Capitolo venti:

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Grover arrivò in un lampo, mentre ancora piangevo per la chiamata. Mi guardò con occhi comprensivi, non disse niente, non mi chiese niente, semplicemente mi abbracciò come se ci conoscessimo da una vita. Mi abbandonai nelle sue braccia e mi sfuggì un gemito «Perché tutto a me...» chiesi continuando a singhiozzare. Lui non rispose, mi porse una sigaretta, mi sorrise accarezzandomi i capelli. 

Passarono un paio d'ore, non volevo tornare a casa, ma non sapevo dove andare. Grover mi aveva tranquillizzata, ma mi sentivo comunque spaesata. La mia mente non sapeva ciò che voleva. Da una parte Chris, distaccato che oramai pendeva dalle labbra del padre, e dell'altra parte Riley. Non sapevo più cosa fare, come comportarmi. Forse era vero, non provavo più ciò che pensavo di provare per Chris, ma mi stringeva il cuore ogni volta che mi immaginavo di poterlo ferire, contemporaneamente, immaginavo la mia vita con Riley, i suoi dolci sguardi e il suo modo di guardarmi come se fossi l'unica al mondo, ciò che ormai Chris da tempo non faceva più. Ma poi quella chiamata, Riley... il suo comportamento mi aveva spiazzata. Così non ci pensai due volte. Guardai Grover e gli raccontai tutto, dall'inizio alla fine, lui non ci mise molto a capire, e anzi, la sua risposta mi spiazzò. «Vuoi davvero arrenderti Aria? O vuoi scoprire ciò che Riley e Chris ti stanno nascondendo? Certo, anche tu hai sbagliato in questa situazione, ma ora come ora devi capire ciò che non va in entrambi. Per Chris sarà più difficile, è lì in Inghilterra ed è da giorni che non lo senti, ma Riley non è poi così lontano.» 

La mia mente vagava, ero lì indecisa sul da farsi, ma Grover mi dette così tanta forza che accettai. Tornai a casa, e Kim non c'era, così presi un borsone, qualche vestito e dei soldi e scesi in fretta, io e Grover c'eravamo dati un appuntamento quindici minuti dopo all'entrata del college. Lui era già li, con il suo SUV, che mi aspettava. Misi il borsone sui sedili di dietro e entrai in macchina. Lui mi sorrise, mi porse un caffellatte e mise in moto. Era tardi, molto tardi quando prendemmo l'autostrada per arrivare a Boston, così poco prima dello svincolo per l'NYU, trovammo un motel e parcheggiammo. Scendemmo dalla macchina e entrammo, il luogo era quasi tetro, macabro, ma non ci feci caso, accanto a me Grover stava parlando con il receptionist, che ci consegnò la chiave di una camera al terzo piano. Ringraziammo e prendemmo l'ascensore. «Sei nervosa per domani?» mi chiese. Inizialmente non risposi, poi sbuffai «Nervosa? Sarebbe un eufemismo. Non sono sicura di voler vedere con i miei occhi se Riley non è davvero la persona che penso sia. Insomma. Così, da un giorno all'altro è stato capace di andare a letto con un'altra, dopo aver dormito con me la notte prima?» il mio cuore batteva così forte che credevo di svenire lì, in quella putrida ascensore. «Non si può sapere mai chi è una persona, l'ho capito io dopo tre anni. Non voglio essere colui che infrange i tuoi sogni, ma ti prometto che se Riley l'ha fatto davvero, se ne pentirà.» Scoppiai a ridere, Grover non era quel genere di persona, almeno, non era ciò che mi era sembrato. Con i suoi capelli scompigliati e quella faccia da bravo ragazzo, nessuno avrebbe mai potuto immaginare che Grover potesse prendere a pugni qualcuno, men che meno Riley. Grover era decisamente meno muscoloso di Riley, non che fosse gracilino, però qualsiasi ragazzo normale messo a confronto con Riley sembrava un ragazzino delle medie. Grover si accigliò «Mi prendi in giro mentre cerco di proteggerti?» smisi di ridere «Certo che no! Solo che Riley è un po' più alto e muscoloso di te, avrei paura per te se mai dovessi arrivare ad alzare un dito su di lui» «Non essere così sicura che io possa essere "battuto" dal tuo amichetto, non mi conosci abbastanza per saperlo.»

Sembrava stizzito, così gli chiesi scusa e lo ringraziai di esserci in quel momento, in cui persino le persone che conoscevo da una vita, se l'erano data a gambe. Lui annuì senza dire nulla. Entrammo in camera, e poggiammo i bagagli per terra. La stanza era decisamente più macabra della Hall del Motel. Ci guardammo negli occhi senza proferire parola. A quel punto Grover prese in mano la situazione «Vabeh, non sarà il Four Season, ma è comunque una sistemazione, che ne dici se scendiamo un attimo e andiamo a prendere un paio di pizze?»  Sorrisi «Certo!» 

Appena usciti dal Motel, a circa cinquanta metri c'era questa pizzeria. Fuori almeno una ventina di ragazzi ridevano e scherzavano. Pensai fossero studenti della NYU, e così si dimostrò. Avevano addosso tutti la stessa felpa, tutti con la scritta di una confraternita, e dietro l'acronimo "NYU". Non ci feci caso, continuai a camminare parlando con Grover. Entrammo nella pizzeria e Grover mi chiese che pizza volessi, «Prosciutto e würstel» risposi senza nemmeno pensarci. Era la pizza che ordinavo da sempre, da quando ero  piccola, ma mentre lui si avviava alla cassa gli urlai «E una coca-cola!» Qualche ragazzo si girò guardandomi e sorridendomi, ma non avevo per niente voglia di stringere nuove amicizie. Un ragazzo mi si avvicinò «Mi sembra di averti già vista da qualche parte, ma non ricordo dove!» mi disse. Lo guardai dritto negli occhi «Non penso proprio.» continuai. «Ragazza, non sto cercando di infastidirti, sul serio. Mi ricordo il tuo volto come se l'avessi visto ieri.» disse lui. Rimasi lì, cercando di capire chi fosse, smisi di pensarci quando una ragazza chiamò il ragazzo che avevo di fronte, e lui andò verso di lei, ritornando nel gruppetto. E li lo vidi. Seduto su un tavolino con le gambe appoggiate ad una sedia, i capelli scompigliati e il suo solito sorriso da idiota... Riley. Li, che rideva, scherzava, e si divertiva, con la sua maglietta della confraternita. Ma a quel punto, Riley smise di ridere, smise di scherzare... perché a quel punto Riley, stava guardando me. 

Ritorno dagli occhi blu. [IN REVISIONE.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora