I raggi del sole del primo mattino filtrano dalla finestra e percorrono l'aria fino ad incontrare il mio viso. Spalanco gli occhi, il pavimento duro mi ha accolto ieri sera quando mi sono addormentata, e devo dire di non aver dormito così male. Mi metto a sedere, guardo l'ora. Sono le otto della mattina. Mi alzo e vado in bagno. Mi spoglio dei vestiti di ieri e rimango solo con slip e reggiseno. Mi lavo il viso e mi guardo negli occhi allo specchio. Ripenso a tutto ciò che è successo ieri sera, agli occhi di Tony e a quell'ultimo pensiero prima di addormentarmi. Le mie mani bagnate scorrono sul bordo del lavandino fino a fermarsi.
"Spara."
La mano trema mentre stringo la pistola che sto puntando dritto davanti a me. L'indice indugia sul grilletto, il respiro si fa più corto. Il mio cervello si spegne, e anche il mio cuore. Non penso più che c'è una persona vera alla fine della canna, che va giustiziata. Devo farlo. È il prezzo che dobbiamo pagare entrambi. La sua anima in cambio della mia. La sua morte al posto della mia. O io uccido lui o loro uccideranno me.
"Fallo."
La voce della persona che mi sta dietro è ferma e decisa, e scommetto che se ci fosse lui al posto mio non avrebbe indugiato un secondo a sparare. Invece io ci sto mettendo troppo, penseranno che sono una insicura e che non ne sarei capace. Invece so farlo. E posso dimostrarlo.
La mano trema.
Il fiato si mozza.
Il dito preme.
Sangue.
Silenzio."Complimenti Jessica, sei pronta."
Ho ucciso una persona.
È la prima che uccido, e adesso sono ufficialmente un'assassina. Ho 20 anni e sono un assassina. O almeno è quello che pensano loro.I ricordi del mio passato, della mia prima vittima tornano a invadermi la testa, è stata la prima persona che ho ucciso e da allora non mi sono più fermata. Erano sei anni fa. No, mi sbaglio, è stata tutta la mia vita, da quando mia madre mi abbandonò per strada a tre anni e una signora che all'epoca sembrava tanto carina e gentile mi prese con sé e provò a fare di me una macchina da distruzione. Non pensava che sarei diventata così. È come un riflesso incondizionato. La mia mente si svuota e tutto ciò che voglio vedere è il sangue che scorre.
Io non sono Natasha.
Io non so fermarmi, se non mi concentro.Torno bruscamente alla realtà, ho il fiato corto e le nocche delle mani sono diventate bianche, stanno ancora stringendo il lavandino. Mi gira la testa, sono sudata. Mi do una veloce rinfrescata, mi lavo i denti ed esco quasi correndo dal bagno, mi vesto. Faccio colazione con una tazza di thè e decido di fare un giro. Cerco le chiavi di casa per circa mezz'ora, poi mi accorgo che sono sulla mensola in soggiorno, cerco il cellulare che trovo chissà perché in bagno. Assolutamente non ricordo di averlo lasciato lì, ma oggi non è la cosa principale di cui mi preoccupo. Metto le mie scarpe preferite e lego i capelli in una lunga treccia. Esco di casa, e comincio a vagare per le strade senza una meta precisa.
Cammino per quelle che mi sembrano delle ore, finché non mi accorgo di essere di fronte alla Stark Tower, il pugno alzato a mezz'aria come se dovessi bussare da un momento all'altro, cosa che non ha assolutamente senso, la porta è automatica. Non faccio in tempo a finire il pensiero che la porta si spalanca, rivelando l'immenso ingresso. Rimango inchiodata fuori, incapace di muovermi.
"Bentornata alla Stark Tower signorina Black." La voce di Jarvis mi accoglie.
Sono sempre ferma, appena sulla soglia, abbasso il braccio. Mi decido a entrare, ma non faccio neanche cinque metri che cambio idea. Vorrei essere in tantissimi posti in questo momento ma anche in uno solo: con Tony. Vorrei potergli parlare di ogni cosa, aprirmi finalmente a qualcuno e raccontargli tutto, senza mezzi termini. Ma è un pensiero stupido, avrà sicuramente di meglio da fare. E forse non è nemmeno la persona giusta con cui parlare di queste cose. Lo conosco solo da tre giorni, in fondo.
"Jarvis." Lo chiamo.
"Si?"
"Non dirglielo."
Non aspetto la sua risposta. Mi giro su me stessa, esco e ricomincio a camminare, la mente svuotata di tutto, le mani in tasca.
Vorrei tornare a casa, ma non ho voglia. Imbocco la 5th Avenue, dove si trova un delizioso baretto che ho scoperto qualche mese fa. È piccolo, ma carinissimo. Entro, James il barista mi saluta, mi ha già riconosciuto. Ordino un espresso doppio, che non tarda ad arrivare. Come al solito non parlo con nessuno, ma James sembra leggermi nel pensiero e sapere esattamente cosa ho passato e rispetta il mio silenzio, senza fare domande. Pago alla cassa e lascio una discreta mancia, giusto perché non ho voglia di aspettare il resto. Esco dal locale e sono di nuovo in marcia, oggi non riesco a sopportare di rimanere ferma. Devo sfogarmi su qualcosa.
Cammino finché non mi ritrovo all'ingresso dello SHIELD, entro in ascensore e salgo di cinque piani, dove c'è la palestra. È deserta, se non fosse per la zona dedicata alla boxe, dove un'altra persona si sta allenando.
Biondo, con gli occhi azzurri e un fisico da togliere il fiato, sta colpendo con forza un sacco.Signore e signori, Steve Rogers, meglio conosciuto come Captain America.
"Ciao." Dico, avvicinandomi.
"Ciao." Risponde, col fiatone. Smette di colpire il sacco solo per un secondo, per poi sferrare un pugno micidiale che stacca il gancio dal soffitto e fa schiantare il sacco sul pavimento a sei metri di distanza. Una leggera polverina scende dal soffitto e si va a depositare sui suoi capelli, se li scrolla mentre riprende fiato.
Che abbia beccato il giorno sbagliato o che stia solo cercando di fare colpo?
Escludo a priori la seconda ipotesi."Tu sei Jessica, vero?" Mi chiede, voltandosi e guardandomi negli occhi. Abbasso lo sguardo, aggrotto leggermente le sopracciglia.
"Solo Jess." Rispondo, con un mezzo sorriso. Sospiro, mentre mi guardo intorno. Steve recupera il sacco che ha staccato dal pavimento e lo mette su una panca lì vicino, la sua forza è sorprendente.
"Allora, come mai qui la domenica?"
"Non sapevo cosa fare." Rispondo, quasi in imbarazzo. "E poi non avevo voglia di stare ferma." Si toglie la fasciatura dalle mani, le nocche sono arrossate dalla forza dei colpi. Mi guarda, io lo guardo. La mia attenzione viene catturata dal ring poco distante, e mi viene un'idea folle.
"Combattiamo?" Chiedo, indicando il ring.
"Boxe?"
"No no, corpo libero." Rispondo con un sorriso mentre entro nel ring attraverso le strisce elastiche. Ci appoggio le mani sopra e aspetto che mi dica qualcosa. Mi guarda in malo modo, ma io faccio finta di nulla. Esplode in un sorriso mentre si guarda la mano e finisce di togliere la fasciatura sinistra.
"Non combatto con le ragazze." Dice ridendo. Adesso sono io a guardarlo male.
"Credi che non sappia combattere?" Chiedo stizzita.
"No, semplicemente io non combatto con le ragazze."
"Hai paura di farmi male, Rogers?"
"Sinceramente?" Chiede avvicinandosi al ring e guardandomi dritto negli occhi. "Si, ho paura di farti male."
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Allora.... si, fa parecchio schifo questo quarto capitolo, devo riconoscerlo, ma non mi viene in mente altro modo per scriverlo T.TComunque grazie a tutti voi che continuate a leggere la mia storia, vi sono molto grata. ^·^
A presto,
~Jess
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Frozen Heart {Tony Stark}
FanfictionJessica "Jess" Black è uguale a Natasha Romanoff. Con la differenza che lei non è Nat. Ha i capelli rossi, gli occhi verdi, ed è una spietata assassina. A differenza di Natasha sa benissimo cos'è lo S.H.I.E.L.D., ci è andata di sua spontanea volontà...