Capitolo IV

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La folla esultava sotto di lui. Un'unione di lance, spade, scudi, archi, balestre e molto altro, che venivano levati al cielo al concorde urlo di tripudio dello schieramento. Alcuni erano rimasti nelle proprie tende, Reck ne era sicuro; ma quelli che erano lì erano comunque tantissimi. Non sorrise, seppur fosse soddisfatto. Tutti lo stavano guardando e acclamando, mentre lui, sopra la lignea piattaforma rialzata, dalla quale poteva elvarsi su chiunque, mirava il firmamento. Era lui il fautore di quel successo. Lui e nessun altro. Non era mai stato una persona modesta; ma se lo fosse stato, in quell'occasione avrebbe accantonato ogni tipo di modestia e si sarebbe lasciato inondare dall'orgoglio e dall'arroganza.

Sollevò una mano e in poco ogni rumore cessò. Posò lo sguardo sui suoi uomini. «Esercito di Agder, oggi abbiamo vinto, e siamo riusciti a farlo grazie al vostro coraggio e al vostro ardore. Il sangue dei caduti si è riversato sul terreno e si è infiltrato dovunque, purificando la città di Cosanama da quello degli sporchi elfi e rendendo questo il principio di quello che sarà il tramonto degli Aelfar Glauco!» Si preparò mentalmente e recitò il discorso in Livski che ogni generale doveva pronunciare dopo una vittoria: «Onore ai prodi, alle vittime e al cuore di chi ha combattuto per la propria patria. Che l'esultanza e la sofferenza possa marchiare la nostra anima per ciò che ci rimane da vivere.»

Tutti lo ripeterono in Livski e poi lanciarono in alto gli scuri elmi. Adagio, la ressa si sfoltì e restarono solo quelli che, boccali alla mano e sorrisi nei volti, erano pronti a far baldoria; un numero comunque considerevole. Reck si sentì compiaciuto di se stesso. Era da quando era piccolo e suo padre gli raccontava le fantastiche battaglie che il nonno aveva combattuto, che agognava a pronunciare quel discorso. Quello che aveva segnato il principio di insigni uomini e li aveva iniziati alla nobile arte della guerra strategica.

Scese dal basamento. Ad attenderlo, i piedi che sbattevano sull'erba tremolanti come il resto del corpo, c'era il valletto Karvael, un ragazzo di ventuno anni che aveva offerto i propri servigi alla famiglia Dren per pagarsi gli studi nella capitale Damadin. Era sempre a rincorrere con le mani i capelli castano scuro, che si muovevano concitati per via del vento che soffiava a tratti. Gli occhi giallognoli sembravano quasi verdi, con la poca luce che c'era in giro. Reck non ne aveva di questi problemi: i suoi radi capelli mori non gli davano alcun fastidio. Appena Karvael lo vide, gli porse il mantello rosso sul quale era cucito l'emblema dell'Impero di Agder. Reck lo indossò e tirò dritto verso la propria tenda.

Questa era di un'ampiezza incredibile e all'interno c'erano vari utensili e mobili in materiali pregiatissimi, come il legno di uno di quegli alberi provienenti dalle regioni più estreme del Nordovest della Ethudia. Reck faceva sfoggio di tutto quello che possedeva e ignorava qualsiasi commento gli si rivolgesse. Almeno finché questi non gli arrivavano alle orecchie. Allora si imbestialiva e imprigionava per una settimana i loro artefici, facendo subire loro torture indicibili. Ecco perché, forse, di commenti ce n'erano stati pochissimi ultimamente.

Entrò e vide Nimniail che si pettinava la chioma verde chiaro. La sottile veste da sera che indossava, in un rosa che si abbinava alla pelle di lei, lasciava trasparire le forme sensuali e prorompenti. Davanti a lei, lo specchio incorniciato d'oro rifletteva il viso d'angelo dalle iridi cristalline. Reck ripose il mantello e la leggera corazza nella cassapanca vicino al termine dello sfarzoso letto dalle coperte rosse, poi si avvicinò a Nimniail e prese a baciarla sul collo.

«Perché indossi quel mantello se poi devi togliertelo subito dopo?» disse lei, assente.

Reck la abbracciò e le sussurrò: «Devo rendere chiara la mia superiorità anche se il tragitto è così breve.»

«E credi veramente alle cose che hai detto poco fa sul palco?» continuò lei.

Reck si staccò e andò a sedersi sul materasso. Sfiorò le coperte con le dita, esaminando le grinze che aveva causato sedendocisi.

Dark DawnWhere stories live. Discover now