Era il mio primo giorno di scuola, in quel piccolo borgo inglese. Rimasi confusa, di fronte all'edificio. Una piccola scuola di provincia, fatta di mattoni rossi, composta da un unico piano, tanto pochi erano gli studenti. Prima di entrare, feci un respiro prolungato. Potevo assaporare ancora la mia libertà. Avevo ancora la possibilità di tornare indietro. In questo modo non sarei stata obbligata a subire una compagnia che non volevo. Ricordavo i miei amici di Londra, in lacrime perché dovevo andare via. Anche io piangevo, mi erano stati strappati via anche loro. "Ci scriviamo...". Ci eravamo assicurati. Ma, si sa come vanno queste cose, con il tempo e con la lontananza, si perdono i contatti. I ricordi no, quelli non potevo permettermi di lasciarli andare. Li avevo tutti con me, mentre varcavo la candida soglia di quell'istituto. Pulito ed ordinato, come la casa della zia. "Oh Dio !"- pensai-" ma che cosa avevano tutti in quel paese?". Mi tornavano alla mente i corridoi della mia scuola londinese, così piacevolmente disordinati. Macchie stupende di colore, sugli appendiabiti, sugli zaini da cui risaltavano spillette, mini-pelouches e piccoli oggetti di tutti i tipi. E, nelle classi, seduti sui banchi, i ragazzi, che davano le spalle alla cattedra per comunicare meglio tra di loro. Vestiti in modo provocatorio, sciarpe con i teschi, braccialetti e cappelli particolari. Piercing e tatoo erano considerati naturali. Lì l'originalità era la regola fondamentale, guai a non allinearsi con essa. Un grande aria di libertà, al di fuori degli schemi. A Londra, nulla era in ordine o scontato. Niente era predisposto. Mi sentivo come l'ultimo dei sopravvissuti di una civiltà libera, obbligata ad entrare dentro schemi rigidi, comandati da regole specifiche e soffocanti. Avrei dovuto compiere un bel salto dalla trasgressione alla banalità della consuetudine. Ero ancora in tempo per tirarmi indietro. Ma il pensiero della zia Margie e, soprattutto, dei miei genitori, che tenevano a farmi prendere un titolo di studi compiuto, mi bloccò dallo scappare. Mi feci coraggio ed entrai. Il bidello mi aveva fatto un cenno, senza scomporsi, senza dire una parola, indicandomi, con un dito, l'aula dove sarei dovuta andare. Mi guardavano tutti. Ero l'attrazione del momento, in un paese, in cui la normalità sembrava essere l' unica cosa costante. Senza dubbio, avrebbero avuto qualcosa di nuovo di cui parlare ed era evidente che non avessero tante occasioni di quel tipo. Si capiva perché non volessero perdere neanche il più piccolo dei particolari, che mi riguardava. Mi sedetti al banco, da sola, misi lo zaino nel posto accanto al mio, per evitare qualunque vicinanza imbarazzante. Non mi importava di integrarmi. Io non ero come loro. Non mi sentivo di far parte di quella comunità. Potevo sentire le risatine, le occhiate curiose, di sfuggita, dei compagni su di me, sopra quella povera ragazza orfana, sfortunata. Non volevo la loro compassione, né il loro appoggio... Non li volevo e basta. Li avrei odiati comunque, anche se fossero state le più brave persone del mondo. Per fortuna, il mio disagio fu interrotto dall'arrivo di una donna alta e grassa, vestita ed ingioiellata poco elegantemente. La professoressa Mary Ann Pinkije. Era la preside. Mi presentò alla classe, dandomi il benvenuto, in modo sbrigativo. Si intuiva che avrebbe avuto qualcosa di più importante da annunciare. Si mise davanti alla porta con l'atteggiamento di chi ha da rivelarti la storia del secolo. Che cosa sarebbe mai potuto accadere di così eccitante, in quella scuola di provincia ? Facendo tintinnare i numerosi bracciali, allargò il braccio destro, in un gesto, a dir poco, plateale, nel presentare alla classe il nuovo professore di