Capitolo II

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- Papà! Papà! - esclamò Paola, battendo una mano sul tavolo per attirare l'attenzione.
Umberto Mazzotti, intento a parlare con il vicedirettore del suo giornale, Enrico Resnati, si voltò verso di lei con un sorriso indulgente.
Marianna abbassò gli occhi sull'arrosto sto che aveva nel piatto. A Paola, la più piccola, la preferita, era permesso tutto. Anche interrompere il padre mentre stava conversando con un altro commensale.
- Che cosa c'è, Paola? Non vedi che sto parlando con Enrico?
Enrico sorrise a Marianna con aria d'intesa, per nulla stupito dall'interruzione. Conosceva benissimo l'esuberanza di Paola. In casa Mazzotti era ospite abituale, e l'amicizia che lo legava sia al suo direttore, Umberto Mazzotti, sia alle due ragazze, ne faceva assai di più che un prezioso collaboratore e un fervente patriota.
Marianna alzò appena le spalle, a sottolineare la quotidianità dell'episodio. Paola voleva essere al centro dell'attenzione con tale spontanea petulanza che le sue vittime rimanevano affascinate, invece di prendersela a male. Uno sguardo di quegli occhioni azzurri, e Umberto Mazzotti si sentiva sciogliere dentro.
- Tutta la mia povera Elisa - era solito sospirare. - I suoi occhioni fiordaliso,i suoi capelli d'oro...
- Devo raccontarvi una cosa - cominciò Paola, giocherellando con la forchetta. - Una cosa incredibile che è capitata a me e Marianna stasera...
Marianna la guardò, contrariata. - Mangia, invece di giocare. Racconterai dopo - disse, sentendosi morire dall'idea che Paola si mettesse a narrare per filo e per segno dei francesi.
Umberto aggrottò le sopracciglia. - Ma lasciala parlare, poverina - esclamò in difesa della figlia prediletta.
Paola si raddrizzò sulla sedia e sorrise a Enrico. Nella ingenuità dei suoi sedici anni il bell'Enrico, con i suoi capelli chiarissimi quasi dorati, gli occhi azzurri, le sue estrose cravattone, i suoi discorsi pieni di fuoco a favore dell'Italia unita, le sembrava una specie di cherubino, un angelo guerriero splendido e coraggioso.
Aveva preso a civettare con lui con tale dolce ingenuità da suscitare nel giovanotto una tenerezza quasi paterna. Ma agli occhioni ingenui di Paola non sfuggivano gli sguardi intensi che di tanto in tanto, non sapendo di essere osservato, il biondo cherubino lanciava alla bruna Marianna.
- Bene, ci è capitata un'avventura...
Mentre Paola parlava, Enrico osservava alternativamente le due sorelle, sedute a tavola l'una accanto all'altra. Marianna indossava un abito blu scuro con una modesta scollatura arrotondata che lasciava appena intravedere il biancore delle spalle. Il taglio a impero sottolineava la curva del seno. Aveva raccolto i capelli in una foggia semplicissima, vagamente grecizzante, che metteva in risalto il collo lungo e liscio. Non portava gioielli, com'era sua abitudine, a eccezione di un anello fuori moda che era stato di sua madre e che pareva ancora più massiccio sulle mani sottili.
Accanto a lei, Paola sembrava ancora più bionda, tutta vestita di bianco, con un nastro rosso che le tratteneva i capelli e richiamava i profili rossi della scollatura e delle maniche.
Umberto guardava la figliola più giovane, la ascoltava parlare con sul volto un'espressione indefinibile, tra l'adorante e il doloroso. Marianna somigliava moltissimo al padre. Avevano entrambi gli stessi occhi scuri e brillanti, e anche se ormai i capelli di Umberto si erano fatti grigi, in gioventù erano stati bruni come quelli di Marianna. Ma la somiglianza non era soltanto fisica. Entrambi erano impetuosi, orgogliosi, pieni di entusiasmo, decisi a non mostrare mai le proprie debolezze. E forse proprio per questo, Umberto era restio a mostrarsi con Marianna il padre affettuoso che era sempre stato per Paola.
