Appena uscita dalla stazione, vidi un uomo. Portava un cappotto nero, aderente, a tre quarti, che metteva in risalto la sua figura, magra e bellissima. Aveva un cappello con la visiera che lasciava intravedere il suo sguardo, penetrante e inquietante, ma, allo stesso tempo, affascinante e magnetico. Era appoggiato ad un vecchio muro, proprio sotto ad un piccolo lampione, per questo riuscii a vedere anche i più piccoli particolari. Le gambe, l'una avanti all'altra e le braccia conserte. Mi accorsi subito che, al polso destro, portava qualcosa che luccicava, probabilmente un bracciale di metallo, la cui incisione non appariva del tutto chiara, visto che, ormai, si era fatta sera. Non capivo perché mi fissasse così intensamente, con quei suoi occhi bellissimi, chiari, verdi o azzurri, non saprei dire. Mi diede l' impressione che fosse lì solo per me. Non sembrava uno del posto. Tutto in lui mandava il messaggio, inequivocabile, di volersi nascondere. Come se volesse guardare senza essere visto, come se volesse essere invisibile. Completamente statico. Rimasi sconcertata, rabbrividendo. Il fruscio degli alberi scandiva il tempo che passava. Il vento continuava a farsi sentire, ma aveva smesso di piovere. Nemmeno pochi secondi dopo, era già sparito e per quanto cercassi, non riuscii più a vederlo. Aspettai la zia Margie, solo per pochi minuti. Accidenti, aveva detto che sarebbe venuta a prendermi. Non rimasi lì ancora per molto, volevo andarmene. Le persone che erano scese dal treno, insieme a me, erano già andate via tutte ed io ero l' unica ad essere rimasta in quel posto isolato. Faceva freddo, mi affrettai a chiedere ad un passante le indicazioni per arrivare a casa Lynam. Tanto, pensai, che, in quel fazzoletto di terra, si conoscessero un po' tutti e che lei fosse l'unica ad avere quel cognome. Le mie supposizioni erano esatte perché fu facile avere l'indirizzo. Cercavo, con tutte le mie forze, di scacciare la visione di quell'uomo, ma, questa ritornava, prepotentemente, ad affascinarmi. Era reale quello che avevo visto oppure no ? Forse era stato creato dal disperato bisogno che avevo di non sentirmi tanto sola. Probabilmente lo shock che avevo vissuto e la stanchezza del viaggio mi avevano fatto immaginare tutto. O forse no. Mentre camminavo, però, avvertivo la netta sensazione, fortissima, di non essere l'unica su quel viale. Sentivo che qualcuno era dietro di me e non ricordo quante volte mi girai per assicurarmi che nessuno mi stesse seguendo. Il rumore della mia trolley faceva eco solo ai miei passi mentre il vento aumentava d'intensità ed il freddo si infiltrava all'interno delle mie ossa. Continuavo a camminare. Era, ormai, del tutto buio. Una notte senza luna, come quelle che rendono ogni particolare così importante e degno di attenzione, proprio perché non si riesce a distinguerlo bene ed abbiamo bisogno di sapere... Avevo lasciato le luci del piccolo centro già da un po'. Giunsi, poco lontano dal paese, davanti alla casa della zia Margie. Continuavo a domandarmi se fosse stato reale l'uomo intravisto fuori della stazione...Alzai lo sguardo e lui era lì, con un braccio, appoggiato al portoncino, al di sopra della testa, piegato al gomito. Mi fissava, con un sorriso, appena accennato, scuotendo, lentamente, la testa. In quel momento, le folate di vento aumentarono d'intensità. Un ramo cadde fragorosamente, feci, appena in tempo a voltarmi, per schivarlo, ma, quando mi rigirai, mi accorsi che, lui era scomparso, di nuovo. Paura ed attrazione si alternavano in me, come antagoniste emozioni, in balìa di una totale mancanza di razionalità. Provavo un sentimento strano, continuavo a chiedermi come mai non riusciva a prevalere, in me, lo spavento per quello che aver visto, per l'ignoto. Come mai mi sorprendevo, invece, a sognare? Può l'amore iniziare così, con uno sguardo rubato? Può insinuarsi dentro di noi, in un unico momento? Fino ad allora, non avevo mai creduto all'amore a prima vista, ma il ricordo di quell'uomo, non mi abbandonava. Per quanto mi sforzassi di pensare ad altro, tutto mi riportava a quell'incontro. E per quanto fosse folle, insensato, fui felice di aver abbandonato il mio mondo. Fui felice di essere lì, lontana dalla mia vecchia vita. In quel momento non avevo più paura di quello che mi attendeva. Ed ero stranamente grata al destino. Mi sentivo in colpa per questo. Avevo appena lasciato i miei genitori... Eppure, sentivo che il dolore aveva lasciato, di poco, la sua morsa. E la ragione di tutto questo era quell'essere umano, sconosciuto e indefinito. Pensai che non avrei voluto stare in nessun posto se non in quel paese, abbandonato da Dio, perché, solo in questo modo, solo grazie a questo, avrei avuto l' occasione di conoscere l'uomo con il quale avrei potuto affrontare qualunque cosa. Anche la mia estrema angoscia, anche l'ignoto. Sentivo che una nuova vita mi stava chiamando, mi stava aspettando. Diversa da tutte le mie vecchie abitudini. Sentivo, dentro di me, attenuarsi la sofferenza, perfino il mio senso di colpa, che non mi avevano lasciato un solo istante da quella sera. Da quella maledetta sera. E per la prima volta da allora, sentii nuovi pensieri. Pensieri intensi, ma leggeri, finalmente. Mi rivenivano in mente i suoi occhi chiari, stupendi, mentre guardavano me, proprio me...Possibile che fossi io l'oggetto del suo interesse? Non potevo crederlo. Io, anonima ragazza londinese. Quella che, a scuola, non era mai riuscita ad attrarre proprio nessuno, mentre le mie compagne non parlavano d'altro che dei loro attuali ragazzi. Stava capitando proprio a me? Ed, incredibilmente, straordinariamente... Sembrava proprio di si. Ero ad un passo dalla porta d'entrata della casa della zia Margie. Un passo ancora e la mia vita sarebbe cambiata... Per sempre. Mi guardai attorno, prima di entrare. Sul ciglio della strada, tra due siepi, c'era una piccola cassetta delle poste, azzurra, ed un grande rifugio per uccelli, costruito in legno, con diverse entrate. Un lato della casa era ricoperto da piante rampicanti, mentre c'erano cespugli di rose ovunque. Una casa a due piani, in pieno stile inglese, con il tetto spiovente ed il comignolo, fumante, segno indistinguibile di un caminetto accogliente, acceso all'interno. Al piano di sopra, sulla facciata trapezoidale, la classica triade di finestre al secondo piano, una per ogni piccolo lato, da cui avrei potuto vedere tutta la campagna, il bosco. Mi strinsi nelle spalle, rassegnata, come chi non ha nessun'altra via da poter percorrere. Come chi non può scegliere la propria strada, al bivio della propria vita. Chi mai potrà dire, un giorno, se siamo noi realmente a vivere o, semplicemente, siamo costretti a lasciarci vivere. Dobbiamo subire, spesso, scelte obbligate al di là della nostra volontà, al di là dei nostri sogni. E mi venne in mente una frase di Arthur Schopenhauer. Un aforisma che avevo fatto mio e che era stato alla base della mia filosofia dell' essere: "La vita e i sogni sono fogli di uno stesso libro, leggerli in ordine è vivere, sfogliarli a caso è sognare". Ed io avevo sempre preferito sognare, nel mio completo disordine. Entrai piano, timorosa. La porta era socchiusa. La spinsi con una mano. Quante paure erano con me, in quel momento, di quel giorno di un tardo autunno. Avevo visto la zia troppo tempo prima per poterla ricordare bene. La casa era accogliente, perfetta. La stanza era perfetta. Ogni angolo era perfetto. Una casa pulitissima, ordinatissima. Sorrisi, pensando a come avrei potuto sconvolgere, nel giro di pochi istanti, quell' angolo paradisiaco di perfezione. Già, non era davvero la casa dei miei sogni, non mi assomigliava affatto. " Angie, ma sei tu ? ". Mi risvegliò dai miei pensieri una voce che proveniva dalla cucina. Mi venne incontro una donna cinquantenne, un po' in carne, con i capelli castani, divisi da una riga in mezzo in due bande ondulate. Portava una collana da vecchia signora, un collo alto e pantaloni. Al collo e alla vita era legato un grembiule variopinto, usato, ma ancora in buono stato. Con i guanti da cucina stringeva una teglia, piena di biscotti appena sfornati. Posò tutto e mi venne ad abbracciare: " Tesoro, ma il treno era in anticipo ? Stavo per venire a prenderti... Come hai fatto a trovare la strada ? ". Avrei voluto dirle che non era stato difficile, visto che quel paese non era più grande del palmo della mia mano, ma, per non offenderla, risposi: "Sono contenta di rivederti zia Margie, ho chiesto in giro, credo che vi conosciate un po' tutti, qui, non è così ? ". "Bè, si, non siamo a Londra. È piccolo qui, ma si sta bene. Vedrai che anche tu ti troverai a tuo agio. Come assomigli a tuo padre, si vede che sei una Lynam... A dire la verità, assomigli anche un poco a me! Ma di Edward sei proprio la copia perfetta ". E così dicendo, mi accarezzò con una mano i capelli. "Si, me lo hanno detto in tanti. Immagino che, ora, potrai dirmelo solo tu. Ma, credo che questo non abbia più importanza, dopo quello che è accaduto ". Abbassai la testa, mentre lei continuò: "Oh bè, qui ti sbagli, cara, rimani e rimarrai sempre e comunque una Lynam. Non dimenticarlo mai, sii fiera della tua famiglia e di te stessa. Ho preparato un buon thè caldo, con questo ventaccio freddo ci sta proprio bene. Ed ora mangiamo i biscotti prima che si raffreddino. Spero che ti piacciano, anzi, confido