Avevo sentito alcuni dei ragazzi della scuola parlare del nuovo locale aperto da pochissimi giorni. Ne parlavano tutti come di una bettola, indecentemente confusa e caotica. " Bene " - il mio entusiasmo era lampante - " finalmente un posto che si discosta dalla rigida mentalità ordinata di questo borgo, dove tutto è meticolosamente prevedibile!". La mia curiosità e la mia voglia di novità erano stati stuzzicati. Non c'era molto da fare in quel paese, avevo anche il parere favorevole della zia Margie, che mi aveva ripetuto più volte di non stare sempre sui libri e di farmi nuove amicizie. Su questo aveva ragione, avevo bisogno di conoscere gente nuova. Un'altra sensazione, però, al di là della semplice curiosità, mi spingeva, sebbene non avessi ben chiaro che cosa fosse né avessi saputo descriverla. Sapevo solo di dover andare avanti. Come un automa in marcia verso il destino che l'aspetta, deciso da qualcuno al di sopra della propria volontà. Tutti erano a conoscenza che il nuovo locale apriva solo al calar del sole e rimaneva aperto fino a tarda notte. Nessuno aveva visto il pub aperto durante il giorno, nemmeno per fare rifornimenti, nemmeno per le pulizie. Presi il mio inseparabile zaino ed andai. In un paese così piccolo quel pub era diventato uno degli argomenti di conversazione più gettonati e quindi richiamava tanta gente, più per la curiosità che per la buona cucina. Seppi dopo che, si, richiamava molte persone, ma altrettante ne allontanava. Nessuno aveva detto di esserci ritornato una seconda volta. Il sole del tramonto aveva appena tinto di rosso i muri delle case, quando mi accorsi di affrettare il passo. Perché avevo così paura di non trovare posto, di non poter entrare? Non aveva alcun senso. In fin dei conti avrei potuto andare il giorno seguente, o dopo ancora. Non avrei dovuto avere fretta, ma c'era qualcosa che mi obbligava ad aumentare la velocità. Giunsi alla porta d'entrata. Una insegna logora annunciava, semplicemente, senza tanti fronzoli:"Il pub di Isa". Mi sfilai lentamente lo zaino, lasciandolo cadere nella mano destra. Ero indecisa se entrare o no. Ebbi come la sensazione, istintiva, di essere in pericolo. Qualcosa che non comprendevo... Un vento freddo mi aggirò e fece aprire, di botto, le imposte di legno nero, che scricchiolarono, sorde. Il buio della sera, aveva ormai avvolto ogni cosa, rendendola immersa in una nuvola nera. Non ricordavo di aver deciso di entrare, ma, mio malgrado, mi ritrovai all'interno del locale. A prima vista mi parve un posto inquietante. Non c'erano luci, ma solo candele, appese ai lampadari che sembravano usciti da un film sul medioevo. Sui tavoli, piccoli e, rigorosamente di legno scuro, senza tovaglie, c'erano altre candele, di quelle larghe e basse. Erano adagiate, senza troppa cura, su un letto di sabbia mista a ghiaia nera. Alle pareti non c'erano quadri, e questo metteva in risalto il muro, composto da pietre aguzze e irregolari, di colore ambrato, come il muro di cinta di un antica prigione di un castello. C'era un'unica finestra, ovale, con infissi e intelaiatura di legno, marrone scuro. L'aria era immersa in un' atmosfera scura, striata da fasci dorati, piccoli e insignificanti, provenienti dalla tenue luce di cera. Sembrava tutto, intenzionalmente, creato per uno di quei parchi a tema, misteriosi , di quelli che promettono forti emozioni. Poco distante da me, c'era un gruppo di ragazzi che beveva birra e parlava piano, sbiascicando qualche frase, ogni tanto. Era uno di quei luoghi freddi e inospitali, non solo per l'ambiente e l'assemblaggio del mobilio, ma, anche per il gelo intenso, che penetrava giù, nell'anima, facendola rabbrividire. Mi sedetti, cercando, inutilmente, di riscaldarmi vicino alle candele accese del tavolo. Mi ero accorta di essere osservata da due occhi, nerissimi, che filtravano attraverso un vecchio scaffale a quattro piani, tra file ininterrotte di bottiglie impolverate. Quello sguardo, nascosto, appariva, a tratti, distorto, dal vetro di color arancio scuro, e risultava ingrandito, come attraverso una lente antica. Stavo aspettando, già da tempo, che qualcuno venisse a prendere la mia ordinazione. E, qualcuno, alla fine, arrivò, mentre, ormai, avevo perso ogni speranza e stavo quasi per andarmene. Sopraggiunse, improvvisamente. Riconobbi gli stessi occhi, che avevano così a lungo, indugiato su di me, dietro alla bottigliera. Un poderoso fragore di boccali in frantumi annunciò il suo arrivo. Era una donna con i capelli nerissimi che le arrivavano alla vita, legati da una fascia nera che le ricopriva la fronte. Diverse ciocche, come una nera cascata di petrolio, le nascondevano la fronte e il viso. Portava pantaloni e dolcevita scuri. Mi sembrò curioso che portasse i guanti. Avrà un' allergia alle mani, conclusi, oppure vuole trasmettere un' aria dark, in linea con il locale. Raccolse in fretta i resti dei cocci. Pulì sommariamente in terra, lasciando