Capitolo ventiquattro:

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Cinque mesi dopo...

Tornai a casa, dopo aver dato tutti gli esami della sessione, per rilassarmi un po'. Christopher ormai era via da cinque mesi, non l'avevo più visto, né sentito. Ogni tanto lo ammetto, lo cercavo sui social per vedere se avesse cambiato vita, se si fosse innamorato di un'altra ragazza, se avesse fatto tante amicizie, ma nulla appariva. Nessuna foto, nessun commento, nessun video. Era come scomparso, spazzato via. 

Pensavo alla sua vita in Europa, a come si sentisse lì, se si fosse ambientato, ma tutti quei dubbi restavano dentro di me, non li lasciavo uscire. Io e Alex avevamo definitivamente chiuso i rapporti, lo stesso valeva per Riley, dopo l'incontro con Chris avevo realizzato di aver amato una sola persona nella mia vita, e quella persona era Christopher Ross. Kim era imparziale, ovviamente amava Alex con tutta se stessa, ma allo stesso tempo voleva bene a me, e io non avrei mai avuto il coraggio di chiederle di scegliere. Mi stava bene così. 

Nei mesi seguenti il mio incontro con Christopher, Grover era stato di forte aiuto. Era stato la mia ancora di salvezza, la spalla su cui piangere. E mentre io cercavo di dimenticare Christopher, inutilmente aggiungerei, lui cercava di dimenticare la sua storia disastrosa, vedendo svariate ragazze, uscendoci, ma non andando mai oltre. Così ci ritrovavamo sempre lì, io e Grover, soli ma pur sempre assieme, a sostenerci come gli amici fanno. La cosa che adoravo di lui era il suo modo di capire quando non era momento per le domande, e quando invece era il momento giusto per abbracciarmi, senza spiccicare parola. 

Mentre ero lì, sdraiata sul letto cercando qualcosa di interessante da guardare su Netflix, il mio telefono squillò. «Mi manchi Aria.» sussurrò Grover dall'altra parte della cornetta. «Grover, sono partita due settimane fa', sul serio già ti manco?» dissi ridacchiando. Lo sentì sbuffare al telefono «Ma certo che mi manchi, stupida. Con chi parlerò adesso di quanto odio quella stronza della mia ex?» «Siamo passati direttamente alla fase de 'Non la nomino nemmeno'?» gli chiesi. Sbuffò di nuovo «Ci sto lavorando. A te come va?» Rimasi interdetta, era una domanda che da tanto non mi veniva posta. «Bene, direi.» asserì cercando di sembrare il più veritiera possibile. «Cazzate.» disse lui secco «Ma pensi che non ti conosca Aria Stonebridge? Cristo, mi fai così stupido?» Sorrisi mentre lo sentivo camminare avanti e dietro nella sua camera. Faceva sempre così quando era nervoso. «Ehi, Grover...» sussurrai «Va tutto bene, okay? Mi manca Christopher, ma me ne sono fatta una ragione. So di aver sbagliato, sto solo prendendo coscienza di ciò che ho fatto, e sto facendo i conti con me  stessa.» dissi sicura. «Okay, solo... Non esitare a chiamarmi se mai dovessi aver bisogno di me, okay?» sorrisi. «Okay, grazie.» 

La telefonata durò circa altri quindici minuti, in cui Grover mi raccontava tutto ciò che stava succedendo al campus. Quando chiusi, mi sentì un po' meno sola, e un po' più a casa, Grover migliorava sempre tutto. Girovagai sul mio computer, quando ad un certo punto mi ritrovai di fronte una cartella. La cartella delle foto scattate allo Spring Break di un anno e mezzo prima. Lo Spring Break in cui io e Chris avevamo avuto uno dei più brutti momenti della nostra relazione. Con le mani tremanti decisi di aprire la cartella. Foto delle spiagge di Cancún, si alternavano ai selfie che ritraevano me e Kim felici, come non lo eravamo da tempo. Sorrisi ricordando quei momenti, prima che tutto andasse a rotoli. Mentre pensavo che quell'ingenua cartella non potesse contenere nulla che mi avrebbe spezzato il cuore in due, i miei occhi catturarono un'immagine. L'immagine che speravo di non vedere. La foto immortalava me e Chris, sulla riva del mare, io con le braccia attorno al suo collo e lui con le mani sui miei fianchi, mentre ci guardavamo intensamente. Sentì le lacrime riaffiorare e scendere sul mio volto, ma non feci nulla per fermarle. Piansi, in silenzio, ricordando un amore fantastico, un amore così speciale, finito per colpa mia. Ricordai le parole di Chris, l'ultima volta in cui lo vidi: "Non ho cambiato idea Aria, andrò in Inghilterra. Non per mio padre, ma per restare lontano da te."

