Non avevo capito, fino al momento del messaggio, quanto in realtà mio marito fosse malato. Di sicuro non era un uomo come gli altri, e questo l'avevo capito pressoché in fretta. Ma che addirittura arrivasse a minacciarmi di morte per messaggio... non riuscivo a crederlo possibile.
E invece l'ha fatto. Sinceramente, con gli occhi ancora fissi su queste parole, non so se ridere per quanto è ridicolo, o disperarmi. Non faccio nessuna delle due cose, riesco solo a sentire un brivido silenzioso percorrermi la schiena, che cerca di avvertirmi di non prendere questa situazione sotto gamba.
Ma non voglio rinunciare a tutto questo, anche se lo possiedo da poco più di un giorno. La mia ritrovata libertà, al momento, è la cosa più preziosa che ho e non voglio perderla. Non voglio ritornare ad essere la schiava sessuale di un uomo represso e maniaco.
Tuttavia, la parte più razionale e calcolatrice di me mi consiglia ardentemente di nascondermi e scappare, ancora. Probabilmente ha ragione, poiché, per quanto Thomas odi gli ospedali e i medici, potrebbe essere capace di farsi trovare qui per incastrarmi, considerando che è l'unico indizio che conosce di me.
Solo in questo momento, alzando lo sguardo dalle parole sul display illuminato, ricordo di ritrovarmi nella stanza 164, quella di Justin. Avrei voluto parlare ancora un po' con lui, ma devo andare: ho un brutto presentimento.
«Scusami Justin, ma è meglio che vada. Ho ricordato di avere dei servizi da sbrigare, a domani!», gli dico, cercando di mascherare l'ansia della mia voce. Probabilmente lui non mi sente nemmeno e non c'è alcun motivo di preoccuparsi di questi dettagli, ma mi piace pensare che sia il contrario.
In silenzio apro la porta della stanza e non so nemmeno il perché di questa mia accortezza. Lì incontro Linda, accompagnata da una donna decisamente più grande di lei che non ho mai visto prima.
«Dottoressa, la stavo cercando!»
«Scusami, Linda, stavo controllando i valori del mio paziente», dico salutando con un cenno sia lei che la sua accompagnatrice.
Mi sento come se fossi stata colta con le mani nel sacco, inspiegabilmente. Mi sono sentita in obbligo di giustificarmi, ma mi convinco che stavo solo facendo il mio lavoro. E non c'entra nulla il fatto che io senta un certo legame con il mio nuovo paziente, è comunque solo lavoro.«Non si preoccupi», mi rassicura lei. «Volevo presentarle una persona che vorrebbe parlarle, la signora Melissa Pool.»
Il suo nome mi risulta familiare, ma, al momento, a causa dell'ansia e di quel poco di adrenalina che inizia a scorrermi nelle vene, non riesco proprio a ricordare dove l'abbia già sentito.
«Mi farebbe molto piacere, signora Pool, poterle parlare. Ma al momento sono un tantino impegnata, potremmo rimandare... a domani, magari?»Mi sento un verme, dopotutto questo fa parte del mio lavoro e io lo sto lasciando perdere per continuare a scappare da mio marito... però ho troppa paura che lui possa trovarmi e avere la possibilità di realizzare quello che ha scritto in quel sms.
La signora mi guarda con espressione confusa. «La prego! In questo ospedale sembro non contare per nessuno, mio marito è morto e mio figlio ora è senza un benedetto padre, e se lei, che è l'unica persona che potrebbe darmi una mano, non vuole aiutarmi, cosa farò?», urla disperata, scoppiando in un pianto fatto di alti singhiozzi. A vederla così, mi si stringe il cuore. Ma più di tutto, decido di fermarmi a causa di quel piccolo bimbo indifeso. Posso immaginarmelo, soffrire per qualcosa che non riesce ancora nemmeno a capire, come è successo a me quando mamma ha smesso di popolare questa terra.
«Melissa, la prego, non pianga! D'accordo, cercherò di aiutarla, ma deve dirmi lei come perché non ne ho la minima idea. Suo marito era uno dei miei ex pazienti, per caso?»
«No, non credo abbia avuto bisogno di un medico visto che è morto sul colpo in un incidente stradale.»
E solo ora capisco chi è. La moglie dell'uomo morto a causa di Justin, e, senza un valido motivo, provo uno strano senso di colpa.
«Come potrei mai aiutarla, allora?» chiedo confusa.
«Il suo corpo è in obitorio e non vogliono farmelo vedere. Non vogliono restituirmelo, come se ci fosse ancora tanto da scoprire, ma cazzo, è morto! Non si può fare più niente», dice, continuando a piangere. Forse non si rende conto che il tono della sua voce sta diventando troppo alto, ma non posso dirle di soffocare il suo dolore, è giusto che si sfoghi, anche se con me. Però molte persone in questo reparto iniziano a fissarci con sguardi non molto comprensivi, cosi faccio cenno a Linda di andarsene, facendole capire che me la caverò da sola.
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The Cure || Justin Bieber (#Wattys2016)
FanfictionAll the rights deserved to @miperdoinjustin Cover by @DYVLAN24 Ashley ha il lavoro dei suoi sogni. Quando è in ospedale a curare i suoi pazienti si sente felice, al riparo. Il problema sorge quando è costretta a tornare tra le mura di casa sua, dove...