Capitolo diciannove:

1.4K 95 10
                                    

Tornai a casa, dovevo raccontare tutto a Kim. Appena aprii la porta la vidi in soggiorno seduta sul divano con Alex, inizialmente tentennai, poi però decisi di dirlo ad entrambi. «Ehi Aria!» mi salutò Alex alzandosi, correndo ad abbracciarmi. «Ciao Alex, è da un bel po' che non ti vedevo nel mio territorio!» dissi ridendo mentre cercavo di divincolarmi dalla morsa delle sue muscolose braccia. Schiarii la voce e annunciai ad entrambi di dover dare loro una notizia. Alex si sedette di nuovo sul divano e abbracciò Kim, che gli sorrise facendogli una linguaccia. Sorrisi anch'io, ritenendoli fortunati per l'amore che condividevano. Mi schiarii la voce per l'ennesima volta e Kim che mi conosceva meglio di chiunque altro mi guardò «Sputa il rospo dai.» disse lei, senza tentennamenti. Presi fiato e li guardai «Chris non tornerà a Yale...» 
In quel momento Alex strabuzzò gli occhi e mi guardò in modo strano «Che significa che non torna a Yale?!» urlò lui «Che altro gli hai fatto?! L'hai lasciato vero? L'hai fatto soffrire e lui ha deciso di non tornare. Io lo sapevo, eri la cosa peggiore che potesse capitargli, gliel'ho sempre detto!» continuò lui alzandosi dal divano e venendomi incontro. In quel momento, proprio come un leone protegge il suo cucciolo, Kim balzò dal divano e si mise tra me e Alex «Allora, primo ti calmi. Secondo» mimò con le dita «Non ti permettere mai più a trattare così Aria, e terzo ma non meno importante, falla finire di parlare, emerito idiota!» ruggii lei. Lui indietreggiò di qualche passo ma tenne le braccia conserte e strette al petto, e alzò un sopracciglio. «Che mi illumini allora!» continuò con la sua aria diffidente. Dissi a Kim di sedersi, mi avvicinai ad Alex, mi feci coraggio e incominciai «Anche se Kim mi ha protetta dalla tua sfuriata non-sense, ti vorrei ricordare che non sono io il problema fondamentale di Chris, e questo, caro Alex, lo sai quanto me!» dissi tutto d'un fiato, lo sguardo di Alex cambiò in due secondi, ma rimase sempre sulle sue «Io ho sempre dato il possibile a Chris, e questo lo sai. Ho sempre assecondato le sue scelte, ho sempre provato a stargli dietro, nonostante tutti i suoi casini, i suoi problemi e le indecisioni. L'ho amato nonostante i difetti e il brutto carattere. E quello che è successo non è colpa mia.» stavo per finire la frase quando Alex mi interruppe, guardando prima Kim e dicendole di uscire fuori dal nostro discorso e poi riportando l'attenzione su di me «Andiamo Aria. L'hai ucciso. L'hai cambiato. Era così felice prima di conoscerti, e tu e il tuo caratteraccio avete rovinato tutto. Non sei mai stata sicura di Chris, un giorno lo volevi e il giorno dopo lo respingevi. O forse dobbiamo ricordare l'ospedale, e Cancun?! L'hai ammazzato lentamente, e non se l'è mai meritato, e se fossi sincera con te stessa, lo ammetteresti anche tu!» finii lui. I miei occhi si riempirono di lacrime, e quello, fu l'unico momento in cui Kim non mi protesse, rimase lì, seduta sul divano con la testa fra le mani. Presi le chiavi di casa al volo, la borsa e uscii da casa sbattendo la porta. Camminai lentamente per il viale alberato e respirai l'aria, mi nascosi in uno dei posti meno frequentati della scuola, uno sgabuzzino di vecchi libri nell'ala nord della biblioteca. Attraversai velocemente la biblioteca semivuota e entrai nello sgabuzzino, mi sedetti e incominciai a piangere.  Mi stesi per terra con la borsa sotto la testa, e lentamente, mi addormentai. 