- Marianna voleva andar via senza nemmeno ringraziare quel francese... René Sau...Saur... - Si voltò verso la sorella. - Come ha detto che si chiamava?
Marianna alzò le spalle. - Come posso ricordare... - mentì, in un borbottio.
- Saurrois! Ecco come si chiamava - continuò Paola, per nulla scoraggiata dal silenzio ostile della sorella.
- A questo punto, papà, io l'ho ringraziato e gli ho detto di venirci a trovare... Ho fatto male?
- No, no - rispose Umberto, un po' perplesso.
- E poi è passata una carrozza. Lui voleva accompagnarci, ma Marianna non se ne dava per inteso e...
- Questi dannati francesi! - esplose Enrico, che era rimasto zitto fino a quel momento, infilzando un boccone di arrosto con la forchetta con lo stesso piglio col quale avrebbe voluto infilzare Buonaparte in persona. - Si credono in diritto di prenderci tutto, anche le nostre donne. E noi che lo abbiamo appoggiati! Che abbiamo creduto che il vento della rivoluzione dell'89 soffiasse anche per noi! Sono come gli austriaci, né più né meno. Noi patrioti...
Umberto gli posò una mano sul braccio. - Su, su, Enrico. Non è successo niente. Solo un po' di paura, ecco tutto. - Carezzò la testa bionda di Paola. - Ti sei spaventata?
Lei scosse la testa. - Oh, no. No, no.
Umberto rise soddisfatto. - Buon sangue non mente! - disse a Enrico.
Marianna sollevò le sopracciglia, scettica, e prese in mano il bicchiere. Enrico la imitò e accennò un brindisi.
- Al vostro coraggio - esclamò con enfasi, guardando Marianna negli occhi.
Lei ebbe un sorriso ironico. - Sai che coraggio, Enrico. Gran cosa.
Paola la guardò, offesa. - Ma come! Quel francese mi ha detto di gridare "Vive la France" e io non l'ho fatto!
- Non ha insistito troppo - ricordò Marianna, toccando col suo bicchiere quello di Enrico.
Umberto alzò una mano a chiedere silenzio. - Su, Marianna, per una volta lascia perdere il tuo solito sarcasmo! Fosse stato per te, non saremmo nemmeno venuti a sapere della faccenda.
Lei annuì. - Verissimo.
Enrico si alzò in piedi. - Se non volete brindare al coraggio, vorrete brindare all'Italia!
Umberto si alzò a sua volta e guardò le figlie. - Però, Marianna, - osservò - sei stata imprudente. Dovevi far chiamare la carrozza. Il nostro nome è conosciuto, e di questi tempi bisogna andar cauti... Abbiamo molti amici, è vero, ma anche molti nemici.
Marianna lo fissò. - Hai ragione.
- E poi - continuò Umberto, ora in tono scherzoso - non avresti dovuto mettere un vestito blu. Tu e Paola vicine fate il tricolore francese.
- La prossima volta mi vestirò di verde - promise Marianna, e si alzò, subito imitata da Paola.
Umberto sorrise. - Viva l'Italia, figlioli.
- Viva l'Italia - rispose pronta Marianna. - Se l'Unità dipendesse dalla frequenza con cui si brinda a essa in questa casa, i francesi dovrebbero essere fuori dei piedi da un pezzo.
Enrico strinse le labbra, offeso. - Se sei di cattivo umore, dillo - replicò, abbassando il bicchiere.
Marianna scoppiò a ridere. - Oh, Enrico, come sei buffo! Non arrabbiarti. Scherzavo. So bene che qui non ci si limita a brindisi.
Umberto levò il bicchiere. - Su, beviamo, e ciascuno brindi a quel che più gli preme!
- A Enrico! - esclamò subito Paola, facendo arrossire il giovanotto. E pensava davvero a Enrico.
