Capitolo XXIV

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Il palazzo reale era uno di quei luoghi pensati perché lo sfarzo esibito non fosse mai troppo. Lo si poteva capire già dal salone d'ingresso, un'ampia stanza con le pareti rosse e una miriade di lampadari di cristallo penzolanti dal soffitto accompagnati da candelabri dorati sui vari ripiani d'ebano. A Reck tutto ciò ricordò l'ambiente della corte imperiale di Damadin, anche se là il concetto di lusso consisteva nello smodato sfoggio di pietre preziose dal biancore accecante e gioielli attorno a ogni collo. Eppure quella dimostrazione di ricchezza fu sufficiente a riportare Reck ai tempi in cui frequentava la famiglia imperiale. All'epoca il suo sogno era ancora quello di diventare il più grande generale che fosse mai esistito, superando di gran lunga suo padre e i suoi predecessori. Nella sua mente erano indelebili i giorni trascorsi ad approfondire gli studi dell'accademia con il professore privato dell'erede imperatore, uno dei tanti privilegi datigli dalla posizione di suo padre. E pensare che ora avrebbe voluto raderlo al suolo: far soffrire chiunque fosse salito al potere e uccidere qualsiasi suo successore, distruggendo anche il loro palazzo, la prova tangibile della forza che non avrebbero più avuto.

«Pensi a qualcosa in particolare?» gli chiese Lynn, toccandogli una spalla per richiamare la sua attenzione. «Mi sembri assorto.»

«Non pensavo a niente» affermò.

«Su, puoi smettere di fare il duro una volta ogni tanto» gli disse, facendogli l'occhiolino.

«Non sono affari tuoi, Lynn» fece Reck. «Non pensare di essere la mia confidente solo perché mi sono permesso di confessarti la mia situazione.»

«Ok, ho capito» continuò lei, intristendo lo sguardo.

Ma a Reck non importava. Aveva accettato di seguirla in quel folle viaggio e di votare le proprie nuove doti alla sua causa, ma non le avrebbe mai rivelato quali erano i suoi pensieri, così come non avrebbe mai detto nulla che riguardava le sue emozioni. Chiunque provasse a farlo parlare, stava sperperando il proprio tempo. Nessuna motivazione sarebbe stata sufficiente a convincerlo a confidare qualcos'altro. Non ci sarebbero più stati errori.

Quando entrarono tutti a seguito del re e della sua famiglia, una schiera di domestici e governanti si precipitò da loro tempestandoli di domande. Se avevano bisogno di qualcosa, o se si sentivano stanchi, o se dovevano andare a farsi un bagno.

«Credo che nemmeno il bagno con i saponi più intensi riuscirebbe a togliere questa puzza da Goujelt» asserì Nathair, tornando a parlare inglese.

Reck vide Goujelt tirare una manata sulla testa di Nathair, sussurrandogli qualcosa con un'espressione chiaramente infuriata. Poi questi alzò lo sguardo e sorrise, ridendo e trascinando i presenti nella sua risata. L'unico a non farlo fu proprio Reck.

«Ovviamente il ragazzo scherza» fece infine, parlando anche lui in inglese.

Il re, d'un tratto, sollevò una mano e prese la parola, calamitando le pupille di tutti verso di sé. «Miei cari, questi sono viandanti che ho deciso di ospitare nel nostro palazzo. Non credo staranno qui per molto, ma io... e voi, saremo estremamente lieti di accoglierli e trattarli come nostri pari finché non se ne andranno.»

«Che rabbia i re che si sprecano in atteggiamenti egalitari nei confronti del proprio personale. Che falsità» mormorò Jonah accanto a lui, probabilmente senza volersi far sentire da qualcuno.

Sì, ha ragione, pensò Reck. Tuttavia questo comportamento formava un clima più caloroso, quasi di benvenuto, ed era più facile che la gente capitata da quelle parti si sentisse incline a fermarsi. Quei sorrisi, assieme alla dimostrazione del fatto che tutti fossero sullo stesso piano, forse erano uno dei segreti che spiegavano il successo di un regno tanto piccolo nel tessere reti d'amicizie con quelli più grandi. Forse era merito della diplomazia, eppure Reck non poteva fare a meno di ricordare i momenti in cui i suoi insegnanti gli dicevano che l'affabilità e la comprensione erano le armi più efficaci nelle trattative con gli altri paesi. Lui non l'aveva mai imparata, quella lezione. Dentro di sé sentiva che la violenza e il ricatto fossero gli unici metodi che avrebbe potuto utilizzare. Sapeva bene che non era giusto, ma con la gentilezza e la cordialità si allungavano solo i tempi, e la sua pazienza aveva sempre scarseggiato.

Dark DawnWhere stories live. Discover now