Capitolo III

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Correva, leggera, felice. Le sembrava di non sfiorare nemmeno il suolo erboso ai suoi piedi. E quell'uomo, pochi passi più avanti, chi era? Dall'abito scuro, dai capelli grigi, dalla figura alta e massiccia, Marianna riconobbe suo padre.
- Papà! - gridò.
E l'uomo si volse di scatto.
Lei impietrì. Girandosi, l'uomo aveva subito un'improvvisa metamorfosi, e si era fatto di colpo biondo e giovane.
- Enrico?!
No, non era nemmeno Enrico, perché portava un'uniforme, i suoi capelli adesso erano neri, i suoi occhi verdi...
- Saurrois!!!
Marianna balzò a sedere sul letto, soffocando un'esclamazione.
La grande casa era silenziosa. Nella stanza accanto, Paola si era finalmente addormentata. Marianna aveva dovuto faticare non poco per calmarla. Solo la prospettiva della festa da ballo della sera successiva era riuscita a riportarle il sorriso.
Rimase un momento in ascolto. Le sembrava che la sua esclamazione, quando si era destata da quel sogno confuso e agitato, fosse risuonata nel silenzio della notte come un colpo di pistola.
Il cuore le batteva all'impazzata. Respirò a fondo e cercò di calmarsi. Che stupido sogno! Suo padre, Enrico, il capitano... Gli avvenimenti di quella giornata dovevano averla colpita più di quanto volesse ammettere anche con se stessa. Molto logico, rifletté. Aveva avuto paura per Paola. E anche per sé, naturalmente. Ma il suo cervello, di solito tanto razionale, rifiutò di domandarsi come mai aveva sognato Saurrois invece dei due francesi importuni.
Si ridistese sul letto e si costrinse a chiudere gli occhi. Nessuno era destato al suo grido inopportuno, e questo era l'importante. Il giorno dopo avrebbe avuto molto da fare, e doveva dormire.

- Non arriva! Lo vedi? Non è ancora arrivato! - esclamò Paola, avvicinandosi alla sorella con aria disperata.
Marianna alzò lo sguardo dal libro che teneva in mano.
- Chi non è ancora arrivato?
- Che cosa, vorrai dire! Il mio vestito! Ma se Madame Joséphine si è offesa per la tua scenata e non mi manda l'abito, io... Io...
- Sta' calma. L'abito arriverà.
- E se non arriva? Non potrò venire alla festa da ballo. Dovrò rimanere a casa. E ci tenevo tanto!
Marianna scosse la testa, senza muoversi dallo scrittoio al quale era seduta.
- È presto - replicò. - Sono appena le sei.
E si rimise tranquillamente a leggere la vecchissima edizione della "Divina Commedia" che la mamma le aveva regalato poco prima di morire. Quel grosso volume dalla copertina marrone le era caro come l'anello che portava al dito. La mamma lo aveva glossato qua e là con la sua grafia minuta ed elegante, costellando i margini di osservazioni acute che ne rivelavano la profonda cultura storica e teologica. Quelle osservazioni le sarebbero state utilissime scrivendo il "pezzo" di critica letteraria per il "Monitore ambrosiano".
Paola camminò per qualche minuto su e giù per la stanza, in silenzio, guardando la sorella assorta nella lettura. Poi le si avvicinò in due passi e, spazientita, esclamò: - Dammi retta, invece di leggere! Il mio vestito...!
Così dicendo le strappò il libro di mano. Colta di sorpresa, Marianna trattenne istintivamente il volume, e la pagina che stava leggendo si lacerò con un rumore secco.
Paola indietreggiò d'un passo, sgomenta, fissando la "Divina Commedia" come se si stupisse di trovarsela fra le mani. La pagina era attraversata da un lungo strappo diagonale.
- Io non volevo, non volevo... Oh, Dio, scusami, Marianna... Scusa!
Seduta, la sorella alzò su di lei uno sguardo gelido e parlò senza quasi muovere le labbra.
- Ridammi quel libro.
Paola si affrettò a obbedire. - Io... Lo aggiusterò. Rimedierò allo strappo. - Poi, vedendo che Marianna, occupata a far combaciare perfettamente i margini lacerati, non si curava di rispondere, azzardò provocatoria: - Del resto, se tu non avessi cercato di trattenere il libro, non sarebbe successo niente.
- Fuori.
- Che cosa?
- Esci dalla mia camera.
- Ma io...
- Esci dalla mia camera. - Il tono era estremamente calmo. - E fa' in modo di non comparirmi davanti per un'ora almeno. O non rispondo delle mie azioni.
In quel momento, qualcuno bussò alla porta della stanza. Paola sobbalzò.
- Avanti - disse Marianna.
Matilde si affacciò all'uscio.
- È arrivato un pacco per la signorina Paola - spiegò. - Penso che si tratti...
Paola non la lasciò finire e le sfrecciò davanti, esclamando: - Il mio vestito! È arrivato, finalmente!
E sparì giù per le scale.
Rimaste sole, Matilde e Marianna si scambiarono una lunga occhiata.
- Sarà meglio che iniziate a prepararvi per il ballo - suggerì Matilde.
Marianna strinse le labbra. - Non ho nessuna voglia di andarci.
Matilde chiuse la porta e si avvicinò allo scrittoio. Le bastò un'occhiata alla pagina lacerata per intuire chi doveva essere il responsabile dell'accaduto.
Marianna fissava ostinatamente i caratteri di stampa, come per invitarla ad andarsene. Matilde non se ne diede per inteso. - Anche se non ne avete voglia, credo proprio che dovreste andarci lo stesso - insistette. - Vostro padre ci tiene, e anche il signor Resnati.
Marianna alzò la testa. - Se ci sarà Paola con lui, mio padre non noterà nemmeno la mia assenza. Quanto a Resnati, pazienza, vorrà dire che farà a meno della mia compagnia. Sono sicura che Paola saprà consolare anche lui. - Esitò, rendendosi conto dell'involontaria amarezza delle sue ultime considerazioni, e cercò di rimediare, aggiungendo in tono indifferente: - Del resto lo sai bene, Matilde, le occasioni mondane non fanno per me.
- Invece, io penso proprio che un po' di svago vi farebbe bene - replicò Matilde, appoggiando le mani al bordo dello scrittoio e chinandosi verso di lei. - In questi ultimi tempi, avete un'aria stanca. Siete riuscita a dormire, la notte scorsa?
Marianna arrossì, ricordando il sogno che aveva fatto e il brusco risveglio. Forse Matilde l'aveva sentita gridare?
- Ho dormito benissimo - rispose, in tono neutro. Poi, per metter fine alla conversazione, aggiunse: - Comunque, ho troppo da fare. Dovrei terminare questo articolo, e andando al ballo non ce la farei di certo.
Matilde alzò le spalle. - Sono sicura che anche se lo consegnerete in tipografia domani pomeriggio invece che domattina, riusciranno lo stesso a stamparlo per tempo. Ma il ballo in occasione del fidanzamento della signorina Oldrati è un vero e proprio avvenimento. Ci sarà il fior fiore della città. E poi la signorina Oldrati vi è molto affezionata e le dispiacerebbe assai non vedervi, questa sera.
Marianna annuì. - Sì, Cecilia non me lo perdonerebbe mai. Questo è vero.
Era indecisa e nervosa. L'idea del ballo non la entusiasmava affatto, ma la prospettiva di rimanere a casa sola le sorrideva ancor meno. Quanto all'articolo, nello strano stato d'animo in cui si trovava, bene, non sarebbe riuscita a mettere insieme nemmeno una paginetta.
Con un sospiro, mise da parte la "Divina Commedia" e si alzò.
- Sia. Andrò. Mandami Rosa.
- Preferite che mi fermi io ad aiutarvi?
- No, va' da Paola. Starà già smaniando. A me basta Rosa, è una ragazza sveglia.
Matilde annuì e aprì la porta per andarsene. - Vi mando subito la cameriera.
L'altra sorrise. - Grazie. E, per favore, cerca di evitare che Paola si agghindi come una bambola di biscuit. Comincia a essere troppo cresciuta per giocare alla bambina bionda e rosa.
La governante chinò la testa e uscì.
Pochi minuti dopo, Rosa era in camera di Marianna, e reggeva con cura estrema una tunica color ametista profilata appena d'argento.
- Rosa! Non finirai mai di stupirmi, davvero. Mi convinco sempre di più che tu debba possedere qualche facoltà che sfugge alla comprensione di noi comuni mortali. Come sapevi che desideravo indossare quel vestito? - esclamò Marianna, divertita.
Rosa sorrise. Era una ragazzona dai capelli rossi, giovane e piena di zelo. Arrivata in casa Mazzotti sei mesi prima dal paese natio, Binasco, si era subito affezionata a entrambe le padroncine, ma soprattutto a Marianna. Sì, Marianna era piuttosto riservata, non parlava molto, non dava grande confidenza; ma, a differenza di Paola, non era affatto capricciosa, non perdeva quasi mai la pazienza e la trattava sempre con gentilezza e con rispetto. E poi, accontentarla era facile: quella giovane donna era sobria e abitudinaria come una vecchia signora.