- Al mio giornale - esclamò Umberto. Ma pensava alla sua figlia prediletta, Paola, senza osare escludere Marianna dal brindisi.
- All'Italia! - disse Enrico, solenne. Ma pensava a Marianna, e lo faceva capire fissandola con intenzione.
Marianna esitò un momento. Fu lì lì per ripetere il brindisi di Enrico, ma temette che Resnati potesse fraintenderla e credersi compreso e accettato. Finì col mormorare un frettoloso: - Alla memoria della mamma - ma aveva negli occhi e nel cuore l'immagine del bel capitano francese dagli occhi verdi e dalla voce suadente.
Bevvero d'un fiato, ciascuno perduto nelle sue meditazioni segrete.
- Ottimo questo vino - osservò poi Umberto. - È Bonarda. Me lo fa avere il mio amico Gualtiero Riva, che ha una piccola tenuta nell'Oltrepò.
Enrico guardò il vino rimasto nel bicchiere. - Ottimo davvero. A proposito, lo sai che Riva è a Milano?
Umberto annuì. - Sì, è tornato ieri. L'ho visto stamattina. Ha detto che sarebbe venuto qui, sul tardi.
- È stato via parecchio - osservò Marianna.
Umberto alzò le spalle. - La sconfitta dell'austriaco Melas lo ha gettato nella più profonda depressione.
Enrico scoppiò a ridere. - Quel segaossi è un incorreggibile fedele delle imperial regie maestà austriache - spiegò. Guardò Marianna, che si era riseduta. - L'ho conosciuto in prigione.
Paola spalancò gli occhi. - È stato in prigione anche lui?
- Non esattamente. Ci ero finito io, come sai, per un certo volantino. C'erano gli austriaci, allora. Lui era il loro medico di fiducia. Una gran brava persona, però. - Alzò le spalle. - Ha fatto del bene a così tanta gente che nessuno lo ha denunciato, adesso che ci sono i francesi.
Umberto sorrise. - Sì, è un gran brav'uomo, a parte la sua passione per l'Austria.
In quel momento entrò Matilde, la governante, a controllare a che punto fosse la cena. Magrissima, anziana, i capelli grigi e il vestito nero, Matilde, fedelissima ai Mazzotti, era stata una mamma per le due ragazze, che avevano perduto quella vera molto presto.
- Posso far portare il formaggio? Della frutta? Del dolce? Ho preparato con le mie mani una torta...
Tutti rifiutarono, anche Paola, che di solito si lasciava sedurre con facilità dai dolci di Matilde.
Marianna la guardò stupita. - Niente torta?
Paola scosse la testa, imbronciata.
- Grazie Matilde - disse Marianna alla governante. - Faremo onore domani alla tua torta.
Umberto ed Enrico si erano allontanati verso il salotto, chiacchierando fitto fitto, per fumare in pace e bere qualcosa.
Non appena la governante si fu ritirata, Marianna si rivolse alla sorella in tono preoccupato.
- C'è qualcosa che non va?
Paola scosse la testa senza rispondere, scoccandole un'occhiata risentita.
- Ce l'hai con me?
Negli occhi di Paola brillarono due grosse lacrime che scesero lentamente sulle guance appena rosate.
Marianna si chinò su di lei, allarmata.
- Ma che cos'hai? Perché piangi, adesso?
- Lo sai perché. Sei cattiva, con me. Cattiva.
Marianna la fissò. - Cattiva? Cosa diavolo t'ho fatto, stavolta?
- Enrico mi... Enrico mi ama.
- Ah, sì? Te l'ha detto lui?
- No, ma mi ama. Io lo so. Ma quando ha brindato... - singhiozzò piano, torcendo si le mani - quando ha brindato, non ha brindato a me. Ha detto: "All'Italia", ma pensava a te. Lo si capiva benissimo...
Marianna sospirò. - Ma se ti ama, non c'è problema... - replicò, con una punta di ironia. Poi si pentì della battuta. - Suvvia, bambina, Enrico non sa nemmeno che esisto. Sei tu la nostra piccola fata. Comunque, io ti prometto che non lo incoraggerò mai.
- Mai?
- Mai.
- Parola?
- D'onore! - E Marianna levò la mano in un gesto solenne.
Paola parve rasserenata. - Allora, va bene. Domenica verrai con noi?
- Verrò.
- Promesso?
- Promesso.
Ormai dimentica delle lacrime di poco prima, Paola sorrise.
- Dovrai prestarmi il tuo cappello - azzardò. - Con questa faccenda dei francesi, non ho nemmeno fatto in tempo a comperare i nastri nuovi.
Marianna sorrise. L'infantile egoismo di Paola finiva sempre col suscitare in lei materna comprensione, invece di irritarla.
- Desideri altro, signorina?
Paola annuì energicamente senza cogliere il sarcasmo della domanda. - Oh, sì! Vorrei tanto che Enrico mi sposasse. E vorrei avere tanti bambini, e...
- Non una parola di più! - esclamò Marianna. - Sei stata chiarissima. Ti regalerò il manuale della perfetta padrona di casa e quello della moglie e madre ideale.
Paola rise, e Marianna le accarezzò i capelli.
- No! Così mi spettini! - esclamò lei, allontanandosi verso il salotto. - Vado da papà e da Enrico.
Marianna scosse la testa. - Stanno parlando del giornale. Lasciali un po' in pace!
Senza nemmeno rispondere, Paola sparì in salotto. Rimasta sola in sala da pranzo, Marianna indugiò un momento davanti alla tavola abbandonata. Dal salotto, le giungevano le voci del padre, di Enrico e di Paola. Poi Paola rise, e Umberto le fece eco.
Abbassò lo sguardo sul l'anello che portava all'anulare sinistro. L'anello della mamma. E le parve un simbolo di quella che era stata la sua vita, fino ad allora. Al dito al quale si porta la vera nuziale, lei aveva scelto di portare il più caro ricordo della mamma, per prenderne il posto, senza chiedere niente per se stessa.
S'incamminò lentamente verso il salotto.
- Marianna! - Enrico le veniva incontro, preoccupato. - C'è qualcosa che non va? Mi sembri un po' pallida...
- No, no. Sto benissimo. - Si costrinse a sorridere.
Paola si voltò a guardarli; era davanti al caminetto, esattamente sotto il ritratto della mamma. E sembrava quasi che la figura del quadro vivesse in lei, ringiovanita di una quindicina d'anni.
- Il dottor Riva, signore - annunciò Matilde dalla porta.
Umberto annuì. - Che si accomodi, che si accomodi. - Si rivolse a Enrico. - Sbaglierò, ma credo proprio che il nostro bravo Gualtiero ci venga a trovare con l'intenzione di proporci una specie di alleanza in funzione antifrancese.
Enrico sorrise. - È possibile.
Marianna alzò le sopracciglia. - E come pensi di rispondere a una proposta del genere?
Umberto strinse le labbra. - Vedremo. Bisogna essere prudenti.
Riva entrò in quel momento. - Parole sante, Umberto - esclamò sorridendo. - Prudenti!
Umberto gli andò incontro e lo abbracciò. - Come stai, amico mio? Accomodati. Bevi qualche cosa?
- Sì, grazie. Enrico, come state? E voi, Marianna? Oh, la nostra piccola, incantevole Paola!
Salutò tutti con espansività, mulinando le lunghe braccia nei gesti ampi che gli erano soliti. Alto, magro, con i capelli grigi e degli enormi baffoni fuori moda, Gualtiero Riva era stato compagno di ginnasio di Umberto Mazzotti.
Enrico non resistette alla tentazione di stuzzicarlo. - Brutti tempi, eh, dottore? Tutti questi francesi in giro...
Gualtiero gli lanciò un'occhiata feroce. - Fate, fate pure dell'ironia, voi, giovanotto - replicò, piccato. - Ma quel Buonaparte ci darà dei guai, vedrete, vedrete...