storia, il prof. Juan Abre, esperto in lingue antiche, come il latino ed il greco. Avrebbe sostituito l'insegnante uscente, trasferito in un altro liceo. La donna, la cui mole, fino ad allora, aveva nascosto il nuovo arrivato, uscì, permettendoci, finalmente, di vederlo. "Perfetto ! " - mi dissi, mentre cercavo di nascondere il viso dietro la mano, nella mossa, improvvisata, di grattarmi la fronte. Riconobbi subito il ragazzo che avevo incontrato scesa dal treno e che mi aveva aiutato a raccogliere gli appunti. Pensai che, forse, ci sarebbero state buone possibilità di non essere riconosciuta, visto che, il giorno del nostro primo incontro, portavo un baschetto calato sugli occhi, per proteggermi dal vento freddo. Il nuovo professore aveva l'inconfondibile aspetto di un ragazzo latino, probabilmente spagnolo, con i capelli, corvini e lisci come il piumaggio di un merlo maschio, ben pettinati. Gli occhi dalle ciglia lunghe, nerissimi e dai riflessi quasi blu, ricordavano un lago notturno, circondato da un'alta vegetazione. E come il vento accarezza ed increspa le onde bluastre, aumentandone il fascino, così il suo dolce imbarazzo, di fronte alla nuova classe, gli suggerì di passarsi le dita tra i capelli, che si spostarono leggermente, per tornare immediatamente dopo di nuovo in piega. Il volto magro e bellissimo, dai lineamenti delicati ed attraenti era come se fosse illuminato dal suo sorriso dolce e rassicurante. Aveva in mano il registro, il vestito era impeccabile, come quella volta, alla stazione. Lui si, che si sarebbe adattato alla perfezione assoluta della casa della zia Margie, di quella scuola e di tutto quel paese. Immaginavo molto più in linea lui con quello stile ordinato rispetto a me. Così giovane eppure così sicuro di sé. Iniziò a chiedere dove fossero arrivati con il programma. La totalità delle ragazze, mentre rispondeva, lo guardava, con occhi sognanti. Lui non sembrava affatto a disagio. Secondo me, non se ne era nemmeno accorto. Era, sicuramente una di quelle persone serie, tutte dedite allo studio ed al lavoro. Continuava a parlare, infervorandosi per i grandi momenti storici che stava descrivendo. Personaggi che prendevano vita, nella sua lezione entusiastica. Guardandomi attorno, vidi l'attenzione e l'interesse crescere tra i miei coetanei. E quel silenzio, mi sembrò così irreale, così distante, così diverso dalle rumorose ore trascorse alla scuola di Londra. In quanto a me, cercavo di evitare il suo sguardo, fissando, fuori della finestra, la nebbia che avvolgeva qualunque cosa. C'era nebbia anche a Londra, ma almeno, a colorarla, c'erano le luci delle insegne, dei semafori, dei cartelloni pubblicitari, del movimento, caotico, di una grande città. Quel paese, invece, sembrava avvolto da qualcosa in grado di fermare lo scorrere del tempo. Come se tutti fossero stati sospesi su di una nuvola. Come se il ritmo stesso della vita si fosse bloccato, come se fosse stato intrappolato nella più totale staticità. Entrando a far parte di quella comunità, anche io mi sentivo fuori dalla realtà, disorientata e confusa. Ad un tratto, vidi distintamente, sui vetri appannati della finestra della classe, una linea, che si attorcigliava, lentamente, su sé stessa, formando la stessa spirale, che avevo visto tra i miei appunti, alla stazione. Come un serpente che si acciambella su sé stesso e che vede comparire, tra le sue spire, una fitta rete di spine, che lo fanno sanguinare. Iniziarono a colare, da quel simbolo, impresso sul vetro, diverse strie di sangue, che solcavano e coloravano la nebbia, fuori dell'aula. Ero rimasta immobile a osservare la scena, che stava diventando davvero inquietante. Mi venne istintivo di distogliere lo sguardo, almeno per un attimo, ma la curiosità ed il desiderio di sincerarmi se fosse stato reale quello che avevo visto oppure no, mi obbligò a rivolgere, di nuovo, lo sguardo alla finestra. Nel tentativo di proteggermi mi ero messa involontariamente, con le braccia conserte ed avevo nascosto la bocca ed il naso con una mano. D'un tratto i vetri si spalancarono con forza, forse per il troppo vento, ed uno dei miei libri si tinse di macchie rosse. Il professore si alzò di scatto e si precipitò a chiudere le imposte: "Bel tempo, qui, in Inghilterra, eh? Preferivo sicuramente la mia Spagna!". Era accaduto tutto così in fretta da non darmi il tempo di razionalizzare e di pensare. Mi chiedevo, come alla stazione se avessi sognato ogni cosa o se fosse stato reale. Una forza, dentro di me, mi obbligò a tornare a guardare il simbolo apparso poco prima. Solo allora mi resi conto che si era animato e come prima erano nate, le spine, ora stavano sparendo, lentamente, lasciando il posto a piccole ali bianche, che avrebbero spazzato via il colore rosso. Il colore della nebbia, a quel punto, era ritornata bianca, come il mio libro sul banco. Non mi riusciva di dimenticare quel sangue...quel rosso vivo... Non mi accorsi nemmeno quando suonò la campanella che decretava la fine delle lezioni, tanto ero distratta. Sobbalzai quando il professore mi si avvicinò. Solo allora, guardandomi attorno, realizzai che tutti i miei compagni erano già usciti dalla classe, e che, forse, avrei dovuto seguire il loro esempio. Si, ma da quanto tempo erano andati via? Il nuovo insegnante di storia ruppe il ghiaccio, facendomi capire, chiaramente quanto la mia speranza di non essere stata riconosciuta fosse stata vana. "L'hai visto, di nuovo, vero?". "Che cosa?". Risposi interrogativamente, stupita del fatto che qualcuno avesse, consapevolmente, assistito alla scena, che credevo fosse solo frutto della mia immaginazione. Lui si accorse del mio sconcerto e preferì, quindi, far finta di niente e cambiare, immediatamente, discorso. "Insomma, ci si rivede ". E, vedendo il mio ostinato silenzio, seguitò a cercare di distrarmi: "Incredibile!". E colpì, sonoramente, i palmi delle mani, l'uno contro l'altro, cercando di distogliere la mia attenzione, fissa su pensieri terrificanti, per rivolgerla a qualcosa di più frivolo. " La prima persona che ho incontrato, appena sceso dal treno, è la stessa che condividerà la mia classe ed il mio disorientamento in un paese sconosciuto... ". Aspettava una mia risposta che tardava ad arrivare. Per cui riprese a parlarmi. Stava davvero facendo di tutto per cercare di rincuorarmi. " Voglio dire sconosciuto anche a lei... No ? ". Dovevo rispondere, in un modo o nell'altro. Stavo facendo la figura dell' asociale e per di più pazzoide e questo non mi andava bene. " Eh già, insomma, bè, io..." Bisbigliai, toccandomi i capelli con due dita, mentre con l'altro braccio mi cingevo la vita, come ad indossare un rassicurante salvagente. Non volevo parlare affatto del simbolo sia perché, anche solo il parlarne mi avrebbe messo ancora più paura e sia per non apparire davvero pazza, se si fosse trattato di una mia pura allucinazione. Mi ripresi, cercando di darmi un tono normale. " Io, si...Insomma, volevo scusarmi per il contrattempo, alla stazione. Di solito non sono così strana... Cioè così imbranata... E, comunque, non è stata colpa mia... ". Stavo accampando delle giustificazioni per fargli cambiare il giudizio negativo, che, sicuramente, si era fatto di me.Tanto sapevo bene che si era già fatto l' idea che aveva di fronte una sbadata demente. Ma continuai nel mio intento di apparire migliore di come ero, in realtà: " É stato il vento, quel vento improvviso, a far volare i miei fogli...Giuro, di solito, me la so cavare... E anche bene... ". Le mie più che scuse sembravano suppliche. Lui interruppe il mio imbarazzo, sorridendo: " Ehi, tranquilla. Può capitare... O, meglio, capita se gli appunti non si ripongono, in ordine, in una cartellina, chiusi per bene, allora ci vorrebbe un tornado per farli volare via, no ? ". La sua risata si spense quando vide che io non ridevo affatto. Avevo davvero fatto colpo, perché mi sembrò che mi prendesse in giro. " Già, la prossima volta starò più attenta, professore ". Dissi stizzita e seccata. Mi avevano infastidito la figuraccia che avevo fatto, alla stazione, e le sue lezioni sull'ordine. Caspita, era un professore di storia, non certo di buone maniere. " Oh, ti prego, chiamami Juan, altrimenti mi fai sentire vecchio e, in fin dei conti, abbiamo solo pochi anni di differenza ! ". Era dritto davanti a me, aspettando un mio cenno, un mio gesto amichevole, che non giunse. Forse voleva continuare a conversare, ma non sapeva nemmeno lui di che cosa. E certo io, in questo, non lo stavo aiutando affatto. " Allora ci si rivede...Angie Lynam. ". Scandì il mio nome, nel tentativo di attrarre la mia simpatia, mentre io riponevo, velocemente, tutti i miei libri nello zaino. Il mio atteggiamento freddo e distaccato lo frenò. Non avevo alcuna voglia di starlo a sentire. Ma, forse ero stata un po' troppo dura con lui. Veramente ero stata un po' troppo dura con tutti, ma a volte, il timore sa tramutarsi in un totale rifiuto verso tutto ciò che di nuovo si presenta. Ed io, in quel momento ero davvero spaventata. L'imbarazzo che provavo mi aveva trasformata in una vera maleducata, soprattutto verso di lui. In fin dei conti, non era stato poi così sgarbato. Aveva parlato più con l'intenzione di fare lo spiritoso che di offendere. Comunque, aveva ragione su una cosa: eravamo i due unici stranieri, giunti nello stesso momento in quel borgo inglese. Unici a non conoscere nessuno. Unici a non sapere nulla di quel luogo. Strana la sua offerta di solidarietà. Forse anche lui era a conoscenza di quei simboli, forse ne sapeva molto di più di quello che appariva, ma, se mai fosse stato così, lo stava nascondendo abilmente. Si limitò a ripetere, alzando una mano in cenno di saluto: "Allora ci si rivede... ". Lo guardai per un secondo. Annuii, ed abbandonai la classe. Che tipo furbo, pensai, come potevamo non rivederci... Era il mio professore di storia ! Lo avrei, per logica, dovuto rivedere tutti i giorni, a meno che non fosse stato ritrasferito da qualche altra parte. Il signor "perfettino, sempre in ordine", non si era reso conto di aver detto una cosa del tutto ovvia. "Ci si rivede... Ci si rivede...". Quelle parole, ora, piuttosto che darmi fastidio, mi erano, stranamente, di conforto. Mi avrebbero fatto sentire meno sola e meno impaurita.
Dallo spazio delle illusioni: E il simbolo riappare... Di nuovo. E di nuovo viene cambiato all'ultimo momento da una mano invisibile. Non avete idea di quello che vi aspetta e di quali saranno gli sviluppi nella storia :D ma io che li conosco perfettamente, vi dico: non fermatevi, continuate a leggere! Non vi deluderò. Alla pagina seguente dopo il video l'immagine di Juan Abre, il nuovo professore di storia. Bono, eh XD? Perché ancora non avete visto l'immagine del quarto capitolo che caricherò successivamente! A presto. Non dimenticatemi! Condividete con gli amici. :) Un abbraccio
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Antiqua - Nihil est infinitum 1° libro della saga di "Antiqua"
Fantasy1° vincitore assoluto 2017 nella categoria "Fantasy" del concorso Italian Writers Awards, (vedi "And the Winner is" in "Believe magic award", capitolo dedicato a MDChiery, con intervista. 84° in classifica "Fantasia" il 24/12/2016 e 91° il 22/0...