- A dire la verità, mi sono permessa di far preparare questo perché vi sta così bene! Quando Matilde mi ha detto di venire da voi, ho pensato...
- Hai fatto benissimo. È pronto anche il mantello?
- Certamente, signora.
- Perfetto.
Con un sospiro rassegnato, Marianna si sedette davanti alla grande specchiera della toilette e Rosa si accinse a scioglierle i capelli.
- Come desiderate che vi pettini? - domandò.
Era molto abile, e sistemare nel modo migliore i capelli lunghissimi, scuri e lucenti di Marianna le dava una grande soddisfazione personale.
- Raccoglili in una foggia semplice semplice - rispose Marianna, intenta a trafficare col piumino della cipria. - Voglio mettermi un ampux argenteo come i profili della veste.
Rosa si fermò con la spazzola a mezz'aria. - Che cosa, signora?
Marianna sorrise. - Una specie di diadema d'argento. Come si usava nella Grecia antica.
Rosa annuì. - Ah, ho capito.
La fine del vecchio secolo e del vecchio regime aveva portato la rivoluzione anche nella moda. Il culto dell'antichità classica trasformava le signore e le signorine dell'anno 1800 in altrettante Venere, Giunone e Minerva. A Marianna piaceva la semplicità di quello stile, e col suo innato buon gusto riusciva sempre a trovare la giusta misura tra il passato e il presente.
Le dita capaci di Rosa intrecciarono e appuntarono rapidamente i capelli della padroncina. Poi Marianna indossò la tunica ametista completata da una lievissima sopravveste d'argento chiusa alla vita, calzò delle scarpette argentate senza tacco, diede un ultimo tocco al diadema d'argento che le tratteneva i capelli e si guardò allo specchio.
Rosa sorrideva da un orecchio all'altro.
- Siete una meraviglia, signora. Sembrate una fata, o qualcosa del genere. Voglio dire, non...
Marianna scosse la testa, alzando una mano per farla tacere. L'entusiasmo di Rosa la divertiva.
- Per carità. Finirai col farmi arrossire - mormorò, ironica. Ma l'immagine riflessa dallo specchio piaceva anche a lei. - Ti ringrazio, puoi andare, adesso - aggiunse, guardando la cameriera. - Hai fatto un buon lavoro.
Rosa accennò una riverenza e uscì.
Non appena fu sola, Marianna tornò davanti allo specchio e si esaminò di nuovo con cura. Poi, soddisfatta, si accinse a incipriarsi il naso.
Dalla camera accanto, le giunse uno scoppio di voce di Paola. Matilde rispondeva in tono pacato.
Lo sguardo di Marianna cadde sulla "Divina Commedia" della mamma. Irritata, la giovane donna rimase un momento immobile, poi afferrò la borsettina d'argento e uscì dalla stanza richiudendosi rumorosamente la porta alle spalle. Un altro strillo di Paola a spese della paziente Matilde le avrebbe fatto saltare i nervi. Meglio scendere.
A metà della scala, le venne incontro un Enrico elegantissimo e perfino profumato.
Marianna gli tese la mano. - Enrico! Profumi come un mazzo di rose, amico mio! E sei elegante come un cicisbeo! - Esclamò sorridendo. Poi, vedendo che le guance del giovanotto s'imporporavano, si affrettò ad aggiungere: - Ti trovo proprio comme il faut, Enrico. - E gli prese il braccio ridendo.
Enrico, un po' vergognoso, la guardava di sottecchi, adorante. - Tu, piuttosto, sei un'apparizione - replicò, cercando di usare un tono altrettanto disinvolto. Ma aveva la voce alterata. Marianna se ne accorse e, ai piedi della scala, si staccò da lui dolcemente.
- Bevi qualcosa?
- No, grazie. - Si guardò attorno, imbarazzato. - E Paola?
- Si sta preparando.
- Sono in anticipo?
- No. Sei puntuale.
Umberto arrivò in quel momento. Si era già vestito per il ballo e teneva un sigaro fra i denti.
- Buonasera, Enrico. Buonasera, Marianna.
La figlia sorrise, gli si avvicinò e gli tolse delicatamente il sigaro di bocca, dichiarando con nonchalance: - Papà caro, l'aroma del sigaro finirà con l'impregnare le nostre toilettes e faremo una pessima figura... Tu non vuoi che succeda una cosa del genere, vero?