che ti piaccia tutto qui. E spero che ti senta di far parte, di nuovo, di una famiglia, anche se, ormai, siamo rimaste solo noi due. Ma stai tranquilla, Angie, io farò di tutto per non farti dimenticare i tuoi genitori. Li ricorderemo spesso.Ti parlerò di come era tuo padre da bambino. È sempre stato il serio della famiglia, fin da piccolo. Non mi meraviglia affatto che, crescendo, sia diventato lo stimato professore di filosofia Edward Lynam ". Finì di bere il thè ed appoggiò sul tavolino la tazza vuota, seguitando, in tono affettuoso: "Ti voglio bene, piccola Angie. Te ne ho sempre voluto tanto, anche se la nostra vita ci ha permesso di vederci poco. Vorrei tanto che ti sentissi a casa, perché questa sarà la tua nuova casa, da adesso in poi " . "Non è vero !" – urlai dentro di me. Non era la mia casa. Sentii la rabbia salire sempre di più, fino agli occhi, che affogarono nelle lacrime. La zia, nel frattempo, aveva preso il mio bagaglio e lo stava portando nella mia camera, al piano di sopra, e questo mi sollevò perché potevo restare un attimo da sola. In tal modo avrei avuto il tempo di ingoiare il pianto. Ricacciare, dentro di me, tutto il dolore. Mi chiedevo come facesse lei a far finta di niente. Eppure era stato pur sempre suo fratello, deceduto, improvvisamente, in quell'incidente automobilistico. Ed era l' unica sua cognata, ad essere impazzita per il dolore, dopo la morte di suo marito. Ad essere ridotta ad un vegetale, in un letto di ospedale. Sentii la sua voce, mentre riscendeva le scale. Mi asciugai, in fretta il viso, con una mano. " Ti ho iscritta alla scuola superiore, bambina mia. Sembra che sia un buon istituto. È in paese, non puoi sbagliarti, è l'unico edificio con i mattoni rossi. Se, poi quello è un colore da scegliere per le mura di una scuola seria, questo è tutto da vedere... Da domani potrai iniziare a frequentare la scuola ". "Oh, bene, benissimo... "– riflettei-" estranei su estranei... Sarà questo, da ora in poi, il mio futuro? ". Dopo cena, andai nella mia nuova camera. Non me la sentii di disfare il bagaglio. Non avevo dubbi che, una volta aperto, avrei sparso le mie cose, un po' dovunque, mettendo tutto sottosopra. Avevo timore di turbare la pace e l'ordine di quel luogo. Mi sentivo tanto come una rivoluzionaria francese, che aveva sbagliato il suo momento storico, finendo in una qualche lontana, celestiale, isola caraibica, dove non c'è nulla di sbagliato e dove tutto è al posto giusto. Ed io non mi sentivo affatto al posto giusto. Mi chiesi quanto tempo ci sarebbe voluto prima di cambiare. Prima di perdere quelle che erano le mie proverbiali caratteristiche, da disordinata impenitente, per adeguarmi alla perfezione regnante in quella casa ed in quella cittadina. Mi domandai anche se, mai, ci sarei riuscita. Quella sera mi addormentai molto tardi, nel mio letto ordinato, nella mia camera perfetta, stanca anche dei miei pensieri. Mi svegliai, all'alba, di soprassalto, come quando cerchi di ricordare quello che ti ha perseguitato, per tutta la notte, nel tuo incubo, non riuscendoci, perché hai voluto rimuovere ogni cosa, per non soffrire troppo. Una cosa, però, era chiara, nella mia mente: il simbolo di quella voragine nera, apparsa tra i miei appunti. Quello era sicura di averlo sognato per tutta la notte. E non riuscivo a dimenticarlo, sebbene mi sforzassi a farlo.
Dallo spazio delle illusioni: Volevo caricare un capitolo per volta ogni sette giorni, perché il sette è il mio numero fortunato, ma... Non ho saputo resistere. Ho sempre pensato che, per entrare a far parte di una storia, è necessario entrare in confidenza e conoscere i personaggi uno ad uno, ma non dilungando troppo l'attesa... E' solo così che si può essere a fianco di Angie e camminare con lei verso l'ignoto che l'aspetta, avvertendo perfino il vento soffiare direttamente sulla propria pelle. E, proprio come lei, viene da chiedersi: chi sarà mai o chi potrà essere quell'uomo bellissimo che appare e scompare? Sciocco aspettare troppo. Ci sono certe tempeste che vanno attraversate senza indugio alcuno. Dopo il video, alla pagina seguente, Angie. Se continuerete a seguirmi, ad ogni capitolo troverete l'immagine di uno dei personaggi. Grazie di aver letto la storia, continuate, condividendo e commentando! :) Un abbraccio
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Antiqua - Nihil est infinitum 1° libro della saga di "Antiqua"
Fantasy1° vincitore assoluto 2017 nella categoria "Fantasy" del concorso Italian Writers Awards, (vedi "And the Winner is" in "Believe magic award", capitolo dedicato a MDChiery, con intervista. 84° in classifica "Fantasia" il 24/12/2016 e 91° il 22/0...