Umberto si accese un sigaro e tese a Riva un bicchiere di porto. - Bevi, Gualtiero, non arrabbiarti - disse bonario. - Enrico vuol divertirsi alle tue spalle.
Gualtiero sorrise, placato. - Lo so, lo so. Ma, Umberto, se il tuo vecchio cuore di unitario è nelle condizioni che io conosco, non dovresti fumare, lo sai.
- Credevo che venissi come amico, non come segaossi - replicò Umberto, ridendo.
Riva levò il bicchiere. - Alla tua, vecchio testardo - e bevve d'un fiato.
Marianna scosse la testa. - Il dottor Riva ha ragione, papà, e lo sai.
Umberto si strinse nelle spalle. - Non dico di no. - E, dopo un'ultima boccata voluttuosa, spense il sigaro in un piattino di peltro. - Contenti tutti, adesso?
Paola gli sorrise. - Bravo, papà.
E lui le sorrise di rimando.
- Signori, si è fatto tardi e vi lascio alle vostre discussioni - disse Marianna, accomiatandosi.
- Sì, hai ragione, Marianna - annuì Umberto. - È meglio che andiate a riposare. Avete avuto una giornata piena di emozioni.
Paola lo guardò con aria supplichevole. - Ma, papà! Io non ho sonno...
Lui scosse la testa. - Niente da fare. Stavolta farai come dice tua sorella. - La baciò sulla fronte. - Su, signorina, a letto.
Riva accennò un inchino, ed Enrico accompagnò le due ragazze fino ai piedi delle scale che conducevano al piano superiore.
- Buonanotte, Paola.
Lei lo fissò. - Ti ricordi di domenica, vero?
- Domenica? - Enrico la guardò, smarrito.
Lei indietreggiò d'un passo. - Non mi dirai che ti sei dimenticato!
Enrico guardò Marianna, in cerca di aiuto.
- La gita - sussurrò lei, in tono complice.
- Ah! - Resnati appariva in difficoltà. - Certo, la gita... Ma vedi, Paola... Purtroppo c'è un problema...
Paola non gli lasciò aggiungere altro. - Non si fa più! La gita non si fa più! E tu me lo avevi promesso! Promesso!
- Ma, Paola, lascia che ti spieghi... C'è una faccenda importante da sbrigare per il giornale, un imprevisto, e...
Ma lei non lo ascoltava. Gli aveva voltato le spalle e adesso stava salendo le scale di corsa, in un turbine di bianco e rosso.
Enrico si accingeva a inseguirla, ma Marianna lo trattenne posandogli una mano sul braccio.
- Lasciala andare. Piangerà un po', poi si calmerà. E domani potrai spiegare tutto. Adesso è inutile.
Lui abbassò la testa, avvilito. - Mi dispiace. Mi dispiace molto. La verità è che me n'ero completamente dimenticato. E poi questa faccenda del giornale...
Lei sorrise. - Non devi giustificarti, Enrico. Con i tempi che corrono non è proprio il caso di pensare alle gite fuori Milano.
Resnati sollevò su di lei uno sguardo adorante. - Potresti... Spiegarle tu? L'ultima volta che si è verificata una cosa del genere, mi sono anche beccato un ceffone.
Marianna scoppiò a ridere. - Ah, povero Enrico! Siamo tutti schiavi dei capricci di Paola. Va bene, le parlerò io. E cercherò di evitarti il ceffone, va bene?
Invece di rispondere, Enrico le prese la mano e gliela baciò. Le sue labbra si soffermarono così a lungo sulla pelle liscia e bianca che Marianna arrossì e ritirò la mano.
- Buonanotte, Enrico.
- Buonanotte...
E Resnati rimase immobile ai piedi della scala, le braccia lungo i fianchi, a vederla salire composta i gradini, sollevando appena l'orlo dell'abito di seta blu.

Marianna, mon amourDove le storie prendono vita. Scoprilo ora