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Dire che non mi sarei mai aspettata di vederlo lì era un eufemismo. Vorrei avere il tempo per potermi chiedere come cavolo abbia fatto a trovarmi. Non avevo notato nessuno seguirmi mentre tornavo qui... Ma purtroppo non ce l'ho, anzi, devo evitare di pensare e reagire in fretta. Concentrati e trova un modo per salvarti, mi dico.

«Che ci fai qui?» chiedo con voce tremante, mentre faccio un paio di passi indietro preoccupata dalla vicinanza del mostro. Allungo la mano verso sinistra e afferro la prima cosa che riesco a vedere con la coda dell'occhio. Non posso perderlo di vista nemmeno per un secondo se non voglio dargli la possibilità di farmi del male. A contatto con la mia mano, capisco che l'oggetto è una sorta di statuetta intagliata, o forse un piccolo candelabro.

Lo brandisco in avanti, come se così potessi crearmi uno scudo e proteggermi tutta. Ma lui non impiega molte forze a stringermi il polso in una morsa così forte che mi costringe a lasciar cadere la mia arma dalle mani. Si piega velocemente per prenderlo, e se le gambe me lo permettessero potrei provare a scappare, sorpassandolo, per poi chiuderlo dentro a chiave, chiamare la polizia e vederlo marcire dietro le sbarre, ma è come se i miei tacchi si siano trasformati in chiodi, intrappolandomi al pavimento.

Così nel frattempo si rialza, e adesso quella è la sua arma. Mi si forma un enorme groppo in gola al solo pensiero di quello che potrebbe farmi con quello. Se lo fa saltellare un paio di volte sulla mano, come se stesse provando l'impugnatura, e dopo, sorprendendomi, lo rimette a posto sul piccolo tavolino di lato alla porta. Ovviamente, non ha bisogno di quello per farmi del male, ci riesce benissimo già da solo.

«Sono venuto per riportarti a casa. È da poco tempo che non ti scopo ma già mi manca. Spero ti sia piaciuta la vacanza, ma ora si ritorna alla normalità.»

«Non puoi farlo!» urlo dal terrore, cercando di nascondere i brividi che le sue parole mi hanno causato. Indietreggio ancora di un passo, ma lui avanza di due, facendo in modo che i nostri nasi siano separati da una breve distanza. Deglutisco.

«Perché non potrei? Ho sempre fatto quello che ho voluto con te, perché questa volta dovrebbe essere diverso?». Il suo alito mi solletica le narici a quanto è vicino.

«Perché ora non sono sola.»

Cerco di controllare il mio tono di voce, con successo.

«E a chi vorresti chiedere aiuto? Alla tua amica dottoressa?»

«Non c'è bisogno di chiederle aiuto. Sta arrivando qui», dico sicura di me, ma quello che mi dice lui dopo mi destabilizza completamente.

«Non sperarci, credo che il mio discorso abbia avuto l'effetto sperato. D'altronde, non credi sarebbe già qui? L'ospedale non dista così tanto da qui...»

«Cosa cazzo le hai fatto?!» sbotto urlando. Prego Dio che stia bene, nessuno doveva rimanere coinvolto in questa situazione. Non avrei mai dovuto desiderare un'amica.

«Sta' tranquilla tesoro, respira ancora e non ha nemmeno un graffio.» Sospiro sollevata. «Ma comunque, non sperare nel suo aiuto.»

«Non la conosci, farà di tutto pur di salvarmi da te. Chiamerà la polizia e tu...»

«Con quale telefono, piccola?», chiede retoricamente interrompendomi, con un ghigno sul volto, prelevando dalla tasca del suo giaccone il cellulare di Laura.

Il panico inizia a prendere sempre di più il controllo della mia mente e dei miei nervi. Ogni possibilità di salvezza sembra allontanarsi, ma devo calmarmi e pensare lucidamente per potergli rispondere a bacchetta.

The Cure || Justin Bieber (#Wattys2016)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora