordo che quando ero piccola e tornavo a casa da scuola e mamma e papà erano a lavorare, trovavo ogni giorno lei li ad aspettarmi, insieme al mio fidatissimo nonno.
Cucinava i miei piatti preferiti in modo impeccabile. Erano buonissimi e prelibati. Puliva e sistemava tutto, mi aiutava a fare i compiti, mi portava al parco giochi e insieme a mio nonno mi accompagnava a danza, a nuoto, a lezione di violino e ovunque dovessi andare. Loro per me erano sempre stati due pilastri importantissimi nella mia vita e vederla li, che mi aspettava trepidante sul portone di casa mi fece venire in mente molte piacevoli cose del passato.

«Amy, come stet?»
«Nonna! Sto bene grazie. Mi sento decisamente meglio qui fuori piuttosto che in ospedale, ma so già che mi mancherà quel luogo angusto.»
«Nim in casa, gho un pensier par te.»
«Un pensiero per me? Nonna non dovevi disturbarti.»

Timidamente iniziai a salire le scale che portavano alla sua abitazione, erano pulite e splendenti come sempre.
Mi metteva in imbarazzo sapere che in casa mi aspettava un regalo.
Non mi ero mai sentita a mio agio ai compleanni, a Natale o in qualsiasi altra occasione, la mia timidezza e il mio sentirmi fuori luogo in ogni situazione facevano si che arrossissi ogni volta che scartavo un pacchetto.

Quando finalmente riuscii a strappare quella leggera carta rossa a pois bianchi mi si illuminarorono gli occhi.
Era un pensiero magnifico, spontaneo e fatto con il cuore. Il suo cuore.

Aveva ricamato ad uncinetto una scarpina da bebè, una sola piccola pantofolina con la suola gialla, i lacci arancioni e delle righe verdi, azzurre e rosa ai lati. Era minuta e deliziosa, impacchettata in uno splendido sacchettino cucito da lei.

«Te piase?»
«E' bellissima nonna. Mi piace moltissimo.»
«L'è en porta fortun.»

La abbracciai forte forte, appoggiando la mia testa sulla sua spalla. Lei mi diede un timido bacio, era da molto che non lo faceva. Ormai ero grande e l'affettuosità dei genitori e dei nonni si era persa da più di qualche anno, ma in quel momento avevo proprio bisogno di essere li con lei, tra le sue braccia come un tempo.

Il portafortuna che aveva preparato per me era il primo vero regalo che ricevetti da qualcuno in famiglia.

«Grazie nonna. Ti voglio bene.»

#MrsAlicR

UN TUFFO NEL VUOTODove le storie prendono vita. Scoprilo ora