qualche vetro sul pavimento di legno. "Che cosa ti porto?". Mi chiese, abbassando il capo ed alzando gli occhi verso di me. "Non saprei, che cosa avete?" . Bisbigliai. Il suo sguardo penetrante mi faceva venire la pelle d'oca, mi paralizzava. Vedendo che la risposta alla mia domanda non arrivava, chissà poi per quale motivo, sentii, allora, il bisogno di spiegare il motivo della mia scelta: "Ho un po' fame, prenderei un panino, si, decisamente un panino... Voglio dire, qualsiasi panino, per me, va bene ". Tornò poco dopo, con il sandwich più confuso che avessi mai visto. Dal pane, tagliato irregolarmente, usciva fuori di tutto: fettine di bacon miste a pezzi di frittata e qualcosa di non ben definito che sapeva di pesce, avvolto da foglie di una verdura, che assomigliava all' insalata. Lo girai e rigirai tra le mani, perché non sapevo davvero da quale parte addentarlo tanto era spesso. Bhè," - farfugliai tra i denti – " sembra un avanzo, forse anche mangiato e risputato da qualche malcapitato, come me.". Lei mi era rimasta davanti e, senza preamboli, sentenziò, senza diritto di replica: " Scusa, dovresti pagare in anticipo. Sai molti vanno via a metà cena ". Ed indicò con la testa diversi tavoli, rimasti vuoti. In effetti, erano ricolmi di ogni forma di cibo, appena assaggiata, accatastata sui piatti, mentre i bicchieri erano ancora mezzi pieni. "Ah, va bene.". Tirai fuori una banconota, aspettando il resto. Lei iniziò a tirar fuori di tutto dalla borsetta che aveva a tracolla: tappi di bottiglia, fazzoletti di carta, una penna mordicchiata, un notes, unto e mezzo strappato... ma di monete neanche l'ombra. Ad un certo punto, durante uno dei movimenti veloci e scomposti, le si sfilò un guanto. Si voltò di colpo, lasciando tutto quel ciarpame sul mio tavolo, cercando di infilarselo, di nuovo e in fretta. Forse avevo visto male, ma mi era davvero sembrato che le sue mani non fossero normali, solcate da una fitta rete di vene, di un colore non verde-azzurro, come ogni essere umano, ma molto più scuro. Vene strane e in rilievo, con piccole escrescenze cornee, simili alle spine di un intricato cespuglio di rovi. Si voltò, di nuovo, verso di me e, a quel punto, scorsi, anche sulle tempie lo stesso inquietante particolare anatomico, sotto alla bandana, che si era leggermente spostata. I miei occhi non riuscivano a smettere di fissare quei rovi e fu allora che lei, si aggiustò, in fretta, sulla fronte, la fascia nera, calandola, il più possibile, sugli occhi. Con l'intenzione, malcelata, di fingere di non essersi accorta, assolutamente, di quello che avevo visto o avevo creduto di vedere, farfugliò qualcosa, appena percettibile: "Sembra una maledizione, ma, quando cerchi qualcosa, non la trovi mai. Dovrò decidermi, un giorno di questi, a mettere un po' di ordine, ma non ho mai il tempo di farlo!". Rise di una risata sguaiata, come se, per lei, quella situazione fosse più comica che imbarazzante. Si frugò nelle tasche dei pantaloni e poi, in quelle del grembiule e, finalmente, mi diede il resto. "Grazie.". Apostrofai, raggelata. Lasciai il panino nel piatto, dopo avergli dato un solo morso. Era davvero immangiabile. Mi alzai e me ne andai, giurando a me stessa che non avrei, mai e poi mai, rimesso piede lì dentro. Uscii, e, mi voltai, un momento, a rivedere quel luogo, come a volerlo stampare nella memoria, per non incorrere, mai più, nel desiderio di ritornarci. Fu allora che mi accorsi, che la cameriera mi stava, nuovamente, fissando dalla finestra di quel tugurio. Feci alcuni passi, incerti, e sentii una forza irrefrenabile, dentro di me, che mi obbligava, di nuovo, a girarmi, paventando quello che avrei visto. Lei era ancora lì. Mi parve di intravedere, attraverso i vetri scuri, il gesto della donna, che sembrava di sfida, nell'atto di togliersi la bandana, mentre un sorriso maligno, le illuminava di sconcerto il volto, livido. Mi sembrò, allora, di scorgere, come poco prima, nel locale, il suo viso, solcato, interamente, da rovi neri, profondi, al di sotto della pelle, intricati e spinosi, nascosti, a tratti, dai capelli lunghi, che ondeggiavano, sotto l'azione di un vento forte ed incessante. Vento che non aveva mai smesso di soffiare, intenso, come l'ululato di un lupo, che, dapprima intrappolato in gabbia, sfoga la propria sofferenza, abbattendosi con rabbia feroce sulle imposte, facendole scuotere e fischiare ed in seguito, rinnovando il richiamo selvaggio, gridato con potenza, attraverso una corsa folle, ebbro della piena libertà.
Nell'immagine, dopo il video di youtube, Isa.
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Antiqua - Nihil est infinitum 1° libro della saga di "Antiqua"
Fantasy1° vincitore assoluto 2017 nella categoria "Fantasy" del concorso Italian Writers Awards, (vedi "And the Winner is" in "Believe magic award", capitolo dedicato a MDChiery, con intervista. 84° in classifica "Fantasia" il 24/12/2016 e 91° il 22/0...