Umberto la minaccio col dito. - Tu non sei una figlia, sei un sergente maggiore - replicò, burbero. - Non posso più nemmeno fumare un sigaro in casa mia, adesso... Al diavolo!
Marianna lo fissò. - Perché hai sprecato gli ultimi venti anni a insegnarmi a comportarmi razionalmente se poi tu per primo agisci da sconsiderato? Lo sai che non devi fumare, papà!
Umberto scosse la testa e guardò Enrico. - Lo vedi? Un sergente maggiore. Dà dello sconsiderato a suo padre. Che tempi!
Enrico sorrise debolmente. - Un sergente maggiore... Delizioso - azzardò, senza alzare la testa.
Un lampo d'interesse attraversò gli occhi scuri di Umberto. - Uhm... Sì, sei graziosa, stasera... - ammise, con un cenno d'approvazione.
- E io? Non mi trovi splendida?
Mazzotti si voltò. Sulla soglia del salotto, Paola gli fece una riverenza rapida e scherzosa e poi gli si avvicinò a testa alta. Quando gli fu davanti, girò su se stessa per far meglio apprezzare la sua mise. Indossava la nuova creazione di Madame Joséphine, un empire rosa di linea sciolta fermato sotto il seno da un nastro bianco.
- Davvero carina! - esclamò Umberto, prendendola per mano. - Un altro vestito nuovo! Ah, bambina, mi manderai in rovina, prima o poi.
Paola sorrise di rimando, per nulla imbarazzata. - Io sono giovane, papà. Devo avere tante toilettes - replicò col tono di voce di chi citi una massima di Epicuro.
Mazzotti scoppiò a ridere. - Bene, se ci siamo tutti, possiamo anche andare. Siamo già in ritardo, temo.
Enrico si mise al fianco di Marianna. - Con due dame così graziose, Umberto, tutti penseranno che abbiamo ritardato l'entrata di proposito, per farle meglio ammirare - osservò, galante.
Marianna si volse verso la sorella. - A quanto pare, Paola, questa sera il nostro Enrico è decisamente in fase galante.
- Galante o calante? - motteggiò Umberto, di buon umore.
Enrico strinse le labbra, fingendosi indignato. - Non aprirò più bocca per tutta la serata, se è questo che volete.
Marianna scosse la testa. - Impossibile. Non appena ti troverai in mezzo alla gente, non resisterai alla tentazione di trasformarti in tribuno. È il famoso morbo dell'arringatore, l'epidemia della Convenzione... - esitò e si fece seria. - Cerchiamo soltanto di ricordare che questi sono i tempi del Consolato e della Costituzione dell'Anno VIII.
Enrico annuì. - Sta' tranquilla, me ne ricorderò. - E lanciò un'occhiata preoccupata a Umberto. - Abbiamo già abbastanza problemi col giornale, senza bisogno di cacciarci nei guai per qualche dichiarazione avventata a un ballo.
Marianna fissò per un momento il padre, e colse il moto di fastidio subito trattenuto.
- Niente preoccupazioni, stasera. Voglio vedervi tutti sereni, d'accordo? E ti prego, Enrico, non parliamo del giornale, vuoi?
Per una frazione di secondo, Marianna ebbe l'impressione che Umberto le stesse nascondendo qualche cosa.
- Certo, - rispose Enrico - per stasera, cerchiamo di stare allegri.
Marianna sentì un brivido freddo lungo la schiena e si strinse addosso il mantello leggero che la cameriera le aveva messo sulle spalle. "Per stasera..."
All'improvviso, le pareva che le parola di Enrico avessero un significato sinistro, e che sulla serata gravasse l'incubo di una crudele profezia.
Anche Enrico, Umberto e Paola avevano indossato i loro mantelli.
- Andiamo? - chiese Paola, posandole timidamente una mano sul braccio.
Marianna la fissò senza vederla. L'altra pensò che fosse ancora arrabbiata per l'incidente del libro della mamma.
- Ti prego, Marianna, non essere in collera con me - le bisbigliò supplichevole, mentre Umberto ed Enrico le precedevano in cortile.
Marianna si riscosse. - No, non sono in collera - la rassicurò, sforzandosi di sorridere.
- E allora, perché hai quello sguardo strano?
La sorella maggiore scosse il capo senza rispondere. Paola non poteva capire, ma lei aveva avuto con estrema lucidità il presentimento che quella era l'ultima serata che avrebbero trascorso insieme sereni, lei, la sorella Paola, il bell'Enrico e papà Umberto.

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