Le lacrime continuavano a scendere, senza fermarsi, senza che io potessi fermarle. E mentre io tremavo, la mia mano si muoveva da sola, quasi avesse vita propria. Mi ritrovai sulla pagina dei voli aerei, e la prima cosa che digitai fu "Londra, Inghilterra"

Passai ore a scrollare i voli aerei, fin quando non mi decisi, sarei partita, mi sarei ripresa colui che era l'amore della mia vita, e niente e nessuno avrebbe mai potuto fermarmi. Prenotai il volo che sarebbe partito due giorni dopo, e un hotel per cinque giorni. Avevo dei soldi da parte, e decisi di usarli per andare da Christopher. La parte razionale di me mi sussurrava che non potevo commettere una pazzia del genere, spendere tutti quei soldi per andare a trovare qualcuno che probabilmente non voleva nemmeno vedermi, l'altra parte di me diceva che se fosse andata male, avrei potuto vantarmi di aver visitato l'Inghilterra. 


Il giorno della partenza, dopo aver rassicurato mia madre del fatto che fosse tutto apposto, che avevo bisogno di una vacanza e che non ero depressa, partì dall'aeroporto di Boston, verso Londra. Il volo partì alle dieci di sera, e durò circa sette ore. Quando arrivai a Londra fui confusa nel vedere che erano le dieci del mattino, ma mi resi conto che in realtà di mezzo c'erano cinque ore di fuso orario, così, più scombussolata che mai, decisi di prendere un taxi e farmi accompagnare alla stazione ferroviaria, per poter prendere il treno per arrivare ad Oxford, dove avevo prenotato la mia camera d'albergo. 

Scesi ad Oxford, con la mia valigia e ormai ancora più scombussolata. Dopo un ora e mezza di treno, e cinque persone diverse che mi avevano chiesto da che parte dell'America venissi e per quale motivo fossi lì in vacanza da sola. Camminai verso il "The Bocardo Hotel" che si trovava al centro di Oxford, e distava circa quattrocento metri dalla famosa università britannica. Entrai nella hall e mostrai al receptionist la mia prenotazione. Lui mi sorrise elegantemente e mi allungò la chiave della stanza. Entrai in camera e mi buttai sul letto, stanca, esausta, ma allo stesso tempo soprappensiero. E se Christopher non ne avesse voluto sapere niente di me? Me lo sarei meritato pienamente. E se si fosse rifatto una vita e avesse dimenticato Yale, New Heaven e soprattutto, me? Decisi di non pensarci, e mi buttai sotto la doccia per darmi una rinfrescata, mi cambiai e decisi di andare a fare una passeggiata. 

Camminai per un ora circa, senza mai avvicinarmi alla Oxford University. Avevo girato metà del centro, visitato così tanti posti che ad un certo punto mi sentì quasi una vigliacca ad essere andata lì per un unica ragione, e non aver nemmeno tentato di avvicinarmici. Sbuffai e gettai il mozzicone della sigaretta nell'apposito contenitore. Mi concentrai sulle vetrine dei negozi, per poi fermarmi difronte ad una vetrina in particolare. Mentre ammiravo l'esposizione perfetta degli abiti anni '70, riflesso nella vetrina, dall'altra parte della strada, lo vidi. 

Era lì, assorto nei suoi pensieri, con un caffè d'asporto in mano, gli auricolari nelle orecchie e gli occhi assenti. Mi mancò il fiato. Era ancora più bello di quanto mi ricordassi. Alzai gli occhiali da sole e me li poggiai in testa, per vederlo meglio, per potermi godere a pieno quel momento. 

E poi accadde.

Alzò lo sguardo e lo incrociò con il mio, e in quell'esatto momento il mio cuore perse un battito. I suoi occhi si spalancarono, fissi su di me. Non si mosse, restò lì, immobile, e altrettanto feci io. Spalancò leggermente le labbra. Una lacrima mi rigò il volto, e lì non ce la feci. Mi voltai e incominciai a correre verso l'hotel. E per la prima vera volta, mi pentì della scelta che avevo fatto. Correvo senza ricordare la strada, correvo solo per scappare via. In lontananza lo sentì urlare «Aria!» e d'istinto mi voltai. Ci guardammo da lontano, una difronte all'altro. Lo vidi avvicinarsi a grandi falcate verso la mia direzione, ma ricominciai a correre.

Arrivai all'hotel senza più un filo d'aria nei polmoni, salì di fretta le scale e arrivai in camera con un ultimo sprint. Mi richiusi la porta alle spalle e mi accasciai per terra. "Stupida, stupida... stupida." pensai mentre sbattevo la testa alla porta. Cosa mi ero aspettata che potesse succedere? Che mi venisse in contro e mi prendesse in braccio facendomi roteare in aria, felice di vedermi? Che ingenua che ero stata. In quell'esatto momento, il mio telefono vibrò: "Ti prego, dimmi che non sono pazzo. Dimmi che eri tu, Aria.", guardai quel messaggio, mentre le mie mani tremavano senza smettere. Le lacrime incominciarono a scendere copiose sul mio volto. Mi sentivo così vuota, così inutile. 

Raccolsi tutte le forze che avevo e gli risposi: "Grazie di tutto 'occhi di ghiaccio', dopotutto è stato bello averti accanto."

Spensi il telefono, chiusi le tende e mi ficcai nel letto. E piansi, piansi fin quando non riuscì ad addormentarmi. 

Ritorno dagli occhi blu. [IN REVISIONE.]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora