XV

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Ho vomitato tutto. Quel misero pranzo durante la pausa dal lavoro, una schifosa ciofeca dal bar dell'ospedale, e tutti i succhi gastrici. Non riuscivo a smettere, e nemmeno volevo. Dovevo purificarmi, forse quello era l'unico metodo per farlo. Mi facevo schifo, in un modo indescrivibile. E no, non solo perché gli avevo permesso di stuprarmi ancora una volta a causa della mia debolezza, ma perché mi ha obbligato a fare qualcosa di ancora più schifoso che non ho nemmeno il coraggio di ricordare. Come ho potuto. Come ha potuto.

Sono passate tre settimane circa da quel giorno e la situazione non si direbbe per niente migliorata. Voglio fare qualcosa, lo voglio davvero. Non so quante volte l'ho pensato in questi anni, forse troppe, e nessuna di quelle volte sono riuscita a fare realmente qualcosa. Ma perché mi risulta così complicato? Dovrei semplicemente alzare la cornetta e dire quello che mi fa. Non dovrebbe essere difficile. Eppure c'è sempre quella maledetta paura che mi blocca. Quel timore che lui possa farla franca come sempre e che possa venire a cercarmi e riportarmi con la forza da lui. È troppo rischioso. Dovrei scappare, ma scappare sul serio, sta volta. Non basterebbe più rifugiarsi nella casa di campagna di un'amica. Un'altra città, un altro paese. Si, sarà il mio sogno nel cassetto.

Per un paio di notti, dopo averlo lasciato fare, ho provato ad allontanarmi per andare a dormire di sopra. Non volevo averlo vicino più del dovuto. Ma non ho potuto, mi ha preso con un braccio per i fianchi, facendomi stendere di nuovo con la forza. E alla fine ho rinunciato anche a quella piccola libertà. E ora sto qui ad aspettare che il sole sorga come ogni giorno, così da potermene andare al più presto. Certo, senza più Justin all'ospedale sarà tutto diverso, non avrò un amico con cui parlare, dovrò solo concentrarmi nel mio lavoro e nient'altro.

È uscito circa due settimane fa, e da allora non ci siamo mai sentiti. Non sento la sua voce da tutto questo tempo e mi manca da morire. Volendo, avrei anche il suo numero di cellulare a cui poter chiamare, ma non posso. Il primario è stato piuttosto chiaro quando mi ha informato delle parole dei signori Bieber. Dopo aver fatto firmare a Justin i documenti per le dimissioni, si sono trattenuti più a lungo con lui, parlando delle varie terapie che avrebbero dovuto fare dopo aver tolto il gesso. E mentre l'uomo diceva loro di non preoccuparsi, perché tanto li avrei accompagnati io alla prima seduta, come facevo con ogni paziente, e non avrebbero dovuto temere nulla, i coniugi si sono subito agitati, dicendo che non c'era bisogno, che avrebbero fatto tutto da soli e che non avevano bisogno di me. Al primario la cosa puzzava a tal punto da venirmelo a riferire, e sinceramente anche a me.

«Hai combinato qualcosa?», mi chiese qualche giorno dopo l'accaduto, appena finito di raccontarmelo.
«Non che io sappia. Ho fatto di tutto per loro, come faccio sempre. Non so come potrei aver fatto loro una cattiva impressione.»

«Forse non saranno semplicemente abituati ai tuoi modi di fare un po' più amichevoli rispetto allo standard», sembrò riflettere, ma questo semplice pensiero mi mandò in tilt, forse consapevole di essere colpevole. Okay, forse era vero che ero amica di loro figlio, ma c'era bisogno di ignorare l'aiuto in questo modo?

«Sarà», risposi, cercando di rimanere calma.

Mi dico di non pensarci, di non farmi inutili film mentali, ma è più forte di me. Perché in fondo ho paura che anche Justin pensi le stesse cose di quei trogloditi dei suoi - senza offesa, ovviamente. Altrimenti mi avrebbe già chiamato, o no? Non è un bambino di dieci anni, i genitori non possono comandare le sue azioni fino a tal punto. Deve esser per forza d'accordo con i suoi... Smettila Ashley!

Sbuffo irritata e finalmente un po' di luce inizia ad illuminare la stanza, passando per i piccoli fori degli infissi. È un orario decente per alzarsi, così non perdo tempo e mi fiondo sotto la doccia, consumandomi la pelle per bene come ogni volta. Indosso poi dei jeans leggeri ma scuri, con sopra una camicetta gialla. Morirò di caldo, ma non posso, purtroppo, presentarmi in costume da bagno, anche se mi piacerebbe particolarmente. Nel frattempo, mentre scelgo la colazione dalla dispensa, Tommaso mi sorpassa da dietro, ordinandomi con la solita poca gentilezza di andare a fare il test. Oh, era quel giorno della settimana. Mi passa immediatamente la fame, quindi richiudo la dispensa senza scegliere niente. Prendo il test tra le mani evitando il suo sguardo, mentre per l'ennesima volta mi rovina la giornata. Perché diamine si ostina a continuare questo teatrino del cazzo? Non si rende conto che dopo anni non rimango ancora incinta? Non ci vuole rinunciare? Dio, perché proprio io, ah? Cosa ho fatto di male per meritarmi questo?
Non c'è nemmeno da sperare ormai che non sia incinta, perché come sempre il test non mi delude. Scendo di sotto e questa volta cerco di sembrare calma nel consegnarglielo. Gli da una veloce occhiata e poi borbotta qualcosa di incomprensibile.

The Cure || Justin Bieber (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora