8. SOLO NOI

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Eravamo solo noi, seduti a tavola, una stufa a legna riscaldava la stanza, un gentile signore, anch'esso nano, prese le mie rose e le mise in un vaso sul tavolo, ci portò il menù e nel mentre ci offrì un delicatissimo aperitivo. Non ricordo che gusto avesse, io avevo ancora la testa fra le nuvole.

«Stai tranquilla amu, siamo io e te, ho organizzato tutto questo solo per te. Ci troviamo in un'area ad accesso vietato, è proprietà privata, per questo non lo avevi mai visto. Ex area militare a dire la verità. Ecco perché è così grande. Un campo di addestramento degli anni trenta.»
«S...sto b...bene grazie.»
«Mi spezzi, amo il tuo essere semplicemente così come sei.»
«Non mi prendere in giro, è che nessuno mi ha mai organizzato una cosa simile, ma...questa baita? Da dove sbuca? Non credo servisse ai militari...»
«E' stata costruita da mio zio dopo aver acquistato l'intero terreno. Lo ha trasformato in un grande parco, d'estate puoi ammirarne la vera bellezza, grandi papaveri si ergono dritti in piedi in quel campo che abbiamo attraversato. D'inverno solo la neve lo rende magico.»

Come un vero gentiluomo è solito fare, anche lui fece quel giorno, ordinò al posto mio la cena senza nemmeno chiedermi se avessi gradito. Il menù era solo una messa in scena, sapeva già cosa avrebbe ordinato, per me e per lui.
Mi conosceva meglio di quanto mi conoscessi io.
Era il riflesso positivo di me stessa.
Era quel piedistallo che mi teneva in piedi in ogni momento della mia vita.
Era l'emozione di un istante e la certezza di un per sempre. Era semplicemente Vita.

Mangiai con non troppa voracità l'ottimo risotto alla zucca che si presentò davanti a me, ma era squisito. Per non parlare delle costine con salsa barbecue cotte alla perfezione e del magnifico tiramisù al cioccolato che mi sono comodamente gustato seduta su una sedia di legno e paglia.
Il tavolo era rettangolare, posizionato in un angolo della stanza, una grande vetrata separava noi dalla cucina. Potevo curiosare il cuoco mentre cucinava i nostri piatti se avessi voluto. Potevo anche alzare un dito che subito il cameriere che stava in piedi di spalle alla porta in modo molto discreto, si affrettava ad ascoltare e soddisfare le mie richieste.

Ero, servita e riverita, al centro dell'attenzione di tutti. Lucius aveva organizzato tutto alla perfezione, mi sentivo una persona veramente speciale. Semplicemente sua.

Chiacchierammo e ridemmo un mondo quella sera, soprattutto grazie all'ottimo Passito di Pantelleria che ho bevuto accompagnato al tiramisù e grazie anche al vino bianco bevicchiato durante il primo e il secondo piatto.
Devo proprio ammetterlo: l'alcool, quella sera, fu per me una vera e propria manna dal cielo: cancellò quell'antipatica timidezza che mi caratterizzava e lasciò spazio a un'immensurabile felicità.

Lui era la mia vittoria più bella in una vita di sconfitte.

Mai mi ero sentita così libera e spensierata, mai avrei creduto possibile riuscire a cancellare tutti i pensieri e problemi che vivevo a scuola e soprattutto a casa.

I miei genitori non troppo tempo fa stavano per lasciarsi, avevano detto a me e Clevia che non andavano più d'accordo, che avrebbero preferito stare separati in casa per un po' di tempo per il bene mio e quello di mia sorella.
Ma cosa ne sapevano loro di cosa fosse meglio per me? Ho sempre odiato sentirmi dire 'per il tuo bene'.
Non ho mai trovato giusto lasciare decidere agli altri quale sia il mio equilibrio, a che punto si trovano la mia serenità e la mia felicità.  

Ricordo benissimo quella sera quanto ci aveva sconvolto quella notizia, eravamo in pizzeria, seduti tutti e quattro a un tavolo molto ben apparecchiato, la tovaglia era beige, i tovaglioli bianchi, le sedie erano in stile shabby, le posate rifinite in oro (finto probabilmente), i bicchieri in cristallo davano quel tocco di brillantezza al tavolo e l'imponente porta candele al centro trasmetteva una quasi irreale calma e tranquillità.
Mi ricordo che io e Clevia eravamo contentissime per essere li, era da tanto tempo che mamma e papà non ci portavano fuori a mangiare, ridavamo e scherzavamo come sempre nell'attesa di essere servite, ma all'improvviso il vuoto ricolmò il mio e il suo cuore: «Dobbiamo parlarvi» dissero.
Io personalmente ho temuto il peggio e certo non mi sbagliavo.

Iniziai a piangere, prima io, poi Clevia, poi mamma e infine anche papà.

Quella che doveva essere una serata magica, si era trasformata in un vero incubo. Un senso di angoscia invadeva il mio animo, lo ricordo come fosse ieri e sono certa che quel giorno cambiò per sempre la mia vita.

#MrsAlicR

UN TUFFO NEL VUOTODove le storie prendono vita. Scoprilo ora