Mi risvegliai circa tre ore dopo, nel buio di quello sgabuzzino, mi soffiai il naso con un fazzoletto trovato per caso in borsa e rimasi a stritolarmi le mani seduta su quel pavimento sporco. Alex aveva ragione su tutto, avevo combinato un casino con Chris, avevo fatto ciò che di più sbagliato si potesse fare, illuderlo. Rimasi lì per un tempo incalcolabile, poi proprio mentre stavo per uscire la porta si aprì, e vidi entrare un ragazzo alto e moro, in panico. Accese la luce e saltò dalla paura «Oh mio dio. Scusami, pensavo non ci fosse nessuno...» disse lui scusandosi. Sorrisi lievemente «Oh, no... Non ti preoccupare, stavo per andarmene.» asserii io, cercando di alzarmi il più velocemente possibile. «Credevo di essere l'unico a venire qui per nascondermi da tutto.» ammise il ragazzo sconosciuto. Poi mi guardò meglio e mi sorrise «Ti va di rimanere qui a farmi compagnia, e magari spiegarmi perché eri qui?» 
Annuii lievemente e mi rimisi a sedere sul lercio pavimento. Lui scivolò sul muro fino ad arrivare per terra accanto a me, poi si voltò e mi allungò la mano «Sono Grover, piacere.» mi disse lui. Strinsi la sua mano e a mia volta mi presentai. Lui mi sorrise e continuò «Allora, Aria, come mai sei qui? Nella "Panic Room" come la chiamo io?» Risi lievemente e lo guardai «Ahm, problemi con il mio ragazzo, che non so più se dovrei considerarlo un ex o no, problemi con un mio amico, con la mia migliore amica... Insomma, mi sono sentita giudicata da chi mai avrei immaginato, e la prima idea che mi è venuta in mente è stata venire a nascondermi qui...» ammisi io.

Mi chiesi perché stessi parlando con un estraneo di ciò che mi era successo, non sapevo il motivo e, timida com'ero, era strano. Lui annuii comprensivo «Anch'io sono qui per lo stesso motivo, ho scoperto esattamente venti minuti fa che la ragazza con cui stavo da quasi tre anni, dal liceo insomma, mi ha tradito. Io lo sapevo che la distanza avrebbe peggiorato tutto, lei invece era così decisa, mi aveva promesso che mai nulla sarebbe cambiato. Sai, lei è entrata a Stanford, a quattromila chilometri da qui. Voleva entrare ad Harvard, ma non c'è riuscita, così, quando ha visto che Stanford l'aveva accettata, con una borsa di studio, ha deciso di andare lì. Avrei preferito di gran lunga Harvard, insomma... Da qui ad Harvard sono solo duecento chilometri, quasi due ore di viaggio... Ma quattromila, sono troppi. Eppure mi ha convinto che saremmo durati, che il nostro amore era più forte, e invece mezz'ora fa mi ha chiamato, dicendomi che mi doveva parlare... Senza giri di parole mi ha detto che mi ha tradito più di una volta con un ragazzo del suo corso, un certo Oliver, mi ha implorato di capirla, ma non ho voluto sentire nient'altro. Ho spento il telefono e l'ho lasciato nella mia stanza, e sono venuto qui. Insomma! Come ha fatto a tradirmi dopo tre anni? Dopo tutto ciò che c'eravamo promessi?! Avrebbe potuto lasciarmi, parlarmene, dirmi ciò che non andava e invece? Mi ha tradito. Quella stronza!» mi disse. Inizialmente scoppiai a ridere, risi così tanto forte che anche lui alla fine non si trattenne più e incominciò a ridere. Non calcolai per quando tempo parlammo in quello sgabuzzino, ma quando uscimmo da lì, io avevo un nuovo amico, e lui una nuova confidente. Mi dette il suo numero, e io gli scrissi il mio su un fogliettino. Ci promettemmo che entrambi avremmo salvato l'altro sotto il nome di "Panic Room", così poi lo lasciai andare verso il dormitorium maschile, e io tornai verso casa. Mi venne voglia di chiamare Riley così sbloccai il telefono, cercai il numero di Riley e lo chiamai. Dopo diversi squilli nessuna traccia di Riley, così, mentre stavo per chiudere, la chiamata all'improvviso si aprii. Ciò che sentii mi stese. Una ragazza ansimava e urlava, e poi una frase di Riley mi spezzò il cuore «Andiamo baby, di più, lo sai... Ho occhi solo per te!» seguito da un rauco gemito. Chiusi la chiamata e mi tappai la bocca per evitare di urlare, e incominciai a piangere. Entrai nella rubrica e andai alla P e chiamai. 
«Pronto?» sentii dall'altra parte della cornetta, «Ho bisogno della mia Panic Room, adesso...» dissi singhiozzando. Sentii un secondo di silenzio, poi la voce di Grover mi illuminò «Sto arrivando, dimmi solo dove sei.»

Ritorno dagli occhi blu. [IN REVISIONE.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora