La pioggia tempestava la barriera energetica che li proteggeva. Nathair si era fermato un attimo a osservarla: le gocce che si infrangevano su di essa erano ben visibili, ma il suono che avrebbero dovuto produrre non c'era. Non aveva mai assistito a un temporale senza sentirne il rumore. Cioè, lo aveva fatto ogni volta che aveva piovuto mentre lui aveva gli auricolari, ma mai, al posto della musica, c'era stato quell'opprimente silenzio inframezzato soltanto dai flebili respiri di qualcuno. Qualcuno che, in tal caso, rispondeva al nome di Jonah. Aveva la sua spada di legno nelle mani: quella di metallo era stata concessa a Nathair. Il giovane si era offeso: sapeva che gliel'avevano data solo perché erano sicuri che non sarebbe riuscito a fare niente.
«Iccaladu» disse lui improvvisamente.
Nathair si riscosse. «Ma devi parlare sempre in Flesremu? Ti ricordo che lo sto studiando da appena tre giorni.»
«Luimavioneg.»
«Luimavioneg un cazzo. Ti ho detto che non ti capisco! Se parlassi in Aruan, già sarebbe differente.»
«Lubuceg.»
«E continua...»
Jonah raddrizzò l'arma nelle sue mani e folgorò Nathair con uno sguardo che permetteva una sola interpretazione: stai in guardia, oppure sei finito. E fu quello che successe. Senza nemmeno avvisarlo caricò e, scivolandogli sotto le gambe, gli diede una stoccata sulla schiena. Il giovane fece un verso di dolore misto a disappunto, e si girò con il cipiglio di uno che si sente preso per i fondelli. O almeno sperò di averlo fatto così.
«Ascoltami. Potresti avvertirmi quando stai per attaccare? No, sai, hai giusto qualche anno di addestramento in più di me.»
«Luke beagi. Lade luassezer beagud con.»
«Oh, mi hai rotto le palle. Se mi capisci, parla inglese!» sbraitò Nathair.
Confisse la spada al suolo e se ne andò a passo sostenuto. Entrò in casa, dove trovò Cardmis che discuteva animatamente con Goujelt. Tutta quella gente che lo ignorava volontariamente lo irritava come nessuno aveva mai fatto. E lui era una di quelle persone che, quando le irriti, puoi star sicuro di non avere più le opportunità di avere una vita sociale. Prima di andare all'università, i suoi compagni di istituto lo conoscevano come signore pazienza. Non poteva essere infastidito da nessuno, finché era al centro dell'attenzione.
Si avvicinò ai due. La luce di una lampada a olio li illuminava da sinistra, conferendo una certa cupezza al lato in penombra. Sul tavolino, un insieme disordinato di fogli si alternava ad alcune strane penne. Cardmis compulsava i fogli con una frequenza impressionante, mentre Goujelt lo fissava e interrompeva la parlantina dell'altro solo per correggere qualche sua affermazione. Nathair mise le mani sul tavolino e aspettò che i due uomini lo notassero. Niente. Nessuno dei due lo aveva minimamente considerato. Riprovò: il risultato fu il medesimo. Soltanto quando fece per andarsene in camera, sentì una voce provenire da dietro di sé. Cardmis.
«Dove vai?»
Appoggiò un piede sul primo gradino della scalinata che portava al piano superiore. «In camera.»
«Neanche per sogno. Mancano ancora due ore al pranzo e devi approfittartene per allenarti.»
Nathair sorvolò su ogni parola di Cardmis. Tuttavia rallentò il passo. Voleva sentire se il gigante avesse qualcos'altro da dire. Magari qualcosa che avrebbe potuto far cambiare idea a Nathair e che lo avrebbe convinto a tornare indietro. Magari perché Jonah non pronunciava deliberatamente neppure una frase in inglese. Stupido non era, e non gli sembrava il tipo il cui unico scopo era prendersi gioco degli altri.
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Dark Dawn
FantasyAlba Nera - Primo volume dei "Tales From Flesra". I Siyew lo hanno sentito. I loro cavalieri volevano prevenirlo. Ma hanno fallito. Jake è morto, Akkra pure, Dominick anche; gli altri si sono sparsi per il mondo. Ma hanno l...